Daniela Distefano
CATANIA – “Le mie giornate hanno l’elasticità dell’albero piegato dal vento. La mia percezione del mondo esterno acquista vigore, sono più ricettivo. Libero da ogni interferenza sonora, il mio udito si affina a contatto con l’esterno. Ormai sono in grado di distinguere il canto degli uccelli, il verso acuto del rallo che chiama i piccoli smarriti nel giuncheto. Uno sciabordio al crepuscolo mi dice che la nutria sta nuotando verso il suo giaciglio vegetale. Il vagabondaggio degli animali notturni lascia su di me le sue impronte. A forza di andare su e giù per la foresta, ne sono diventato parte. Fauna e flora mi confidano i loro segreti e io vivo più vicino alla terra”.
E’ così che descrive la propria vita a contatto col silenzioso linguaggio della Natura David Lefèvre. Nato nel 1973, dopo aver conseguito una laurea triennale in storia e geografia, David lascia l’università a vent’anni per fare i suoi studi umanistici per le strade: Nordamerica, Vicino Oriente, Asia Centrale, Sudest asiatico. Continua
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Gli “Ottantatré” anni di Giustino.
Giulio Gasperini
AOSTA – “Ottantatré” sono gli anni che Giustino vive, nel romanzo di Alberto Bracci Testasecca edito da Edizioni e/o. E per ogni anno Giustino ha un attimo, un momento, un frammento di vita da raccontare, quasi da confidarci con la delicatezza di un rapporto amico e fraterno. Sulla falsa riga di “The years” di Virginia Woolf, la storia personale di Giustino si intreccia con un avvenimento della Grande Storia, come a stabilire un legame inscindibile tra l’uomo e l’accadere degli Eventi. In qualche caso più invasiva, in altri meno, la Storia fa accadere qualche evento per ogni anno, scandito cronologicamente, con una cadenza maniacale e ridondante: 1° anno, 2° anno, 3° anno… Dalle Torri Gemelle al delitto Moro, dalla guerra del Vietnam agli scontri intorno a Villa Giulia a Roma, dalla vittoria dei mondiali di calcio ’82 a quella del 2006, tutto si intreccia con lo srotolarsi della vita di una misera pedina nel grande gioco del destino.
Alberto Bracci Testasecca, partendo dal bellissimo borgo di Montalcino, in Toscana, dove tutto principia e finisce in un ritorno circolare, tesse una favola moderna, con una pregevole fluidità narrativa e una discreta capacità di pennellare brevi dialoghi colmi dell’essenziale. Il materiale umano e storico evocato in queste pagine è tanto, abbondante, mastodontico: praticamente non si dimentica di nulla, comprende tutto ciò che ha caratterizzato il “secolo breve”, fino a sconfinare nei più recenti Anni Zero. Testasecca tratteggia certe interpretazioni, fa capire le sue opinioni, certe volte semina dubbi ma al contempo mostra dimesso la direzione dove guardare per decifrarla. La vita di Giustino è una vita semplice, nutrita di sentimenti e di emozioni declinate secondo una comune familiarità. Viene generato, nasce, cresce, ha le prime cotte, si innamora profondamente, si sposa, nascono i figli, arrivano le crisi coniugali, si innamora di nuovo, cresce i figli, accudisce i nipoti: è un copione già visto, una parte che non conosce sorprese né colpi di scena.
Non c’è niente di stra-ordinario nella sua vita. Si innamora, tradisce, si innamora di nuovo, si impegna per non arrendersi, combatte, fa finta di niente. Si comporta come un qualsiasi essere umano alle prese con la sua vita qualsiasi. Ma non è un inetto, Giustino. Perché non subisce passivo l’accadere degli eventi ma cerca di farsi pilota attivo del suo destino; cerca di non subire le casualità feroci con l’arrendevolezza di chi sa già che nessuna difesa può servire contro l’inevitabile: e invece si presta al combattimento, si arrabbia, si infuria, si difende con le armi che conosce. E alla fine, quando il suo corpo decide di averne a sufficienza e lo abbandona in mezzo all’orto familiare, Giustino può ben dire di aver vissuto come meglio – sicuramente – non avrebbe potuto.