Michael Dialley
AOSTA – “Caro amico, ho deciso di scriverti perché ho sentito dire che sei uno che ascolta e che capisce […] OK questa è la mia vita. E desidero che tu sappia che sono felice e triste al tempo stesso, e che sto cercando di capire come ciò sia possibile”. Così inizia il romanzo di formazione “Ragazzo da parete” edito da Frassinelli nel 2006, che Stephen Chbosky propone sottoforma di raccolta epistolare e che tra pochi mesi uscirà nelle sale cinematografiche italiane, con il titolo di “Noi siamo infinito”.
Tante lettere destinate ad un “caro amico”, scritte da Charlie, un ragazzo appena entrato al liceo, un ragazzo che inizia a conoscere la vita dei grandi, confrontandosi con l’amore, i problemi adolescenziali, i sentimenti e le emozioni, nei tempi dei primi anni ’90. Colpisce fin dalla prima pagina la storia di questo ragazzo, perché forse tutti, almeno una volta, ci siamo sentiti “ragazzi da parete”, anche se lui lo è stato per gran parte del primo anno di liceo. È il confidente perfetto: ricorda tutto ciò che vede e gli viene raccontato, soffre con gli altri, non per gli altri; gioisce con gli altri, non per gli altri. Scopre il suicidio di un amico che lo sconvolge, ma cerca di capirne i motivi; scopre la violenza di un ragazzo verso la sorella, ma mantiene questo segreto per molto tempo e non tradisce le persone cui vuole bene, siano segreti belli o brutti; scopre il sesso, eterosessuale, grazie a un ragazzo della scuola, poi grazie a sua sorella; conosce la realtà omosessuale, che accetta, anzi si dimostra molto comprensivo ed emotivo.
Il romanzo procede piano piano, lettera dopo lettera, confessione dopo confessione e ci fa conoscere questo ragazzo, che non riesce ad essere “presente” nella vita. Il professore d’inglese e la ragazza di cui Charlie è innamorato sono le uniche due persone che riescono a capire questo adolescente: Bill, il professore, lo sprona a diventare protagonista della propria vita e della vita sociale e gli affida compiti extra che consistono nella lettura di libri. “Sulla strada” di Kerouac, “Di qua dal paradiso” di Fitzgerald, “Il buio oltre la siepe” di Lee, “Amleto” di Shakespeare, “Il giovane Holden” di Salinger, “La fonte meravigliosa” di Ayn dovrebbero aiutarlo a rendersi conto di quanto sia intelligente e speciale; peccato, però, che Charlie non se ne renda conto. Accetta passivamente questi lavori, assimila altrettanto passivamente gli insegnamenti di questi libri senza ragionarci e rifletterci, come vorrebbe il professore. Sam, invece, la ragazza che Charlie ama, che gli dice di non pensare a lei come ragazza da poter amare, e che alla fine dell’anno scolastico rivela a Charlie il significato di quella frase: non era un rifiuto, bensì voleva essere un aiuto a vivere la propria vita, ad agire per assecondare quell’istinto, a fare ciò che crede sia giusto senza pensare a cosa vogliono le persone intorno a lui. Solamente nelle ultime due lettere, però, il lettore comprende quale grande macigno sia dentro Charlie: le molestie sessuali di una zia defunta. Ecco che cosa blocca Charlie nei rapporti con le ragazze, ecco il suo amore verso la zia morta che non era un amore di nipote verso la zia, ma un amore disturbato, distorto e, forse, imposto. Da qui Charlie ricomincerà la sua nuova vita: il romanzo, infatti, si chiude con il suo primo giorno del secondo anno di liceo. Questa volta, però, Charlie non ha più paura di affrontarlo, anzi: a testa alta si appresta a questa nuova avventura, circondato dalle persone che ama e che lo fanno sentire amato.
Oggi ci sono i social network che rendono i ragazzi più aperti; riescono, nascondendosi dietro a un profilo virtuale, a dire ciò che sentono, ciò che vedono, attraverso link, chat, tweet. Fino a qualche anno fa era diverso, tutto era più personale, solitario, ma sicuramente era vissuto in maniera più forte e sconvolgente e si capiva, si cresceva consapevoli di cosa fosse la vita vera.
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