Giulio Gasperini
AOSTA – I trent’anni possono essere un momento cruciale, nella vita. Un passaggio che forse può significare la necessità di tracciare i primi bilanci, di gettare uno sguardo sulla strada percorsa e valutarla. Ingeborg Bachmann, una delle più interessanti scrittrici della letteratura del Novecento, ha esplorato l’approdo al trentesimo anno in un racconto lungo di inaudita potenza e profondità. “Il trentesimo anno” (Das dreißigste Jahr) uscì nel 1961, in una raccolta di racconti a cui dette il titolo complessivo. Fortemente autobiografico, vinse tanti premi internazionali e consacrò la scrittrice austriaca.
Nel racconto, il punto di vista è quello di un uomo che si trova a fare i conti con l’arrivo di un’età anagrafica che lo spaventa e lo atterrisce. Si sveglia, alla luce del nuovo giorno, consapevole che qualcosa sta cambiando. Prima “s’immaginava di avere innumerevoli possibilità e credeva, per esempio, di poter diventare qualsiasi cosa”. Pensava che il tempo potesse non finire mai ma andare sempre avanti e avanti. Poi la trappola comincia a stringerglisi addosso, intorno, piano piano. “Non gli basta partire per un viaggio, deve proprio andarsene. In quell’anno deve sentirsi libero, lasciare tutto, cambiare luogo, abitazione e persone”. L’irrequietudine diventa un imperativo morale, un bisogno intenso e potente. Spostarsi, cambiare per cercare di acquietarsi, di scongiurare la crisi.
L’anno procede, le stagioni si alternano in una progressione incalzante e soffocante. E la sua percezione del mondo cambia: “Cercò un dovere da compiere, voleva rendersi utile. Piantare un albero. Generare un figlio”. Assieme a scrivere un libro, le tre cose che anche Garcia Lorca, secondo tradizione, indica come indispensabili per dare un senso alla vita. E proprio il senso della vita il protagonista trentenne ricerca, in questo racconto della Bachmann che è insieme analisi e valutazione, esame e verdetto, ricerca e soluzione. Un precipitare, con una lingua elegante e misurata, in un vortice del pensiero che trasforma l’irrequietudine del movimento in agitazione del pensiero. Però, “come tutti gli esseri umani non arriva a nessuna conclusione”. Destino comune di chiunque cerchi di arrabattarsi con pensieri, meccanismi, derive e approdi troppo complessi e complicati, per l’intelligenza di un singolo. Ma arriva l’incidente; l’imprevisto che crea una rottura nell’evolversi della situazione: un incidente automobilistico lo costringe a letto, ferito e spaccato, con tutte le ossa rotte. Ma proprio allora, tornando a vivere dopo la distratta morte, ha la rivelazione, contemplando un capello bianco che si ostenta nella specchio: “Finalmente si disse: ma io vivo e quel che desidero è vivere ancora a lungo. […] Ma io vivo! Presto sarà guarito. Presto compirà trent’anni. […] Ti dico: alzati e cammina! Non hai un solo osso rotto”. I trent’anni, alla fine, possono essere un momento di riflessione, di paura, di bilanci e di attese. Ma forse nemmeno.
Il trentesimo anno e un albero da piantare.
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