Giorgia Sbuelz
ROMA – Provate a pensare un numero intero qualsiasi, da uno a infinito. Il più alto che riusciate a immaginare. Scrivetelo su un foglio, potrebbe servirvi un intero quaderno.
Fatto? Ora, imbustatelo, affrancatelo e speditelo alla redazione del programma televisivo che ha cambiato per sempre le leggi della comunicazione del pianeta.
Il conduttore dell’edizione italiana, Luigi Conte, sbucherà fuori da una scenografia grigia, quasi da tivù in bianco e nero e, tra decorazioni da fantascienza anni Cinquanta, comunicherà il numero vincente della settimana. Il metodo di estrazione è un mistero che conosce solo l’ideatore, ma il legale dice che giocando si accettano le regole.
Poniamo che la trasmissione si chiami, per l’appunto, That’s (im)possibile.
Una follia, senza dubbio. Ma perché non provare? Del resto, qual è il costo di un sogno? Non vale una piccola puntata? Certo che sì. In questo modo avrete contribuito alla diffusione di quel germe che ha contaminato il globo da Oriente a Occidente, quella smania tutta umana di sfidare l’impossibile, o di confrontarsi con l’infinito, perché i limiti esistono solo laddove il pensiero si arresta.
Una sfida anche quella dell’autore, Cristò, che ha pubblicato per Intermezzi un’opera al di fuori delle logiche convenzionali di scrittura. That’s (im)possibile è un felice esperimento narrativo.
Il punto di partenza è quello classico del ritrovamento di un manoscritto, ma non un manoscritto comune: trattasi del soggetto per un documentario che passa in rassegna opinioni, mosse e riflessioni di chi è rimasto incastrato nella dinamica di un gioco che ha per pedine il tempo, l’assoluto e l’infinito.
La mente del piano è Bruno Marinetti, figlio del sindacalista Enrico Marinetti, un uomo che in vita amava urlare le sue idee da un palco di bandiere rosse e che morì da solo in un ospedale. Proprio il figlio del sindacalista mette in piedi una lotteria internazionale, una potente macchina che produce denaro: il congegno perfettamente collaudato per l’imperfetto mondo in cui viviamo.
E il pubblico impazzisce; i giornali titolano: “That’s (im)possibile is (in)credible”.
Il produttore Carlo Vanni, amico d’infanzia di Bruno, pensa che l’ideatore abbia qualcosa da dimostrare, ma abbandona qualunque ipotesi di ragione cullandosi nella prospettiva di una montagna di soldi… perché si sa, i soldi semplificano qualsiasi cosa e catalizzano ogni attenzione.
Ancora una volta le scelte editoriali di Intermezzi portano una ventata di fresco nel panorama narrativo odierno. Cristò gioca con la trama e i suoi personaggi. Interseca i punti sugli assi cartesiani di concetti filosofici e matematici, spinge in alto la parabola dell’ossessione umana per il tempo e per il potere temporale; lo fa con destrezza e un ritmo teatrale, lo fa nello spazio contenuto di ottantamila caratteri, il numero vincente di questa collana.
Cristò sovverte gli schemi narrativi, li smembra e li ricompone nel lasso di tempo che gli è consentito, che è quello giusto per parlare di numeri, religione e ideologie senza disturbare cattedratici o lettori. Giusto come il rapporto aureo che sottende ciò che definiamo coincidenza, o come l’incontro delle parti nell’estrazione del numero di una lotteria.
“Pensate un numero. Più alto. Ancora di più. Quanto potete andare avanti? Ora cercate di pensare quale numero apparirà alle mie spalle tra dieci minuti. Ancora più alto? Oppure bassissimo. Dite che è impossibile? Chi lo sa? Magari avete ragione”.