Giulio Gasperini
AOSTA – La ripubblicazione del testo di Porpora Marcasciano, Tra le rose e le viole, per Edizioni Alegre, è un atto politico potentissimo. La presa di parola di dieci “transessuali e travestiti” è fondamentale nel tentativo di sovvertire l’oppressione del pensiero dominante, assieme all’assumere il punto di vista interno, quel “partire dal sé” che è alla base di ogni narrazione autobiografica. Nonostante le storie presentate siano già piuttosto lontane nel tempo, raccolte tra il 1999 e il 2000, continuano a essere memoria preziosa e imprescindibile, per comprendere cosa sia stato il movimento trans, in Italia, dalle sue origini ai giorni attuali.
La memoria è essenziale nella costruzione dei una narrazione comunitaria e sociale – in questi giorni ne parliamo abbondantemente, per altre questioni. Ecco perché le storie di queste dieci transessuali diventano preziose: perché parlano direttamente di sé, senza nessuno sconto né agevolazione, mettendo ogni aspetto della loro vita al cospetto di tutte e tutti, alle loro valutazioni e osservazioni.
Le storie presentate in “Tra le rose e le viole” contribuiscono a presentare una narrazione corale e collettiva – come abbiamo già avuto moto di dire, un’epica intera – collocandola al di fuori della cornice patologizzante che per lungo tempo ha segnato le vicende della comunità trans, non solo in Italia. È una storia “dal basso”, una ricerca sociologica che serve a tutte e tutti, perché la società è composita – e questa è la sua ricchezza principale.
Dalla storia di Roberta, una delle pioniere del movimento, operatasi nel 1977 a New York, alla storia di Sofia, nata nello stesso anno, si dispiega un flusso di racconto che permette di osservare come sia cambiata la realtà – umana e sociale – di chi intraprende un percorso di transizione. Le dieci voci narranti ci presentano anche una varietà di declinazioni che da sole testimoniano una complessità che rifugge ogni classificazione e denominazione stringente: ne è un esempio la storia di Max, nella cui narrazione ci troviamo più volte spiazzati, come una pietra d’inciampo che non ci permette più di continuare senza rivolgere uno sguardo attento al percorso di fronte a noi.
Come scrive Porpora Marcasciano nell’Introduzione, il lavoro politico più potente è stato quello di presentare le persone con il loro quotidiano, le loro difficoltà, per affrancarle dalla narrazione tossica dominante: “Descritti e trattati come folli o criminali, angeli o demoni, attori o clown, mai come persone che hanno una propria normalità, un proprio quotidiano che non è solo marciapiede o palcoscenico”. Come nel caso di tante altre alterità considerate minoritarie, anche la comunità trans aspetta di essere conosciuta oltre il pregiudizio e il preconcetto. In questo libro, con coraggio, ha cominciato a raccontarsi.