La potenza del seme per un “Libro Fiore”

libro fioreGiulio Gasperini
AOSTA – Tutto inizia da un fiore. Anche la deliziosa filastrocca di Gianni Rodari, cantata da Sergio Endrigo, lo raccontava. Ma per fare un fiore, in realtà, si parte da un seme, inizio e fine di un ciclo che ricomincia sempre da sé stesso, secondo una naturale perfezione. Un po’ quello che ci racconta Isabella Christina Felline nel Libro Fiore, edito da Ouverture Edizioni, completato con la traduzione in inglese, illustrato da Elena Martini e impaginato con un carattere a lettura facilitata, in particolare per i dislessici. Continua

“La strega di Baratti” e un mistero lungo i secoli

La Strega di BarattiGiulio Gasperini
AOSTA – A Baratti, località a strapiombo sul mare nel parco archeologico di Populonia, in provincia di Livorno, fu rivenuta dagli archeologi dell’Università dell’Aquila, in mezzo ad altre tombe di epoca medioevale, una sepoltura anomala ed enigmatica, tra le più famose d’Italia: quella denominata S64, che custodiva la “strega” di Baratti. Stelio Montomoli, in La strega di Baratti edito da Ouverture Edizioni, tenta la strada dell’invenzione narrativa per spiegarci chi sia stata, questa presunta strega, e quale sia stata la storia che l’ha condotta in quella tomba così inquietante.
Ma perché strega? Perché condannata a una sepoltura così crudele? Le risposte, purtroppo, non ce ne sono; ci sono soltanto ipotesi e illazioni. Continua

Una buona e saporita cucina di Resistenza

La Resistenza in cucinaGiulio Gasperini
AOSTA – Il mercato editoriale italiano è, evidentemente, da alcuni anni ingolfato di ricettari. Tutti si improvvisano (o esagerano) cuochi e propongono ricette spesso senza neanche un elemento comune o un’idea originale. Non è così il ricettario di Roberta Pieraccioli, edito in un’ottima veste grafica da Ouverture Edizioni (2015). La Resistenza in cucina, come recita il sottotitolo, è un insieme di “Ricette del tempo di guerra per resistere al tempo di crisi”, e trova le sue ragioni in un omaggio alla madre dell’autrice.
Sono ricette, quelle di Roberta Pieraccioli, che partono da alcuni comportamenti tipici dei periodi di guerra e di grande crisi: il risparmio, il riutilizzo, l’evitarsi di sprechi, in particolare. Sono tutte ricette, pertanto, che richiamano un periodo storico preciso, che formano un collage anche familiare di ricordi e tradizioni. L’autrice stessa, nella sua introduzione, fornisce la chiave di lettura per poter comprende al meglio questo ricettario che non è soltanto raccolta di ricette, ma anche “ricostruire attraverso la cucina un piccolo spaccato della vita quotidiana di settant’anni fa proponendo un breve percorso storico seguendo i ricettari del tempo di guerra”. C’è anche un po’ di storia, in questo libro (con una ricchissima bibliografia finale), infatti, perché la cucina è una delle manifestazioni, come direbbe Massimo Montanari, di vera cultura e pertanto imprescindibile. Ecco che Pieraccioli scrive di carta annonaria, di mercato nero, di orti di guerra (che così tanto di attualità sono tornati). Perché la cucina si basa sugli ingredienti che le persone hanno a disposizione; nient’altro.
Non ci sono, di proposito, alcuni famosissima piatti tradizionali maremmani, della cosiddetta cucina povera. Ne compaiono, invece, altri, meno noti ma non per questi meno saporiti e appetitosi, in una lunga lista di 50 ricette sfiziosissime. Si inizia coi primi piatti, quasi tutti della nonna Argia, dalla farinata alla zuppa di castagne (abbondanti in Maremma), ai tortelli ripieni di carne avanzata, al brodo di guerra. I secondi spaziano dalla trippa finta alla fiorentina, allo sformato di lesso, alla frittata di ortiche senza uova e con farina di ceci. Un abbondante spazio è destinato alle frittelle dolci e salate, che al tempo non venivano di certo fritte con l’olio (ma con lo strutto).
“La Resistenza in cucina” è un ricettario unico, che accompagna il lettore su un doppio binario, complementare. Da una parte la scoperta di un periodo della nostra storia moderna; dall’altro, la possibilità di reinventarsi in cucina seguendo nuove (ma vecchie) regole e assecondando il momento storico, così simile per certi versi, a quello appena trascorso e ricordato nel testo.

Un “Libro viola” sul virus HIV

Libro violaGiulio Gasperini
AOSTA – Il primo caso fu registrato nel 1981. Da allora, attorno al virus HIV si sono costruiti muri di pregiudizi e false credenze, che hanno reso questo virus un nemico ancora più difficile da combattere, perché oltre alla battaglia del corpo si aggiunge quella contro una società che spesso rifiuta e respinge, condannando alla solitudine e all’esclusione. Sandro Ori, infermiere toscano, ha cercato di raccontare sotto una luce diversa il virus HIV e la condizione del sieropositivo nel “Libro viola”, edito da Ouverture Edizioni (2014).
La ricerca di Sandro Ori si sviluppa su tre diversi livelli: da una parte, una trattazione “scientifica”, che dà informazioni corrette e puntualmente documentate, in particolare su sette argomenti specifici, dalla discriminazione agli operatori che si occupano quotidianamente del virus, dalla solitudine alla maternità al continente nero, dove l’HIV e in particolare la malattia conclamata dell’AIDS stanno mietendo un numero impressionante di vittime nell’indifferenza di tutte le istituzioni, civili a religiose; poi l’indagine di Ori prosegue con un racconto, di diverse ambientazioni, che si ricollega in maniera significativa con l’argomento di ciascun capitolo; per finire, un’intervista a vari personaggi, dallo sport alla politica, da Flavia Pennetta a Fabio Canino, da Cesare Marretti a Roberta Gemma, che raccontano sé stessi e un po’ parlano del virus HIV e delle loro conoscenze e percezioni su questo virus, come fossero testimonial e significativi messaggeri di un’accortezza e considerazione particolari.
Sandro Ori ha il merito, in una lingua semplice e schietta, di ricordare e sottolineare alcuni concetti che finiscono quasi sempre per essere dimenticati, soprattutto per ignoranza (ma anche per certe incoscienti scelte); ci fa abbandonare alcuni preconcetti e pregiudizi, rimarcando, ad esempio, che l’HIV non è una questione esclusiva degli omosessuali, ma riguarda ogni persona, di qualsiasi orientamento sessuale. Sottolinea, inoltre, in maniera forte e decisa, come l’emarginazione, l’abbandono, la discriminazione siano comportamenti immotivati e gravissimi, che non dovrebbero trovare spazio in nessun consesso civile e sociale, perché finiscono per aggravare (ingiustamente e sconsideratamente) qualsiasi condizione.
Impressionante, negli ultimi anni, quanto sia sceso, soprattutto tra i giovani, il livello di preoccupazione sul virus HIV e le sue conseguenze: non si presta più attenzione, non si ha la percezione di cosa questo virus sia, di cosa possa comportare per sé stessi e per gli altri. Indubbio come la medicina moderna abbia sviluppato strategie e cure per permettere ai sieropositivi di condurre una vita tranquilla e non destinata irrimediabilmente alla morte, ma altrettanto indubbio è che soltanto una corretta informazione e una responsabilizzazione seria possano determinare la vittoria su una delle più gravi epidemia che la storia dell’uomo ricordi.

“Il veganesimo significa allargare i propri orizzonti”: ChronicaLibri intervista PoveroVegano.

PoveroveganoGiulio Gasperini
AOSTA – Il veganesimo è ben altro rispetto a una moda del momento. È una capacità di intendere il cibo (ma anche molto altro) secondo nuovi rapporti e legami con la persona stessa, la sua fisicità e la sua interiorità. Ma scegliere la strada vegan significa ripensare tutto il ricettario, imparare a cucinare diverso. Ouverture Edizioni ha pubblicato “Vegano alla mano”, comodo e pratico ricettario compilato da Arianna Mereu e Vieri Piccini, che si svelano in quest’intervista per ChronicaLibri.

 

Che cosa significa, oggi, essere vegano?
Per noi oggi essere vegani significa consapevolezza. Anni fa fare una scelta del genere implicava molto più impegno perché l’informazione a riguardo era molto scarsa e non c’era attenzione particolare verso l’alimentazione e verso l’ambiente. Oggi, un po’ perché il cibo va di moda, un po’ perché molti hanno cominciato ad interessarsi del proprio benessere, la scelta vegan è sempre più in primo piano. Si sta creando un interesse intorno a tutto ciò che è benessere per il mondo e per noi stessi. Ci interroghiamo molto di più su ciò che mangiamo e come viviamo e cerchiamo risposte che ci aiutano a capire meglio noi stessi e i nostri bisogni. Essere vegan oggi significa allargare i propri orizzonti oltre le mura della nostra casa e sentirsi parte di tutto il mondo.

 

Quali sono le domande più importanti che ognuno di noi dovrebbe porsi, in questo senso? Quali sono gli aspetti della vita moderna che il vegan riesce a far affrontare in una nuova prospettiva?
La prima domanda che dovremmo farci è: come stiamo sopravvivendo (se stiamo sopravvivendo)? Ovvero: tutto quello che stiamo facendo e che ci permette di vivere in questo mondo è sensato, coerente con la natura che ci circonda? Poi di seguito potrebbe venire fuori una domanda estranea a molti: facciamo parte della natura? In che modo? Qual è il nostro ruolo? Da qui tutti gli interrogativi sulla natura dell’essere umano. Inoltre esistono già da tempo domande e risposte riguardo all’inquinamento del pianeta e quindi se sia giusto distruggere quella che è la nostra “casa” e come comportarci con gli inquilini che la abitavano già da molti anni prima di noi.
Con la scelta vegan le prospettive si moltiplicano e sono positive nei confronti di tutto e tutti. Il mangiare è solo il primo degli aspetti che fanno affrontare la vita in un modo più consapevole. Diciamo che l’interesse nei confronti di qualsiasi cosa riguardi il nostro stile di vita si amplifica, facendoci trovare nuove possibilità di relazionarsi al nostro modo di vivere, spesso più semplici di quanto pensiamo.

 

Perché la scelta di mettere su carta? Di scrivere? In che modo il vostro ricettario può essere utile?
La scelta di scrivere un ricettario è nata da problemi di natura pratica, più che da considerazioni filosofiche: cercando su internet, o in altri ricettari, quasi mai trovavamo ricette che fossero al tempo stesso vegane, gustose ed economiche. Molto spesso il mondo vegan viene associato a una scelta alimentare elitaria, riservata a chi può permettersi di fare la spesa nei negozi specializzati seguendo tutte le ultime mode in fatto di dieta e alimenti esotici, cari e introvabili altrove. Il nostro modo di vivere l’alimentazione vegan è diametralmente opposto: alimenti di stagione, facilmente reperibili e alla portata di tutti, per cucinare ricette semplici e buone. E non è così difficile! Essere vegan per noi dovrebbe voler dire semplificare la vita, non complicarla: da quando abbiamo iniziato il blog (poverovegano.tumblr.com) e successivamente pubblicato “Vegano alla Mano”, abbiamo ricevuto molte testimonianze di persone, vegane e non, che sono rimaste colpite dalla semplicità e positività del nostro approccio, che riporta il vegan nella sfera del quotidiano e non dell’eccentrico e difficile.

 

Com’è nato il progetto PoveroVegano? Chi c’è dietro questo nome?
PoveroVegano è nato nel 2012 e gli ideatori sono Arianna Mereu e Vieri Piccini. Quando ci siamo conosciuti Vieri era vegano da diversi anni e Arianna aveva problemi di salute che la stavano indirizzando naturalmente verso questo percorso. Arianna ha apprezzato da subito il fatto che Vieri vivesse la sua scelta in modo molto semplice e spontaneo: era abituato da quando la scelta vegan era molto meno diffusa e “di moda” rispetto a adesso ad arrangiarsi con quello che aveva a disposizione, senza cercare soluzioni strane e dispendiose. Il progetto PoveroVegano è nato, come dicevamo, prima di tutto da un’esigenza personale di creare una specie di archivio di ricette buone, vegan e semplici: da lì alla voglia di condividerlo, con positività ed entusiasmo, il passo è stato breve!

 

Ci sono altre iniziative all’orizzonte? Come prevedete che continuerà il progetto di PoveroVegano?
Rispondere a questa domanda non è troppo semplice, in parte perché ci sono delle situazioni “work-in-progress” che non sappiamo bene che direzione prenderanno e in parte per scaramanzia siamo abituati a non dire niente finché non c’è qualcosa di sicuro. Per adesso continuiamo a cucinare e mandare avanti il blog cercando nuove e divertenti soluzioni per le ricette. Allo stesso tempo stiamo pensando ad una possibile nuova pubblicazione, dato il buon successo del primo libro, con contenuti diversi; vediamo dove ci porterà questa estate!

Alla scoperta di Cuba drink to drink.

Alcune strade per CubaGiulio Gasperini
AOSTA – Quello che ci propone Alessandro Zarlatti è un appassionante viaggio attraverso Cuba drink to drink. Dal rum liscio invecchiato al mojito, dal guarapo al vino Soroa, “Alcune strade per Cuba” edito da Ouverture Edizioni ci fa esplorare una Cuba poco convenzionale, come la può conoscere solamente chi ci vive da anni, insegnando la lingua più bella del mondo, ovvero l’italiano.
Quindici racconti, che hanno come introduzione la descrizione spiritosa e anti convenzionale di drink e cocktail facilmente reperibili nell’isola caraibica, sono ambientati in una Cuba di strada, in un’isola che scontorna la geografia e si popola di anime, di caratteri, di persone. Diventa piuttosto uno stato d’animo, un groviglio di sentimenti e di situazioni insperate e inattese, che distorcono percezioni e sensazioni.
Sono racconti divertiti e divertenti, sorprendenti nell’andamento e nella trama, come “AA04583782”, che racconta le peripezie di una banconota attraverso le tante mani della tanta gente che il denaro lo fa circolare; oppure possono toccare momenti di grande dolore come nel caso di “Perros”, che racconta la piaga dei combattimenti tra cani. L’io narrante di volta in volta cambia prospettiva, modifica la sua visione, ci fa mettere sempre in gioco, rischiando anche personalmente nella ricerca ardita di qualcosa che potremmo riconoscere, per non essere in balia di situazioni ed eventi. È un narratore che non si stanca e non si demotiva, ma conosce la ricchezza delle storia che possiede e se ne diverte, spesso procedendo per sottrazione e non lasciando troppo in dono al lettore.
Attraverso le pagine le ispirazioni alcoliche paiono darci delle coordinate fantastiche, quasi i punti di un orientamento che può compiere infinite rotte per un approdo ultimo che sempre ritardiamo, perché sappiamo troppo definitivo. Un po’ come Costantino Kavafis raccomanda in “Itaca”: “Itaca ti ha dato il bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / sulla strada: che cos’altro ti aspetti?”.
Da Cuba ci si attende sempre molto perché Cuba è una terra che ha da sempre un fascino particolare. Una storia, una cronologia che l’hanno resa di volta in volta bandiera e capro espiatorio, diavolo e santo di opposte fazioni. La Cuba di Alessandro Zarlatti si libera un po’ del suo carico morale, delle sue responsabilità al cospetto del mondo e diventa luogo di curiose quotidianità, di divertenti tangenze. Un luogo che potrebbe anche, così, non esistere.

Le tante novità al Salone del Libro (evitando i muraglioni).

Salone del Libro di TorinoGiulio Gasperini
TORINO – Anche quest’anno ChronicaLibri ha esplorato per voi i padiglioni del Salone del Libro di Torino alla ricerca delle ultime novità editoriali. Passeggiando tra gli stand ci siamo meravigliati di alcuni aspetti e ci siamo stupiti di altri, notando come i grandi gruppi editoriali avessero negozi (e non stand) con alti muraglioni di vetro e luci diafane e commessi più che librai mentre i piccoli editori stringessero le mani ai visitatori e amassero parlare di ogni singola loro creazione come se fosse effettivamente un figlio. Passeggiando e guardando, passeggiando e annotando, siamo tornati a visitare amici di sempre, che ci hanno illustrato le loro ultime novità.
Add Editore presenta “Il maestro dentro” di Mario Tagliani, il diario della trentennale esperienza come maestro tra i banchi di un carcere minorile, e “Musica nel buio” di Cesare Picco, la storia di un pianista che suona nel buio più completo, per scelta, nella performance “Blind Date – Concert in the Dark”.
Gli amici toscani di Ouverture Edizioni, invece, presentavano al Salone del Libro due testi: il semplice ma gustosissimo ricettario “Vegano alla mano” coi i due autori, Arianna Mereu e Vieri Piccini, e “Alcune strade per Cuba” con l’autore Alessandro Zarlatti, una ricca collezione di racconti che raccontano i suoni, i colori, gli odori di una terra in profonda trasformazione.
Dopo il successo di “Oltre il vasto oceano” di Beatrice Monroy, in corsa al Premio Strega 2014, Avagliano Editore propone “Casa di carne” di Francesca Bonafini, la storia di una crescita che corre tra quattro città: Trieste, Brest, Rio de Janeiro, Lisbona.
Gli amici di Elèuthera ci hanno presentato il nuovo saggio di Marco Aime, “Etnografia del quotidiano”, uno sguardo antropologico sull’Italia che cambia, che ha ottenuto un grandissimo successo anche al Salone del Libro.
La Giuntina, invece, presentava due testi: il primo, “Idromania”, di Assaf Gavron, un’inaspettata sorta di thriller fantascientifico sulle guerre che la carenza d’acqua scatenerà nel mondo; il secondo, di un’autrice di punta come Lizzie Doron, “L’inizio di qualcosa di bello”. Spostandoci in oriente, invece, la ObarraO Edizioni aveva portato al Salone due testi della collana In-Asia: “Il mondo dei fiori e dei salici” di Masuda Sayo, l’autobiografia di una geisha, e “Fuga sulla luna” del cinese Lu Xun.
Anche quest’anno, un Salone ricco di sorprese e di buonissimi testi. Evitando i muraglioni e le vetrine troppo accese.

“Vegano alla mano”: il ricettario vegano facile e gustoso.

Vegano alla manoGiulio Gasperini
AOSTA – Il concetto di partenza è chiaro: “Essere vegan non è complicarsi la vita ma semplificarla”. Eliminare carne, latte, pesce, uova e tutti i prodotti derivati dagli animali significa tornare a un’alimentazione basica e semplice, che segua il ritmo delle stagioni e che assecondi piuttosto i cicli naturali. Arianna Mereu e Vieri Piccini (assieme, il Poverovegano) hanno deciso, per questo, di offrire a tutti i vegani (ma anche a chi, non essendolo, non disdegna altro genere di piatti e di cibi) un ricettario vegano vario, completo ma di ricette estremamente semplici e facili da preparare: “Vegano alla mano”, edito da Ouverture Edizioni, casa editrice della Maremma toscana, racchiude, come recita il sottotitolo, “Ricette facili e gustose 100% vegan a base di ingredienti alla portata di tutti”.
I vegani non dimenticano una sola portata del pasto: si comincia con i condimenti e le salse, tra cui hummus, mayovegan e varie salse di crostini; si prosegue coi primi piatti: dalle zuppe al ginger, al riso sotto la palma con zenzero e cocco, ai poveroveganonigiri agli spaghetti del vagabondo con fichi e mandorle. Si passa poi ai secondi e ai contorni, dalla parmigiana di melanzane vegan agli involtini di verza speziati, alle frittelle rustiche ai nodi di patate ai carciofi. E non si può concludere se non con i dolci, dalla classica torta pere e cioccolato alla lacrima di Oaxaca, con cioccolato e avocado.
Ricette semplici, ben descritte, precise nelle misure e nei dosaggi, nelle miscele e nelle composizioni, pensati proprio per tutti, senza nessuna distinzione. Ogni ricetta è corredata da una foto e da alcuni consigli generali di carattere anche culturale, in un volume dalla grafica divertente e leggera: un ricettario da portarsi sempre dietro, che fa cadere ogni alibi alla fatica di cucinare e di abbandonarsi ai cibi precotti o già pronti.
Caratteristica comune di tutte le ricette, quasi imperativo morale dei due autori: la valorizzazione del cibo, per evitare che qualcosa di buono finisca sciupato o sprecato. Ma anche l’utilizzo di ingredienti piuttosto semplici e non cari, visto che non molti, come i due vegani scrivono nel manifesto di apertura, possono permettersi “di fare la spesa tutti i giorni ai negozi dedicati ad un’alimentazione perfetta”.
L’avventura vegan non è esclusiva né, come a molti potrebbe sembrare, comporta privazioni di gusti e sapori. Piuttosto, è una diversa concezione della cucina, una diversa valutazione del cibo, un’alternativa strada per il proprio benessere.

“Ce l’ha un libro marrone?”: le poche idee (ma confuse) dei frequentatori di librerie.

ce_l_hai_un_libro_marroneGiulio Gasperini
AOSTA – Dà sempre un brivido di dispiacere il pensiero che la figura professionale del libraio stia scomparendo. Si intende, non quella del commesso che digita un titolo sul computer e va a scovarti il libro perso sugli scaffali della libreria vasta come un campo da calcio; si intende quel libraio che è, prima di tutto, un raffinato conoscitore della letteratura, che sa dare consigli e giudizi, e che è il primo critico del prodotto che si trova a vendere. Di questi librai ne sopravvivono pochissimi esemplari, spesso persi nei più remoti angoli di mondo, sempre in agguerrita lotta contro la comodità di internet e l’impersonalità delle grandi catene. Leonardo Oliva è uno di questi: a San Giovanni Valdarno gestisce un caffè letterario, il Fahrenheit 451 (un nome altisonante, che spesso viene equivocato: “Per via del profumo, immagino”), dove la letteratura è un punto di riferimento, prima che una voce di bilancio. E per Ouverture Edizioni ha pubblicato “Ce l’hai un libro marrone?”, un divertente campionario di strafalcioni e orrori quotidianamente pronunciati dai clienti della sua libreria. Il sottotitolo del volume riprende il fantastico romanzo di un altro toscano DOC, Luciano Bianciardi, non solo grande romanziere ma anche grande teorico del “lavoro culturale”: “L’agra vita di un librario”. Perché vivere a contatto con libri e pubblico non sempre è facile e può portare a fraintendimenti, crisi, arrabbiature e discussioni accese.
Come la signora che cercava l’11 settembre della Fallaci: “Con molta immaginazione c’è da credere che si trattasse de ‘La rabbia e l’orgoglio’, ma la signora è uscita stizzita perché del titolo era assolutamente certa”; o come chi cerca “un libro da 10 euro e 50” o uno “scritto da uno che si chiama Davide”. E c’è anche chi cerca i “libri bisex che vanno bene per tutti” o chi confonde la libreria per qualche altro negozio: “Avete un libro pressa per i fiori?”.
Al di là del campionario favolistico e persino grottesco delle richieste che il libraio si vede rivolte ogni giorno del suo lavoro, è gratificante – e persino un po’ tenera – l’immagine di un libraio che ancora dialoga coi suoi clienti, ne percepisce gli umori e ne dosa gli sfoghi convergendo sulla letteratura.

 

Non si tratta di ridicolizzare l’ignoranza o di prendere in giro l’incuria culturale: è un omaggio – un divertissement – per celebrare la libreria e le persone che ancora – è il caso di dirlo – hanno il coraggio e la costanza di frequentarle. E chi, soprattutto, ha il coraggio di resistere e cercare di tenerle aperte.

“Figlie dell’Iran”: Parvin, Mina, Massoumeh e le altre donne resistenti.

Figlie dell'IranGiulio Gasperini
AOSTA – La penna ferisce più della spada. È detto comune che mantiene un fondo di verità. Ma il libro curato dall’artista iraniano Reza Olia, “Figlie dell’Iran”, edito dalla maremmana Ouverture Edizioni (2013), dimostra come anche l’azione sia indispensabile per tentare, almeno, di cambiare un mondo che non funziona. Reza Olia arrivò in Italia nel 1959, per studiare Belle Arti: è un artista che non ha mai smesso di combattere per l’indipendenza e la libertà della sua nazione e del suo popolo, prima contro lo Scià e poi contro il cieco regime di Khomeini. Lo ha sempre fatto soprattutto attraverso le sue sculture e i suoi dipinti: ritrae e modella spesso donne dai volti fieri e coraggiosi, quelle donne che in silenzio, da sempre, subiscono le regole feroci e brutali dei regimi ma che, con la stessa dignità, cercano di minarli alle fondamenta e farli cadere.
L’idea di questo libro venne al maestro Olia in una capitale europea: durante la presentazione del suo libro “Il bronzo e l’esilio” fu avvicinato da una giovane ragazza, di nome Parvin, che cominciò a dispiegare il filo della sua memoria, inanellando una serie di orrori, di soprusi, di sevizie, perpetrate dal regime semplicemente perché era studentessa universitaria. La galleria umana delle “Figlie dell’Iran” continua con testimonianze dirette, donne che hanno accolto l’invito di Reza Olia nel voler condividere con il mondo le loro storie terribili in difesa della propria libertà personale e di quella dei loro connazionali, e anche col ricordo indiretto di altre donne, che hanno testimoniato con altri mezzi e altre espressioni artistiche e che adesso non ci sono più, già punite e condannate dal regime a una morte crudele: tra queste la fotografa iraniano-canadese Zahra Kazemi, o la vicenda tristemente nota di Sakineh Sangsar e della sua (sventata) lapidazione. Alcune di queste donne sono, appunto, diventate tristemente famose, balzate agli orrori della cronaca per le loro storie crudeli, per le loro vite devastate, per le interminabili violenze patite. Alcune, invece, non hanno né età, né nome, né volte, rimasto celato dietro veli e vesti della tradizione; alcune non hanno potuto gridare, né testimoniare le sofferenze patite, i gesti di quotidiano coraggio che permettono ancora di sperare in un mutamento: “Per molte donne che si avvicinarono alla politica in quegli anni difficili, ad esempio, vi erano obiettivi che andavano al di là delle battaglie per l’uguaglianza tra uomini e donne; soprattutto per il raggiungimento della libertà, della giustizia e per il socialismo” racconta Ziant Mir Hashemi. Sono donne, queste, spesso senza cultura, ma che edificano il sapere, diventando loro stesse cultura. E i regimi, tutti i regimi, di qualunque natura e impostazione siano, hanno paura della cultura: “L’obiettivo del regime era e rimane quello di annientare la libera comunità artistica iraniana”, sottolinea Marjan Tarjome.
Come ci insegnano Reza Olia e le “donne iraniane ancora rinchiuse nelle medievali carceri del regime e tutte coloro che sono cadute per la libertà”, l’azione e l’impegno civile sono indispensabili al cambiamento, mentre la penna è indispensabile per ricordare e non perderne la memoria. Perché è la testimonianza, in primis, che può edificare la coscienza civile e morale d’un intero popolo e d’un’intera nazione.