ROMA – “Dopo molti anni ho capito che in quella luce era morta l’innocenza italiana. L’innocenza che aveva attraversato tutti gli anni sessanta come una scarica elettrica o un crampo nello stomaco. Morì da giovane soubrette a Viareggio, buttandosi alle spalle le commedie, le tonnellate di spaghetti alle vongole, le illusioni di ricchezza. Sparì nel luogo che già possedeva la luce dei morti nel giorno in cui ritrovarono cadavere Ermanno Lavorini. […]
… con la sua fine, l’Italia si gettò dietro le spalle l’innocenza.
A quella perduta innocenza vorrei dire:” Ciao, bellina, come stai? Ti voglio tanto bene.” Alla creatura straziata avrei voluto dedicare la vita che mi resta. Ma gli anni muoiono prima dei secondi. Il tempo è finito. Eppure desidero tanto spedire una lettera per supplicarla di tornare. Invece so che non lo farò. Perdonatemi, allora, se scrivo addio.” (“Addio” di Aurelio Picca, ed. Bompiani 2012)
Questo è Aurelio Picca, questo è Addio. Il suo addio all’innocenza, a un tempo, che arriva fino al 31 gennaio 1969, in cui ancora si poteva vivere di sogni, di immaginazioni. Perché le immaginazioni non erano pericolose, anzi, diventavano un surrogato ma migliore della vita vera, dei fatti, della ragione; e la sua forza era tale, quella dell’immaginazione, da riuscire a influenzare la verità stessa, la razionalità. Era il tempo in cui le mamme potevano ancora spingere i figli a mangiare le verdure sotto il ricatto del buio, perché i bambini a quei tempi erano bambini e avevano ancora paura del buio. Ora non è più così, i bambini il buio se lo portano dentro e lo vomitano fuori, puntualmente, ad ogni occasione. Non è forse vero che, con il tempo, ci si adatta a tutto? Del resto Darwin ce lo insegnava nella sua teoria sull’evoluzione della specie, un processo di “miglioramento” o di aumento della complessità degli organismi nella capacità di “uscire vincente” dal processo di selezione naturale.
Quindi noi saremmo i vincenti. Quindi noi saremmo i migliori.
“E se quelli che rimangono fossero i peggiori?” mi coglie di sorpresa, come il cellulare caduto dal cielo di Ritorno (di Fabio Viola, Feltrinelli e-books 2012), la frase di Elias Canetti.
E allora decido che voglio capire meglio perché sono tanto d’accordo con lui, e con Aurelio.
“Si vuole diventare migliori; ci si vuole solo rendere le cose più facili” dice. E poi aggiunge “Alcuni raggiungono la loro massima cattiveria nel silenzio.”(“La provincia dell’uomo” Elias Canetti, Adelphi, 1978). Quindi, riassumendo, per Canetti siamo o peggiori ed evoluti, o migliori ma furbi, sempre alla ricerca della scappatoia facile; e, nell’essere cattivi, esercitiamo la pratica del silenzio.
Riconosco che intorno a noi, sempre più spesso, cade il silenzio, ma non voglio dare retta alle parole di Canetti… no, troppo apocalittiche. Solo che non riesco a fermarmi, vado avanti e scopro di più su di lui, tipo che nei vent’anni successivi alla guerra mondiale si dedicò allo studio della psicologia di massa e che fu una delle figure più importanti della cultura mitteleuropea. Sembrerebbe una voce autorevole. Provo a superare la diffidenza e vado avanti:
“Sono sempre più convinto che le mentalità sorgono dalle esperienze di massa. Ma gli uomini hanno colpa delle loro esperienze di massa? Non vi incorrono assolutamente indifesi? Come dev’essere fatto un uomo per potersene proteggere? Ecco quello che veramente m’interessa in Karl Kraus. Bisogna forse poter formare masse proprie per essere immuni dalle altre?” (“Il cuore segreto dell’orologio” Elias Canetti, Adelphi 1987)
Allora mi domando a cosa dobbiamo la nostra mentalità, ma prima ancora, che mentalità abbiamo noi e qual è l’ultima esperienza di massa che abbiamo vissuto dopo la Resistenza.
Cerco, mi documento, chiedo e poi, la risposta: nessuna. La resistenza è stata l’ultima esperienza di massa che gli italiani hanno vissuto. Quindi tutto a posto! La nostra mentalità dovrebbe essere strutturata secondo quelle regole! Mh… Oddio, parliamo di quasi settant’anni fa… quanti anni hanno, oggi, quelli della resistenza? … ah, sono quasi tutti morti. E allora come si fa se quelli che dovevano “fare” la mentalità della massa sono scomparsi? Allora non abbiamo una mentalità strutturata secondo le regole della resistenza… allora, che mentalità abbiamo?
Partiamo dagli strumenti che ci hanno dato i nostri amici scrittori: abbiamo perso l’innocenza e l’ultima esperienza di massa non la conosciamo perché non c’eravamo, quindi davanti a noi c’è malizia e ignoto. Purtroppo, anche stavolta, quel pessimista di Canetti ha da dire qualcosa:
“Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto” ah… capisco, quindi è questa la ragione per cui siamo così distratti e distanti, l’uno dall’altro. E ancora “Solo tutti insieme gli uomini possono liberarsi dalle loro distanze. È precisamente ciò che avviene nella massa.” (“Massa e potere” Elias Canetti, ed. Adelphi 1981)
Forse non siamo una massa… potrebbe essere questa la ragione per cui non ci sono più state esperienze di massa….
Veruska! Basta! Stai diventando noiosa. Sento la sua voce…
“Perché vuoi sempre spiegare? Perché vuoi sempre scoprire che cosa c’è dietro? E più dietro ancora, sempre e solo dietro? Come sarebbe una vita limitata alla superficie? Serena? E sarebbe da disprezzare solo per questo? Forse c’è molto di più alla superficie – forse è tutto falso ciò che non è superficie, forse tu vivi ormai tra immagini illusorie, continuamente cangianti, non belle come gli dèi, ma svuotate come quelle dei filosofi. Forse sarebbe meglio: tu allineeresti parole (giacché hanno da essere parole), ma ora sei sempre alla ricerca di un senso, come se ciò che tu scopri potesse dare al mondo un senso che il mondo non ha.” (“La rapidità dello spirito” Elias Canetti, Adelphi 1996)
Forse è vero. Ma non mi interessa. Conoscenza è coscienza. Cultura è conoscenza. Diffondere, attraverso la cultura, la conoscenza è spingere a cercare una coscienza. Quando avremo tutti una coscienza sociale, allora potremo essere una massa. C’è chi ha lavorato anni, dalla Resistenza a oggi, per toglierci l’innocenza, fino a farcela perdere quel 31 gennaio 1969, come ci dice Picca. C’è chi ha lavorato anni, dalla Resistenza a oggi, per toglierci la memoria. Per non farci essere più una massa e mettersi, così, al sicuro.
Per farci “essere insensibili fino a disprezzare le cose interessanti, e diventare insensibili proprio riguardo a ciò che ci interessa maggiormente.” (“Pensieri” Blaise Pascal, Garzanti 1994)
Spero di poter vivere abbastanza per essere parte di un’esperienza di massa. Spero arrivi qualcuno capace di farci tornare ad essere una massa. Qualcuno in grado di farci ricordare quello che già conosciamo, quello che sappiamo già, perché “La memoria si blocca. Ma è ancora lì tutta intera.” Ricordare, riscoprire. Riscoprire, provare ancora emozione. E muoversi verso una direzione.
La cosa più dura è tornare a scoprire ciò che già si sa.
Elias Canetti, Premio Nobel per la letteratura (1981).