Giulio Gasperini
AOSTA – Calcutta – oggi Kolkata – è forse la città più emblematica dell’India: modernità e tradizione, cultura e morte, degrado e libri, lebbrosari e scintillanti palazzi di multinazionali la rendono una città dalle contraddizioni estreme e dai conflitti dilanianti. Il grande grattacielo della TATA Motors e il fiabesco grand hotel Oberoi si affiancano, con stridente contrasto, agli ultimi rickshaw-men, che cercando di guadagnare poche rupie contando solo sulla forza delle loro gambe e sulla resistenza dei polmoni, e ai malati e lebbrosi che vivono sui marciapiedi, che muoiono tra i passi distratti della gente.
Come si può capire l’India? La domanda è feroce, violenta; è una domanda che non ha immediata risposta, perché l’India è un caleidoscopio di violente contrapposizione, geografiche e sociali, linguistiche e etniche, sociali e culturali. È un complesso sistema di equilibri e maturazione, di evoluzione e antichi riti di tempi remoti.
Salvatore Bandinu ci ha trascorso alcuni mesi, nell’India dalle molte anime. E ha raccontato la sua esperienza e considerazioni in un volume edito da Arkadia editore nel 2012: “Sotto i ponti di Yama” è più del resoconto della sua esperienza da occidentale a Kolkata, ma vuole diventare un tentativo di discutere e meditare alcuni considerazioni sulle facce del sub-continente indiano, che col suo miliardo abbondante di esseri umani sta diventando il paese più popolato al mondo e col suo aumento del 7 % del PIL nel 2011 si sta affermando come una delle potenze economiche del pianeta, anche se un po’ anomala.
Salvatore Bandinu è partito per l’India con l’obiettivo di fare il volontario, in una delle strutture create a Kolkata da Madre Teresa e oggi gestite dalle Missionarie della Carità, le suore in sari bianco orlato di blu. L’incontro con l’India è allucinato e allucinante: lo spaesamento si affianca a conoscenze profonde e situazioni emozionanti, nelle quali la componente intima e umana viene costantemente e profondamente sollecitata, nelle quali entra in conflitto, nelle quali spesso corre il rischio di contraddirsi e di inficiarsi. La logica umana, spesso, in India, viene messa a dura prova, soprattutto una logica che non ha esperienze né coraggio e non tiene conto delle differenze di mondo e di società.
La scoperta dell’India, per Salvatore Bandinu, corrisponde a una scoperta dei meccanismi che la muovono e la regolano. La volontà del fare si scontra con le domande, coi dubbi, con la crisi personale che sempre ci coglie quando ci si accorge che, tutto sommato, siamo più che superflui, e che le nostre azioni rischiano di perdersi nell’inutilità. Sicché la ricerca, per Bandinu, si fa più aspra e difficile, fino a rendersi conto, quasi in un’illuminazione, che non è possibile far fruttare la sua esperienza sul suolo indiano se non cercando di dare una grammaticalizzazione alla “sovra-struttura” indiana. Ma il dubbio – se si possa conoscere l’India, passandoci per di più solo poche settimane – alla fine del libro non ha ancora trovato risposta.
Un commento