L’assenza del mito e la rassegnazione

Post. 13 storie post '89 che non sapevano di diventare un mitoMichael Dialley
AOSTA – Il mito è un idolo che le persone hanno come punto di riferimento e che utilizzano come modello da seguire nelle azioni quotidiane e come modello di vita. Avere un mito da seguire è stato fondamentale fin dalla nascita dell’uomo, ma lo è stato soprattutto per le generazioni degli ultimi anni.
Con “Post. 13 storie dopo l’89 che non sapevano di diventare mito”, edito da Lupo editore (2013), il curatore Paolo Paticchio pone l’accento sulla mancanza di veri miti negli anni ’90 da seguire per le generazioni attuali e, se alcuni sono stati miti, non sapevano che lo sarebbero mai diventati.
Ecco presentate quindi 13 storie, da altrettanti autori, che fanno conoscere al lettore 13 personalità, le quali hanno vissuto per creare qualcosa, combattere i mali della società, fornire ideali e perseguire scelte di vita.
Al centro si pone il problema del mettersi in gioco da parte delle persone: i veri miti degli anni ’60, ’70 e ’80 si mettevano in discussione, facevano scelte forti, controcorrente e soprattutto le urlavano al mondo esterno; i problemi erano chiari e le persone non avevano paura di mostrarsi e mostrare soprattutto il proprio disappunto.
Questo è ciò che i 13 autori-collaboratori del libro auspicano per le nuove generazioni: mettersi in gioco e non aver paura di esprimere le proprie idee; anzi, è dall’espressione dei propri pensieri che si può partire per migliorare la società, per risolvere situazioni e problemi che altrimenti continuano ad intaccare il nostro Paese.
È necessario porre domande e mettere in tavola le proprie carte, anche nel semplice quotidiano perché ciò che devono capire i giovani è che si parte dal piccolo per creare una vera “rivoluzione” che abbia i risultati cercati e concreti.
Ogni individuo può dare il suo contributo per migliorare la società e forse mai come ora abbiamo bisogno di esempi da seguire e di idee da sostenere.
Ciò che ci si deve chiedere, forse, è il motivo per cui dopo il 1989 le persone hanno iniziato a non avere più dei miti da seguire e come mai grandi e piccoli personaggi, come quelli presentati nel libro, non sono stati ascoltati e seguiti a sufficienza. Forse la sfiducia verso ogni cosa ha portato a questo risultato, o forse con il progresso e la tecnologia tutti sono incentrati su loro stessi, diventando più egoisti e non pensando al prossimo, all’altro, che ci sta accanto.

Matisse, un cagnolino giramondo

matisse a quattro zampe
Silvia Notarangelo

ROMA – Spesso sarebbe meglio abbandonarsi all’istinto, lasciando che a conquistarci siano un sorriso, uno sguardo, il calore di un abbraccio. A ricordarcelo è la disarmante spontaneità del piccolo Yorkshire protagonista diMatisse a quattro zampe”, libro di esordio nella narrativa per l’infanzia di Tiziana Cazzato (Lupo Editore).

Da quel primo incontro, il cucciolo non ha avuto dubbi: ha capito che doveva essere lei, quella Signora in nero, riservata e malinconica, la sua nuova mamma. Non una sostituta di quella vera ma, più semplicemente, una persona da amare e da cui essere amato.
Se lo scopo di una favola è quello di “insegnare divertendo”, l’autrice lo ha pienamente e brillantemente raggiunto. Con un linguaggio semplice, schietto ma anche sensibile e attento alle sfumature, è riuscita a dar vita a una storia deliziosa, che saprà coinvolgere i più piccoli e suscitare un sorriso sincero ai lettori più grandi.
Premesso che prendere lezioni non piace a nessuno, vale però la pena fare uno strappo alla regola per seguire l’avventura di questo grazioso cagnolino, “amante degli agi e dei lussi” nonché esperto in galateo e buone maniere. È lui a narrare in prima persona le sue giornate nella casa della Signora e della signorina Gambalunga. Ed è un racconto pieno di gioia, complicità e condivisione, frutto di quella spensierata allegria e di quell’affetto gratuito che solo gli animali sanno regalare.
Matisse non è un cane qualunque: osserva, si interroga, non si lascia abbindolare, sa essere discreto ma anche rivendicare con forza i suoi diritti. Se poi si tratta di cibo…qualunque capriccio è lecito. Certo, la modestia non è il suo punto forte, ma un po’ di vanità si può tollerare quando è ampiamente ricompensata da pazienza, generosità e premurose attenzioni.
Tutto rose e fiori dunque? Neanche per sogno. Anche un cane amato e coccolato come lui vive, infatti, le sue piccole e grandi sofferenze: regole da rispettare, compromessi a cui piegarsi, momenti imbarazzanti, invidie da tenere a bada. Non solo. Perché Matisse è un cucciolo che cresce velocemente e, come tutti, pretende “i suoi spazi, la sua privacy, la sua libertà”. Ha le idee chiare, non c’è dubbio, e anche agli adulti, proprio come tanti piccoli uomini, non risparmia critiche e frecciatine più o meno inconsapevoli. “Diamine, sono un cane! Non sono un uomo che complica anche le cose più semplici!”. Ecco, ogni tanto, “noi grandi” riscopriamo il piacere di leggere una bella favola perché, in fondo, c’è sempre qualcosa da imparare.

Lupo Editore per i più i piccoli: arriva “Kora. Una storia a colori”

KORA__ROMA – Kora ama disegnare ma ai suoi disegni manca sempre qualcosa: il tavolo non ha una gamba, il coniglio non ha un orecchio, la casa non ha le finestre e i colori che conosce sono solo quelli che vede nell’istituto e a scuola. Oltre al rosa del suo lettino, al giallo della lampada per  i compiti e pochi altri colori, Kora non ne conosce. La sua memoria è recente. Il suo ricordo si ferma all’attuale vita di ogni giorno.

La protagonista di “Kora. Una storia a colori” , il libro di Elisabetta Liguori  pubblicato da Lupo Editore, è una bambina di colore a cui manca qualcosa. Sua madre, lascia la Nigeria per approdare in Italia e dopo appena un anno nella Penisola dà alla luce Kora. La sua vita e questo bellissimo nome sono le uniche cose che Kora ha della madre. La bambina, infatti,  è stata abbandonata appena nata e della madre si sono perse le tracce. Ora Kora vive in un istituto e va a scuola. Ogni giorno deve affrontare le vessazioni di Matteo per il colore della sua pelle o per le addizioni che non riesce a fare alla lavagna.
Lei, per la sua storia e il suo passato, preferirebbe le sottrazioni. La sua giovane vita è stata un sottrarre: senza genitori, senza fratelli, senza amici e senza colori. Ma come si scoprono i colori? Come farà Kora ad aggiungere colori alla sua vita e a conoscere le sfumature del futuro? Attraverso il disegno e l’aiuto del pittore Saverio e della sua numerosa famiglia, Kora  può “affidarsi” e comincia a capire la condivisione, la completezza e l’appagamento che può dare l’affetto.

 

Le immagini di Carlos Arrojo danno vita alle parole di Elisabetta Liguori ed esaltano questo racconto che è fatto di vita e di favole.

“La donna lumaca” di Rosaria Iodice

La-donna-lumaca-Lupo-editoreAlessia Sità

ROMA – “Solo quando ti rendi conto che vivi in compagnia dei tuoi ricordi capisci che è finita. Ma il cuore ti cade a pezzi se hai troppi rimpianti con cui fare i conti.”

E’ con questa profonda riflessione che ha inizio il romanzo di Rosaria Iodice, “La donna Lumaca”, pubblicato da Lupo Editore. Angela ha trascorso un’intera esistenza cercando di assecondare le convenzioni di un’epoca, trascurando e dimenticando se stessa. Ha sempre sacrificato la sua felicità nella morsa dei sensi di colpa e dell’autocensura, che solo a tratti è riuscita ad addolcire in un momento estremamente delicato nella sua vita: la maternità. A fare da sfondo alle vicende della protagonista è l’Italia del secondo Novecento, con tutti i suoi conflitti e le sue rivoluzioni, che ne hanno segnato indelebilmente il corso della storia. Angela ha visto la guerra, ha conosciuto la sofferenza, è figlia delle turbolenze di una società in cui l’aborto oltre ad essere “una tragedia intima” è illegale e perseguibile dal codice penale. E sarà proprio l’Amore a cambiare totalmente la sua vita. L’incontro con uomini sbagliati, le scelte difficili e dolorose, plasmeranno il cuore e la mente della futura Nanda, la quale sentirà per sempre la necessità di espiare un passato infelice. In un periodo storico in cui le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, solo il coraggio di Teresa – la caporeparto della sartoria in cui Angela lavora durante gli anni della sua gioventù – le svelerà l’esistenza di un universo femminile, fatto di diritti e di reciproco aiuto. Nonostante tutto, però, l’inguaribile insicurezza e i pregiudizi del tempo, rappresenteranno continuamente un ostacolo nella sua vita. Dietro al timore di perdere la sua unica vera felicità- rappresentata dalla figlia Roberta – la protagonista cela un’altra grande paura: quella di ritornare ad amare o forse imparare ad amare ed essere amata per la prima volta. A segnare la vita di Angela-Nanda non saranno solo le proprie vicissitudini, ma anche tragici eventi, come il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980. Da allora, l’aria di precarietà inizia a farsi sempre più pressante. “I terremoti nella vita non sono soltanto quelli provocati dalle placche della terra e dal Vesuvio che mugugna in sordina. Ci sono terremoti che ci cambiano dentro e che fondamentalmente segnano il passaggio tra un prima e un dopo nelle nostre vite”.

Il romanzo di Rosaria Iodice diventa metafora dell’incapacità di vivere liberandosi dalle proprie paure, insicurezze e dai demoni che abitano la mente e il cuore. Il guscio di lumaca dentro cui Angela si nasconde, per fuggire la cattiveria del mondo, diventa impenetrabile nel momento in cui decide di cambiare la sua identità in Nanda. “La donna lumaca” è un romanzo fatto di attimi di vita quotidiana, immersa in un contesto socio-politico-culturale difficile, che inevitabilmente condanna la protagonista a un’esistenza di menzogna e spaesamento. Nonostante tutto, però, Rosaria Iodice riesce a creare quel lume di speranza che prelude a un futuro di riscatto.

“Scongela l’arrosto”, Chronicalibri intervista Giovanni Battista Odone

Luigi Scarcelli
PARMA
– Passioni, famiglia, quotidiano e legami sono alcuni degli ingredienti di “Scongela l’arrosto”, il libro di Giovanni Battista Odone pubblicato da Lupo Editore. Dopo aver recensito il romanzo Chronicalibri ha intervistato l’autore per scoprire come comincia un’esperienza narrativa come “Scongela l’arrosto”.

 

“Scongela l’arrosto” è la tua prima esperienza narrativa; come è nato questo libro?

Il libro è nato da una mia proiezione nel futuro: ho immaginato come, subendo passivamente i più banali accidenti della vita, senza tener conto dei possibili accadimenti tragici, sarei potuto diventare a distanza di vent’anni. Un esercizio utile per riflettere sul proprio presente: giocare con l’ipotesi del proprio futuro.

 

Famiglia, umori, amori e cambiamenti: perché hai scelto questo tipo di storia?

Perché in un epoca in cui ci raccontano che siamo soli, individui persi alla ricerca di relazioni, dimentichiamo troppo facilmente che ciò che siamo e diventiamo discende ancora ed inevitabilmente dal nucleo famigliare in cui cresciamo: una microsocietà che ci segnerà per sempre, nei ricordi come nella personalità.

 

Ci sono momenti o persone della tua vita che hanno ispirato “Scongela l’arrosto”?

Guardando adesso al periodo in cui scrissi questo romanzo, posso dire che fu un momento di accelerazione della mia personale crescita. Devo ammettere che la vicenda narrata, misto di fantasia e realtà, è punteggiata di episodi, persone ed oggetti che restano nella mia memoria come compagni di viaggio.

Il tuo è un romanzo incentrato su alcune tematiche forti, tra queste la famiglia. Allora sorge quasi spontanea la domanda: secondo te la creazione di una famiglia è la fine della passione di una coppia o solo una fase di maturità che spesso viene gestita inconsapevolmente?

La famiglia è come tu decidi che sia. Diventa come tu vuoi che diventi. Certo, non tutti gli accadimenti della vita dipendono dalla tua volontà, ma il raccolto di domani dipenda dalla semina di oggi. Per chi decide di intraprendere un “viaggio nella famiglia” sarebbe fondamentale chiedersi se la semina che si vuole sia la fine della passione, una fase di maturità gestita inconsapevolmente, o qualcosa di più gioioso.

 

Giulio e Lara hanno due caratteri completamente diversi, i classici due opposti che si attraggono. Ma l’attrazione può durare?

L’attrazione è un crinale da percorrere godendo del panorama: di tanto in tanto si scivola giù. Ma è così avvincente risalire verso il crinale dell’attrazione per la donna che ami, che vale la fatica e lo sforzo tornare su. Per godere nuovamente, ancora una volta, del panorama.

 

Personaggio cruciale del libro è Sara, figlia di Lara e Giulio, che nel romanzo assume diversi ruoli. Come hai costruito questo personaggio e cosa rappresenta, è una semplice spettatrice, una complice o una vittima?

Sara era nata come un contorno: un’appendice della strana coppia di adulti. Solo successivamente è diventata voce narrante e punto di vista preponderante nella vicenda. Tragicamente si trova a scoprire il vero volto del padre, capendo come questo è uscito sconfitto dal rapporto con la donna della sua vita, senza nemmeno avere la forza di abbandonare la partita.

 

C’è un autore che pensi abbia influenzato il tuo modo di scrivere o a cui ti sei ispirato?

Come ho raccontato al mio Prof. Di Italiano dei tempi del Liceo, i toni del mio romanzo volevano essere ispirati da Raymond Carver, con la tragicità di gesti semplici o avvenimenti monotoni: ma la passione per il racconto della vita mi ha fatto aggiungere in diversi brani qualche colore in più.

“Macelleria Equitalia”, l’unica macelleria che possiamo permetterci

Marianna Abbate
ROMA  Equitalia è un nome che incute timore. Un nome che toglie il sonno, che agita. Non sono lontane le notizie di cronaca che presentavano disperati mentre entravano negli uffici del riscossore tributario armati fino ai denti. Perché Equitalia arriva inaspettatamente, colpisce quando sei tranquillo.

Alzi la mano chi negli ultimi due anni non ha ricevuto nessuna cartella dal famigerato ente? Io personalmente ne ho ricevute diverse, principalmente per multe finite nel dimenticatoio. Ma se il mio sacrificio è stato abbastanza ridotto (sotto i mille euro), non mi è difficile immaginare il dramma di una famiglia che si vede arrivare una cartella da 10.000 euro, quando il reddito annuo non supera i 14.000. E tutto magari per un impagato da poche centinaia di euro cui si aggiungono multe su multe.

 

Ed ecco qui la storia delle storie raccontate da Giuseppe Cristaldi nel suo “Macelleria Equitalia”, pubblicato da Lupo Editore. Cinque racconti brevi, immagini di vita vissuta. Non sono storie complicate, sono storie vere. Fatti nudi e crudi, inquietanti nella loro inesorabilità. Microstorie racchiuse nella macrostoria che si sta compiendo ora nel nostro Paese.

Quello Stato che aveva fatto di tutto per includere, per diffondere, per uniformare… beh quello stesso Stato oggi esclude. Traccia una linea netta tra chi è nel giusto e chi ha peccato del più grave dei peccati: l’indigenza. Non avere diventa una colpa gravissima: A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.

Le parole dell’evangelista vengono interpretate nella concretezza più assurda e rimangono chiaramente incomprese.

Ad essere colpiti sono principalmente coloro che hanno da sempre fatto la ricchezza del paese, quei piccoli imprenditori che altro non sono che contadini, agricoltori, allevatori e artigiani. Quelli che hanno peccato nel modo più grave: non hanno pagato la Decima.

Ma se nel medioevo la Decima corrispondeva ad un decimo del raccolto, le tasse di oggi sono al 44%. Un peso insostenibile per chi già avrebbe problemi a contribuire con il 10%.

Tra guadagni presunti, valore aggiunto e scontrini il gioco non vale la candela, e così moltissime imprese sono costrette a chiudere i battenti. O non pagare le tasse.

Ma l’atto stesso di non pagare, di chiedere un dilazionamento, di cercare un po’ di respiro è un marchio indelebile sulla carne del malcapitato. Un segno che lo indica come parassita, grazie alla martellante pubblicità, come delinquente. Non importa se quelle tasse sono state sempre pagate: se hai mancato all’appuntamento non è perché sei povero, perché hai bisogno di aiuto, ma perché hai rubato. Hai nascosto nel materasso chissà quali tesori per acquistare una villa nei paradisi fiscali.

Ognuno giudica con il suo metro, e questo potrebbe farci comprendere molte cose. Forse lo Stato non riesce ad accettare l’idea che ci siamo impoveriti così tanto. Forse teme che tutto questo sia vero, nascosto dietro ai (poco) rassicuranti e (tanto) freddi numeri dell’Inps.

Ѐ questa l’Italia che ci racconta Cristaldi, l’Italia che cerca di rimanere a galla, che cerca di risalire il fiume. L’Italia che ogni giorno dimostra coraggio e forza di volontà e che un giorno tornerà a pagare tutte le tasse. Che, speriamo, non verranno più spese per pagare cenette romantiche e vacanze in yacht ai nostri cari politici.

“Immagina la gioia” di ritrovarsi fratelli

ROMA“Tutto era appartenuto all’esistenza e niente di più doveva essere scritto”. Eva, all’inizio di questo romanzo,voleva scrivere: voleva mettere su carta la vita, trovare una trama avvincente che convincesse un grande editore a pubblicarla. Eva aveva già una storia e per ascoltarla, seguirla e scriverla si trasferì a Sciacca dal Veneto. Questa era la terra di suo padre e di sua nonna Annina, era la terra in cui il suo estro poteva rinascere.

Eva è la protagonista di “Immagina la gioia”, il secondo libro di Vittoria Coppola. Pubblicato da Lupo Editore, il nuovo lavoro della scrittrice salentina è un romanzo familiare ambientato negli anni Novanta.
Eva ha degli occhi profondi, le mani dipinte di rosso e vestiti colorati. Eva ha un rapporto difficile con suo fratello Pietro, ma più che difficile il loro è un affetto mai espresso; sarà perché dieci anni di differenza tra i due che durante l’adolescenza di Pietro e la giovinezza di Eva diventano un limite insormontabile. Sarà che Eva sta inseguendo il suo romanzo e Pietro il pallone; sarà che Eva è troppo presa dalla scrittura e dalla sua vita tra Sciacca e Mira. Ma la vita, improvvisamente, stravolge tutto.

A Sciacca Eva raccoglie i suoi fogli e cerca di portare avanti il suo romanzo, nel frattempo fa la cameriera nel bistrot di Oliver. A Mira, dove dalla Sicilia suo padre Raffaele si trasferì anni prima per lavoro insieme a tutta la famiglia, Pietro arranca dietro al suo pallone. Il ragazzo ha qualcosa che non va, è il suo ginocchio.

 

La scrittura dell’autrice ci accompagna in questa storia ma vorremmo sapere più su quei luoghi: vorremmo poterci aggirare con Eva tra le strade di Sciacca, lasciarci trasportare nella tranquillità delle villette di Mira. Vorremmo, da lettori, che la forte capacità della Coppola di descrivere le emozioni si impossessasse anche dei luoghi.