Giulio Gasperini
AOSTA – Il rogo è figura totemica nei romanzi di Helga Schneider: un fuoco che brucia e distrugge, che cancella e devasta. Dallo splendido “Il rogo di Berlino”, la Schneider, che da anni vive in Italia e scrive in italiano, continua a indagare – con una precisione antropologica persino chirurgica – la Germania e il suo popolo durante l’ascesa, il dominio e il crollo del regime nazista. Torna adesso, la Schneider, in libreria con un romanzo potentissimo, edito da Oligo Editore: Bruceranno come ortiche secche racconta la vicenda di un gruppo di omosessuali durante il periodo di ascesa del nazismo al potere, prima che diventasse completamente chiaro e palese il destino che attendeva, feroce e crudele.
Tag: omosessualità
L’amore, in ogni forma, è un diritto umano
Giulio Gasperini
AOSTA – Del 1948 è la Dichiarazione universale dei Diritti umani e ancor prima, del 1793, è la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino: il tema dei diritti individuali è antico e dibattuto, fonte costante di confronti e punti di vista. Negli ultimi anni, l’orizzonte dei diritti individuali si è andato sempre più allargando, quando si è affermata l’importanza di altre possibilità di diritti e libertà fino a poco prima non considerate né contemplate. Carlo Scovino, in Love is a human right, edito da Rogas Edizioni nella collana Atena con il patrocinio della sezione italiana di Amnesty International, decide di affrontare la questione dell’omosessualità dall’angolazione del diritto, sottolineando già dal titolo come l’argomento riguardi strettamente i diritti umani.
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Adolescenti ad Alta Leggibilità: “Io no!… o forse sì”, la storia di Steven, lo square-dance e i dubbi sulla propria sessualità
Giulia Siena
PARMA – Steven ha sedici anni, vive a Beaver Lake e ha un segreto: adora ballare square-dance e lo fa con la madre nel gruppo della Api Operose; balla non per fare un favore a sua madre o a tutte le vecchiette del gruppo, no, lui lo fa perché ballare lo rende felice. Già, proprio così. Come se non bastasse, poi, odia l’hockey, non è per niente attratto dalle ragazze, è un ottimo osservatore, è estremamente ordinato e, inoltre, ha una amica del cuore, Rachel. Nonostante tutti questi indizi, però, Steven continua a ripetere: “Io no, non posso essere gay! No. Io no. Assolutamente no”. Da questo continuo tentativo di Steven di auto-convincersi nasce il titolo del libro di David LaRochelle, Io no!… o forse sì pubblicato da biancoenero edizioni. Steven, fantastico protagonista della penna di LaRochelle, per dimostrare a se stesso di non essere gay si informa, ruba un libro in biblioteca per approfondire la questione adolescenti-identità-sesso, comincia a frequentare i veri maschi e a uscire con le ragazze. In poco meno di un mese, tra un esame di guida e l’altro, esce con oltre venti fanciulle senza essere attratto da nessuna; la sua attrazione, però, è per il Bowman, il giovane professore di educazione alla salute. Ma tutto questo non farà altro che confondere ulteriormente le idee di Steven. E se davvero fosse gay?
La storia continua, così, tra un tentativo e l’altro per schiarirsi le idee e capire in che direzione sta andando la propria vita.
Biancoenero edizioni, la casa editrice capitolina che dal 2005 si occupa del progetto Alta Leggibilità per avvicinare ai libri tutti i ragazzi – anche quelli che hanno difficoltà di lettura – con Io no! alza il proprio target e questa volta si rivolge agli adolescenti (dai 15 anni in su) con una tematica di estrema attualità raccontata con arguzia e semplicità. I lettori crescono, le problematiche da affrontare si moltiplicano e l’Alta Leggibilità rimane.
Ottimi spunti.
Qui lo speciale ChronicaLibri a Più Libri Più Liberi 2014 dove è stato presentato Io no!… o forse sì
“Love song” e la fenomenologia del nuovo matrimonio.
Giulio Gasperini
AOSTA – La storia di Federico Novaro è nota, approdata persino sul più grande palcoscenico della televisione italiana, quello di SanRemo. In molti si ricordano quei due uomini che raccontavano in silenzio, con modestia e persino con timidezza, attraverso raffinati cartelli, la storia del loro incontro, del loro innamoramento, della decisione di sposarsi. “Love song”, edito da ISBN Edizioni (2014), proprio come recita il sottotitolo, è la “storia di un matrimonio”, quello di Federico e di Stefano, celebrato a New York perché qua, in Italia, non è possibile. Come non è possibile nessun’altra forma legale di unione per due persone che siano dello stesso sesso. Federico Novaro sceglie di raccontare la storia sua e di Stefano preoccupandosi anche di discutere e di esaminare il concetto di “matrimonio”: istituzione che, oramai, è cambiata, al cambiare della società, perché dalla società stessa è stata definita e non può esentarsi dal cambiare lei stessa.
L’analisi di questa particolare istituzione va di pari passo, nel percorso di Novaro, con l’analisi di altri aspetti che completano e caratterizzano la società italiana attuale: dall’omofobia alla necessità di avere dei figli (negata agli omosessuali), alla presunta “normalità” che non esiste, ma che è semplice costrutto sociale. Il ragionamento di Novaro procede per domande, provocatoriamente rivolte ai lettori; questioni aperte e significative, che spesso vengono intenzionalmente sabotate dalla maggioranza dei “pensanti” e degli “opinionisti”. Il racconto della sua storia privata, della sua personale esperienza di marito anomalo, è incastonata in un’ottica ben più vasta: Federico e Stefano si scoprono presto coppia pubblica, il loro un gesto che si guadagna l’importanza della ribalta e diventa prezioso per chi si trova in quella medesima situazione; ma non solo. È un gesto che spezza l’omertà e riporta il discorso all’interno di binari dolorosi per tutti, per varie ragioni: per chi viene scoperto nell’oggettivo errore di una strenua difesa anacronistica (potente perché “legale”) e per chi, invece, deve ancora lottare contro codesta difesa e non ha dalla sua armi legislative.
Quella di Federico è finanche la confessione di chi, in nome di un’ostilità anti-borghese (vista come maggiore impedimento e strutturazione sociale giudicante di certe alterità), rifiutava il matrimonio proprio come concetto e poi invece si arrende all’idea che, tutto sommato, la libertà sta proprio nell’aver a disposizione certi strumenti e nel decidere se utilizzarli o meno. Perché il punto centrale sta proprio qui: non si discute tanto se il matrimonio possa essere utile, necessario, una scelta intelligente o una boutade; si discute sulla mancata possibilità per certe persone, nel nostro paese, di accedere a dei diritti che invece appartengono soltanto ad altri (che spesso li trascurano o li maltrattano): “Non c’è alcun dubbio che il matrimonio mantenga dei caratteri sessisti ed eterosessisti, e che il sostenerlo sia una battaglia dai tratti conservativi, ma ecco: prima facciamo che possiamo fare tutt’e due la stessa cosa, poi, magari, cominciamo a demolirla”. E i diritti, secondo un criterio che potrebbe essere persino giuridico, o sono di tutti o non sono di nessuno.
“It’s ok!!”: i fumetti contro l’omofobia.
Giulio Gasperini
AOSTA – L’omofobia si combatte in tanti modi: con l’educazione, principalmente. Ma anche con la lettura: e cosa ci può essere di più veicolante, di più immediato e fresco di un fumetto? Probabilmente nulla. La RenBooks da tempo edita manga (e graphic novel) a tematica lgbt, proponendo in un paese difficile come l’Italia due innovazioni: quello del fumetto e quella della letteratura a tematica, ancora difficilmente sdoganate. “It’s ok!!” è un’antologia di brevi storie, frammenti di vita che quotidianamente accadono, secondo diverse declinazioni e varianti, rivolta agli adolescenti gay ma anche ai loro genitori, che spesso si trovano impreparati e impotenti ad affrontare un momento estremamente delicato e critico nella vita dei loro figli.
Come tutti i manga, va letta al contrario, partendo dal fondo, e da destra verso sinistra: ma a parte questo iniziale scoglio, la lettura prosegue veloce e divertita attraverso le tante storie che con estrema dolcezza e attenzione vengono presentate al lettore. Nulla di eclatante, quasi una sorta di pudore reverenziale nei confronti di quel momento particolare in cui qualcheduno si scopre omosessuale; e di quel momento, ancora più sofferto e feroce, nel quale decidi di non voler più fingere e ti dichiari al mondo, ai familiari, agli amici, ai nemici, come se ci fosse qualcosa di cui dover chiedere scusa. Le indecisioni, i dubbi, le domande, la rabbia, la derisione: tutti i gradini, i passaggi di una presa di consapevolezza che spaventa perché sono gli altri a spaventare, con i loro giudizi, le prese di posizione, i gesti di bullismo più o meno evidenti, gli orgogli antichi di una cultura che tarda a maturare. Non c’è mai sensazionalismo, non c’è mai irrisione né irriverenza in queste trame; tutt’altro. C’è una partecipazione silenziosa ma evidente, un intento di “compartir” che è sempre la soluzione più giusta e più corretta quando ci si avvicina all’intimità di un’altra persona. Nel volume, creato grazie a Produzioni dal Basso, piattaforma italiana di crowdfunding, tra i fumetti di noti artisti giapponesi come Inuyoshi, Hiraku Taku e Kuro Nohara, sono state inserite note informative sulle associazioni che in Italia si occupano di questione lgbt: un utile strumento per chi, magari, avesse il bisogno di rivolgersi a qualcuno per informazioni o chiarimenti.
L’omofobia si combatte in tanti modi, evidentemente. Ma il primo, e il più importante, è sempre la cultura; una cultura sana, una cultura ricca, una cultura attenta alle evidenze, attenta all’individualità e alla sua sostanza, una cultura che sia attenta al mondo: a come si muove e a come si sviluppa.
La “Felicità perduta”, ogni volta ritrovata.
Giulio Gasperini
AOSTA – Accade sovente nella vita di sentire il bisogno di dare una brusca sterzata alla vita che si vive. Soprattutto quando si capisce che la felicità non potrà mai trovarsi lì. Il romanzo di Anne Percin, “Felicità perduta” edito dalla Hop! Edizioni nel 2013, ci fa immedesimare in Pierre, un giovane modello (per sbaglio) che abbandona la sua lussuosa vita parigina e si ritira, quasi moderno asceta, in un paesino della Provenza. Come a perdersi anche su una carta geografica. E qui vive, come in una sorta di contrappasso dantesco, raccogliendo oggetti scartati da altri, restaurandoli e vendendoli nei mercatini. Nel frattempo tenta di scrivere la biografia di una pittrice francese altrettanto dimenticata e maltrattata dei suoi improbabili tesori; una pittrice sfortunata già dal nome: Rosa Bonheur, famosa nell’800 pei suoi quadri che in gran parte ritraevano animali da campagna ma ancora di più nota per la sua beata relazione con una donna.
Il romanzo è una sorta di viaggio, un percorso attraverso la mente e la coscienza di questo ragazzo, che conduce a esplorare ogni singola piega, a gettare luce su ogni ruga, a stirare ogni increspatura più recondita. In realtà, è lui stesso che ci fa penetrare nel suo intimo più profondo con una calma e una capacità orchestrativa notevole, non concedendo mai più del minimo necessario. Per comprendersi, per giustificarsi, per significare la sua vita, il giovane Pierre ha bisogno di scandagliare i più variati aspetti della sua vita, a cominciare da un disturbato rapporto col cibo e da una svalutazione di sé stesso, un bellissimo ragazzo che non si pensa né si crede tale. I passi che ci conducono in quest’anima sono leggeri e soffici, come camminare sulla neve. Non c’è rumore che dia fastidio, non c’è intrusione, non c’è assedio. Le atmosfere sono calde, ovattate, come se l’ambiente si ripiegasse su sé stesso e il protagonista, a volerlo proteggere dalla sua stessa (presunta) fragilità.
Filo conduttore della ricerca, il nervo spesso che continua a dolere, il coltello operistico che continua ad aprire ferite e a infliggere sofferenze è il rapporto con R., che soltanto alla fine sarà battezzato col suo nome per intero, Rafaël, come se il processo di purificazione sia arrivato a compimento. La loro non è una storia canonica, ma un rapporto costellato di abbandoni, di lunghi silenzi, di smarrimenti, di luoghi ignorati. È un rapporto sempre al limite, che prosegue su un bordo affilato e sgretolato. Ma alla fine la felicità che si credeva perduta risorge, rinasce, risboccia potente. E di fronte a questo regalo immenso, percepito quasi immeritato, c’è la paura, il terrore di godersela subito per poi rimanerne privi, senza più la minima traccia: “La felicità, quando arriva all’improvviso, non bisogna divorarla troppo in fretta, bisogna farne piccole provviste, per i giorni che verranno. Perché arriveranno poi giorni interi, completamente neri”.
Copertina Heartcake ©Sylvia K
“Lettere da Sodoma”, dove l’amore è feroce.
Giulio Gasperini
AOSTA – “Un reietto, un rifiuto della società costituita, un borghese che è sceso fino al rango fangoso dei pezzenti, dei falliti”. Fallito, soprattutto, nelle sue ispirazioni artistiche e poetiche. È questo il personaggio protagonista del romanzo epistolare “Lettere da Sodoma”, che Dario Bellezza pubblicò per Garzanti nel 1972. Attraverso missive inviate a scontornati destinatari, Marco narra la storia della sua condizione, di questo strazio di vivere che si tesse con un più profondo supplizio d’amore: “Ho orrore della mia condizione di maniacalmente depresso che desidera l’orrore dell’euforia: fra questi due poli oscilla la mia vita”. E la sua vita è una continua lamentazione, un inarrestabile cadere in spazi d’ombra interiori, dove tiranneggia “la tragicità fanatica del quotidiano”. È un continuo ripensare ai suoi fallimenti, affliggersi con legami sadici e furenti: “Vivere di progetti non mi basta più”, ma neanche il sogno ha più spazio nella sua vita, neanche un amore che sia sano e maturo, puro e coraggioso.
Il tiranno per eccellenza, che spadroneggia e infuria, è Luciano, un ragazzino che si prostituisce per capriccio e avidità, che si diverte in un gioco perverso a tormentare e torturare il fragilissimo amante. La soluzione, Marco, l’ha ben chiara: “Mi ripeto che per farlo stare con me lo devo fare mio prigioniero”. È un amore cannibale, un amore tormentoso, una continua violenta prevaricazione e . Le parole di Marco sono velenose frecce, affondi feroci e violenti, ma anche consapevole che l’altro abbia un’armatura resistente e tenace, possegga una capacità innata di difendersi semplicemente con il potere della sua esistenza svagata e indisciplinata: “Lo scandalo di questa solitudine in cui mi costringi mi ucciderà. Attenta al rimorso. Ma tu sei troppo superiore a tutto”.
Marco sceglie la lettera, una forma di lettera poetica, per indagare il proprio scontento e lanciare anatemi e violente requisitorie contro i suoi amici, i suoi amanti, i suoi nemici, i suoi amori tribolati; la lettera gli dà compagnia, gli concede la possibilità di fingere una sciarada, una ricostruzione aleatoria e fittizia di una vita che lui desidererebbe intensamente non fosse la sua: “Ecco perché almeno queste lettere mi fanno un po’ di compagnia: sorelle della mia futura morte. Sono la mia ultima occasione, dove, niente essendo autobiografico, tutto lo sembrerà, senza rimedio”. Ma la lettera è strumento di strenua difesa, l’unica possibilità – fallito il tentativo letterario – per significare il suo io più profondo e concedersi una giustificazione d’esistenza: “Sono attaccato a queste lettere come un naufrago alla sua zattera che forse lo porterà a salvazione. Soprattutto le scrivo per uccidere il tempo, la noia”. La sua è una confessione, un tentativo di espiazione (“Mi sto laicamente confessando”). Ma abita a Sodoma, e pare non esistere per lui nessuna promessa di redenzione.