Veruska Armonioso
ROMA – Parola d’onore. Onore di uomo che da poco ha scoperto quanto la barba, non curante, cresca, ogni giorno. Che nonostante tu sia lì, pronto a reciderla, lei non ti vede e continua a fiorire, più forte, più testarda di sempre. Ti copre le rughe di questi nuovi trent’anni, ti avvolge i segni di ferite assopite e nasconde al tuo sguardo le fossedei colpi ancora da assestare. Parola d’onore, onore a te, parola ascoltata da queste mie orecchie, pronunciata dalle tue labbra semichiuse in un semiaperto alito di essenza alla lavanda e cocco che dondola sul polpastrello del mio anulare come fede, incrollabile, quando mi perdo nella scia della sua suggestione. Poi, di colpo, il vento, cade giù e all’anulare rimane solo fede solida e consapevole di passato prossimo vivo in presente lievemente nitido. Questa fede, più certa che fidata, fatta di concreta tridimensionalità e per questo sicura, mi dice di non muovermi di un solo gemito e rimanere lì, in oscillazione sull’accordo sbiadito di un ritornello che non suona mai ma echeggia senza sosta..
Quanto dura l’emozione? La descrizione dell’attimo che finisce proprio mentre inizi a pensarlo, è inespressa perché inutile o perché troppo vasta per essere anche solo parlata? E l’attimo, minuto ma non minuto, è inafferrabile perché imperituro o perché veloce? e poi la vita. Quanti attimi fanno una vita? E comunque, sempre e solo lei, la principessa di tutti i rebus, la domanda che vale un nome: “a cosa credere? Cosa sentire dentro di me?” Chiedermi incessantemente se nord o sud sia la direzione giusta, mi aiuterà a capire dove andare? Chiedermi se rincorrere il caldo o il freddo, se il caldo durerà per sempre o se il freddo smetterà mai, mi aiuterà a decidere? Forse che la risposta giusta non esista? Forse che l’unica risposta giusta sia di cambiare la domanda? E allora, ora, mi chiedo: “fin dove sarei disposto a raggiungermi qualora mi smarrissi?”.
Potrei perdermi dietro l’angolo e ritrovarmi in un secondo, vivendo, nel mentre, la vita che conosco e che ho scelto di attraversare oppure… oppure altrove, non so dove, in un qualche dove, ma lontano da qui. Vivere per ciò che non conosco, ma che so esistere. Sicuro di niente se non di dove voglia arrivare che coincide ineludibilmente con dove dovrei andare a riprendermi nel caso in cui mi perdessi. Se mi perdessi, mi troverei? Ma prima ancora, mi andrei a cercare? Avrei voglia di correre in mio soccorso dall’altro capo dei mondi? Avrei voglia di gridare il mio nome tanto forte da riuscire a sentirmi? Sarei disposto a fare uscire le branchie e nuotare i mari o palmarmi le braccia per volare i cieli solo per ritrovare me? In una corsa dove se vinci, vinci tutto e se perdi, perdi ogni cosa tu… sì, proprio tu, tu, dove sarai? Quando arriverà il tuo momento, quello in cui, stremato dagli eventi, affaticato dal male di vivere, appesantito dai giorni e pieno di chilometri nei piedi, tirarti indietro ti sarà impossibile; quando arriverà quel giorno in cui la vita ti chiamerà all’appello e ti dirà: “L’occasione è qua, eccola!”, tu, che farai? Fin dove sarai disposto a spingerti? Fin dove sarai disposto ad andarti a cercare? Sarai pronto a spogliare il tuo mondo? Sarai preparato a lottare di nuovo? Avrai fiato per gridare il tuo nome? Quanto forte sarai capace di gridare il tuo nome? Ma sopra a tutto, tu, in quel preciso istante, te lo ricorderai ancora il tuo nome?
Un nuovo anno sta per cominciare, l’occasione è lì, ci aspetta. Una nuova vita o una nuova scelta della stessa, ma con un proposito: ricordarci sempre di domandarci se dove siamo sia o meno il luogo giusto. E se non lo è, laddove sia possibile, alzarsi e andare via. Senza retorica o spiccia didattica, inizio questo nuovo anno con dei passi, dieci passi verso un nuovo inizio, dieci passi per tarare la mia bussola e sapere dove poter andare quando mi dovrò alzare.
Un passo per far cadere le foglie secche, che servono solo a dare colore e non vestono nemmeno più. Un passo per imparare a vedere i rami nudi, capire che non fa freddo e che spoglio non è vuoto.
Un passo per sopportare il gelo e la neve, che è leggera sì, ma pesa più del piombo e raffredda peggio di una parola bastarda.
Un passo per ‘mandare giù’ il ritorno della primavera, le giornate mezze e mezze, il sole tiepido, i bambini che gridano nel parco. Un passo per attendere l’uscita delle nuove foglie, ancora quasi invisibili, ma già grandi per essere scrollate via. Un passo per far da balia alle nuove foglie che fanno capolino dai rami, ché sono piccine e, si sa, vanno seguite. Un passo per farsi pronti a godere nel vederle verdi, forti e fiere, autonome; un passo per farsi forti quando punteranno i piedi,sono giovani, si sa, danno problemi. Un passo per farsi umili, sono quasi grandi ora e vogliono che ascolti le loro ragioni, e accettare la mediazione, rinunciare non vuol dire perdere.
E poi l’ultimo passo, il più difficile: ora che i tempi sono maturi, smettere di difendersi e cominciare a godersi.
Alla prossima settimana con Verberrando!
VerbErrando: Ritorni
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