Pierpaolo Pasolini, l’intellettuale necessario
Giulia Siena
PARMA – Pasolini etichettato, chiacchierato, additato. Pasolini sconosciuto, scoperto, rivalutato, demonizzato. Pasolini “l’intellettuale”, Pasolini l’autore, il regista, l’eretico, l’esploratore.
Parlare di Pasolini non è mai facile, per questo è necessario. Non possono esistere definizioni esaustive per l’artista che ha cercato di modificare lo sguardo sulle cose in un’Italia che lentamente cambiava.
Pierpaolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922 da un ufficiale ravennate e da una maestra elementare friulana, a cui rimase legato per tutta la vita, tanto da fare del paese originario di lei, Casarsa della Delizia, la sua “patria del cuore”. Frequenta il liceo e l’università a Bologna coltivando le sue passioni: il calcio e la lettura. Partecipa attivamente alla Resistenza; dopo la morte del fratello Guido, partigiano, e l’armistizio, si rifugia dalla madre in Friuli dove organizza una scuola gratuita per i bambini e comincia a recuperare il dialetto friulano (scrive La meglio gioventù).
Nel 1949 si trasferisce con la madre a Roma e della grande metropoli osserva i contrasti e il degrado delle borgate; è in questo periodo che si avvicina al teatro e al cinema. Intanto continua a scrivere: poesie, romanzi, articoli, tragedie e numerose sceneggiature. Si attesta negli anni come “l’intellettuale” che non usa mezze misure poiché nelle sue parole emerge forte il contrasto al capitalismo, la lotta alle disuguaglianze sociali, l’attenzione alle periferie e l’osservazione costante dell’uomo moderno. Tanti i rimandi alla religione e a una realtà che va sempre più sgretolandosi per volontà di una borghesia pigra e monotona. La sua morte, nel 1975, arriva all’improvviso; il suo corpo martoriato viene ritrovato il 2 novembre a Ostia.
Una vita violenta è il nostro libro in-dimenticabile, un classico che merita di essere riletto. Pubblicato nel 1959, Una vita violenta narra la storia di Tommaso Puzzilli, un ragazzo “predestinato” alla violenza, incapace di una visione matura della realtà poiché a tredici anni gioca tra il fango della periferia osservando le brutture del mondo (prostituzione, prevaricazione, violenza). Tommaso cresce, cambia, evolve, ma la sua formazione, la sua crescita rimarrà sempre parziale, come parziale e irrisolta è la crescita – molte volte sbandierata – dell’Italia di questi anni. Qui Pasolini rinuncia alla lingua italiana per un dialetto forte e realistico che ci possa accompagnare tra le strade fangose della periferia, le corse in centro a perdifiato. La scoperta della gioventù emarginata delle borgate romane, scomposta ma vitale, spinge Pasolini a modificare stile e scrittura: il poeta ama sporcare le sue scarpe di fango, ritrovarsi nel bel mezzo di una periferia, per toccare con mano l’umanità, come quella descritta e perduta di cui parla in Ragazzi di vita, e che rivendicava, fino a cercarla personalmente. Roma, dopo l’espulsione dal Friuli, diviene infatti la nuova Casarsa.