Giulia Siena
PARMA – “La poesia di quel tempo lontano è allo stesso tempo ispirazione e testimonianza”. Il tempo di cui parla lo scrittore lettone Kunts Skujenieks è quello in cui i servizi segreti sovietici gli tolsero la libertà con l’accusa di attività antisovietica. Sette anni di reclusione in cui la scrittura diventa una “forma di vita”. La scrittura serve a Kunts Skujenieks per tutelare il proprio equilibrio mentre la sua vita vive una battuta di arresto; innocente si trova a diventare prigioniero – non schiavo – di un campo di lavoro nella Repubblica autonoma di Mordovia, in Russia. La scrittura di quegli anni diventa Sēkla sniegā – Un seme nella neve, poesie e lettere dal gulag, pubblicato da Damocle. Il libro contiene liriche scritte durante la detenzione (cominciata nel 1962) che hanno visto la luce solo nel 1990, alla vigilia dell’indipendenza della Lettonia. Oggi la poesia di Kunts Skujenieks è tradotta in quaranta lingue.
“Più lontano ti strappano dal popolo, / Più forte con gli occhi il popolo gli abbracci, / Con la penna, come falce, ti apri un varco / vero il sole, caro sole”. La poesia di Un seme nella neve è interesse per quel periodo buio e violento, violento per l’anima. Un periodo lungo anni in cui l’autore è stato strappato dai suoi giorni per vivere una vita non sua, da dissidente. “Col mondo si lacera / L’ultimo filo – il respiro. / E adesso il mondo / è solo dentro di me”: Skujenieks cerca di coltivare quel mondo interiore fatto di speranza, determinazione e verità, fatto di sé.
“Nessun contadino semina nella neve. Lo può fare solo il poeta. E’ nel suo cortile che quel seme germoglia”.