Giulio Gasperini
AOSTA – In quanti modi si può raccontare la storia di una vita? Tante, quante sono le capacità creative dell’uomo. Il cibo può essere uno dei miglior collante del rosario dei nostri giorni, soprattutto per chi crede nell’ideale della “Casalinghitudine” che par significhi solitudine ma è tutto il contrario. Clara Sereni, donna che politica, e scrittrice, ma prima di tutto donna e madre, ha sempre tessuto la memoria dei suoi giorni con i sapori, gli odori, le consistenze di tutto quello che bolliva nelle pentole delle sue cucine, tutte quelle in cui si è trovata a esser sacerdotessa di riti umani e sociali propiziatori al benessere e all’armonia.
Il libro “Casalinghitudine”, edito per Einaudi oramai molti anni or sono (1987), è un piccolo tesoro di scienza letteraria e culinaria. Diviso in capitoli tematici, e non temporali (come “La coscienza di Zeno”), comincia con gli Stuzzichini e finisce con Dolcezze e Conservare, in un andamento lirico ininterrotto e costante. La Sereni rivive le tappe più significative della sua vita in sottrazione, senza troppo svelare né troppo presupporre, ma inseguendo odori, sapori, cibi come fossero correlativi oggettivi. Ed ecco che alla memoria le riaffiora un momento di intimo piacere, e subito ritrova il piatto che in quell’occasione era stato cucinato. E per nulla gelosa della sua intimità ce ne regala la ricetta, il dosaggio, la formula magica che ci possa permettere di riproporlo, di ripresentarlo ai nostri personali convitati.
Il cibo aiuta la collettività, il cibo nobilita la solitudine di chi si trova a dover pensare a sé e a un’inquantificata alterità. Ma la cucina non è solo linguaggio domestico, maniera di comprensione senza bisogno di parole spesso fraintese e comunque colonizzatrici; la cucina è anche interazione, maturazione in età e comportamenti, occasione di deporre le armi e abbattere le frontiere che ci separano gli uni gli altri. Il menù della Sereni è ricco, così come ricca è la sua vita, la sua esistenza a contatto con gli altri, per la cura degli altri. Ammette anche le sue sconfitte, la Sereni. Apprezza i miglioramenti, li ricerca con estrema cura e perizia. Ma sa che ogni tentativo è prezioso, che ogni fallimento è rivelatore, che ogni sconfitta è una nuova partenza. Soprattutto in un campo, come quello culinario, in cui si procede per azzardi, per tentativi, confidando spesso nell’istinto, nel gusto personale, sistematicamente ignorando le ricette canoniche, grammaticalizzate e contrabbandando nuovi stimoli e percezioni.
La cucina è tutto. È concretezza e passione: l’avventura della Sereni ce lo dimostra concretamente, con un attenzione estrema e devota al dettaglio, alla precisazione mai inutile né superflua. La cucina è una rotta da seguire, un atto dovuto all’eleganza della nostra vita, alla ricchezza di un pensiero, alla grazia che dovremmo avere il tempo si scovare nell’implacabile trascorrere del nostro tempo, nella routine che altrimenti ci stritolerebbe. Ogni gesto, in cucina, è un rito; ogni ricetta è un’antica formula che se non accompagna alla felicità ce ne porta sicuramente un po’ più vicini.