Luca Vaudagnotto
AOSTA – È vero che la maternità è l’inizio di tutte le cose, ma proprio tutte, oltre stereotipi e pregiudizi, oltre un’idea edulcorata e scontata: questo sembra essere l’obiettivo, se ce ne fosse uno, di Ilaria Bernardini, che con la sua raccolta di racconti L’inizio di tutte le cose, edita da Indiana Editore, ci conduce dentro una maternità diversa.
Questi nove racconti danno voce a donne in gravidanza, durante il parto o nei primi mesi di vita del loro bambino: accanto alle preoccupazioni e alle aspettative ordinarie, però, troviamo esperienze difficili, particolari, al limite della follia. Incontriamo donne sole, donne nevrotiche, donne che non riescono ad accettare il rifiuto del loro bambino e cercano strade alternative, donne che si fanno del male, donne che si perdono e non sanno più dove sono; donne alle prese con un forte erotismo, donne che sfidano i luoghi comuni del bene e del male, donne che odiano e che non hanno paura di apparire malvagie, che ne sono consapevoli e se ne prendono la responsabilità. Continua
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“La sepolta viva”: storia della Cenerentola della letteratura italiana
Luca Vaudagnotto
AOSTA – Ci sono molte ragioni per leggere La sepolta viva, di Francesco Mastriani, edito con coraggio da Rogas Edizioni: si tratta, infatti, della ripubblicazione di un romanzo d’intrattenimento datato 1889 e tradotto in linguaggio cinematografico nel 1948 dal regista Guido Brignone.
“Ah! Che bell’italiano!”, è il primo pensiero del lettore, appena terminate due pagine del libro: si rimane increduli e stupiti dalla qualità della lingua impiegata da Mastriani, pur rivolgendosi a un pubblico vasto ed eterogeneo, dalle espressioni ricche e dal lessico a tratti addirittura aulico (l’uso di verbi come “palesarsi”, o di vocaboli come “il sembiante”, “rivendugliolo” o ancora espressioni come “mettere a parte qualcuno”): sembra, talvolta, di scorrere un libretto d’opera; ma a guardar bene, è ancor più sorprendente trovare in queste pagine espressioni che ci appaiono estremamente contemporanee (“il cuore schiantato” o “gettar luce” su un fatto poco chiaro). Continua
Con l’editore tra gli editori: una visita indipendente al Salone del Libro
Luca Vaudagnotto
TORINO – “Sono venticinque anni che vengo al Salone, ci sono sempre venuta; è un’esperienza imprescindibile, fonte di riflessioni, non sempre positive però”. L’auto si mette in moto e partiamo: iniziamo così il nostro viaggio alla volta del Salone del Libro di Torino 2015 chiacchierando con Viviana Rosi di End Edizioni, che ci dà un passaggio e uno sguardo attento sulla manifestazione. “È un evento particolare – continua l’editrice – Ti permette di percepire dove sta andando l’editoria ed è una bella vetrina per i nuovi editori; spesso però si incontra anche chi approccia il libro solo in quell’occasione, anche per tutto il contorno che c’è, o che frequenta solo gli stand delle grandi case editrici”. Ed è proprio questo che ci interessa e ci preme raccontare. Una volta dentro gli immensi spazi del Lingotto, andiamo a caccia di editori indipendenti e delle loro esperienze: insomma, vogliamo capire “il Salone dei piccoli”. Continua
Colette: la stella del vespro che illumina ogni cosa
Luca Vaudagnotto
AOSTA – “Occorre vedere, non inventare”. Con questa citazione precedente il frontespizio si apre La stella del vespro, uno degli ultimi lavori di Colette, tradotto per la prima volta in italiano da Angelo Molica Franco e pubblicato per i tipi di Del Vecchio Editore in un’elegante e raffinata veste grafica, rosa con una punta di nero, reminescenze della migliore Chanel e della sua città-simbolo, Parigi.
Ed è proprio lo sguardo, la capacità di osservare i dettagli, la grande lezione di Colette: la sfumatura particolare di azzurro che tingeva le pareti dell’appartamento di Hélène Picard, la piega della fronte del giornalista che la intervista, l’usura e la consunzione del bracciolo della sedia su cui la scrittrice lavorava e le trame che ne fuoriescono o ancora il guazzabuglio di capelli ribelli in testa a una sua amica. Continua
Una fetta di quartiere in piena estate.
Luca Vaudagnotto
AOSTA – Varchiamo il cancello del parco e subito veniamo accolti dalla sua ombra rasserenante, l’unica che sa dare pace nelle infernali giornate estive di Torino. Non è un parco famoso, è uno di quei giardini serrati tra i condomini, resistiti per caso alla cementificazione. Facciamo pochi passi e sentiamo delle voci; allunghiamo lo sguardo e vediamo giubbini grigio-blu adagiati su panchine disposte in cerchio, cappelli che si muovono, alcuni bastoni appoggiati qua e là, maniche di camicie arrotolate che seguono il gesticolare. Ci avviciniamo e ascoltiamo una delle tante, curiose e uniche storie di quartiere. Leggere Come un pandoro a Ferragosto, scritto da Roberto Marzano per Rogas Edizioni, significa fare un’esperienza di questo tipo; ed è l’autore stesso a suggerirci questa interpretazione, con la sua presenza forte e appassionata, a volte fin troppo coinvolta, di narratore più che onnisciente, compartecipe. Continua
Virginia con gli occhi di Leonard
Luca Vaudagnotto
AOSTA – La morte di Virginia (Woolf) è un omaggio che le Edizioni Lindau hanno voluto fare all’immensa e rivoluzionaria scrittrice inglese, uscito nelle librerie proprio nel mese in cui si ricorda il settantaquattresimo anniversario della sua morte; è tuttavia un omaggio ricercato, non scontato. Si tratta, nello specifico, di un capitolo dell’autobiografia di Leonard Woolf, The Journey Not the Arrival Matters, in cui l’autore, marito della scrittrice, saggista e scrittore anch’egli e poi, assieme alla consorte, editore, narra gli eventi, sia di portata mondiale sia relativi alla sfera familiare, tra la fine del 1939 e il 28 marzo 1941, data del suicidio della moglie.
Nella sua prosa piana e distesa, serena, Woolf racconta le sue due guerre: in primis il secondo conflitto mondiale e la vita nella campagna inglese da rifugiato, a causa dei bombardamenti su Londra, che l’autore descrive con occhio particolare. Oltre ad aver vissuto anche la Prima guerra mondiale, infatti, Woolf si ritrova ebreo e militante socialdemocratico in un paese con la minaccia del nemico alle porte (sono gli anni della resa della Francia e delle incursioni tedesche in suolo britannico). Questo gli permette di condurre un’analisi schietta e razionale, comparando entrambe le sue esperienze di guerra.
E la stessa schiettezza la troviamo nel reportage della sua seconda guerra, ovvero della lotta contro la depressione che affliggeva la moglie in questi anni accanto a lei. In questo caso, però, Leonard Woolf si rivela un narratore che ama lo sfondo, allo stesso modo in cui spesso viene giudicata, a torto, la sua vita nei confronti della moglie; pertanto non può fare a meno di lasciar parlare Virginia, riportando passi e pagine del suo “Diario di una scrittrice”, commentandoli a margine, cercando indizi della catastrofe, domandandosi se non ci fossero stati segni chiari e inequivocabili che magari non avesse colto. L’autobiografia diventa cronistoria nelle ultime pagine, dove Woolf si lancia correndo nella descrizione di ogni singolo momento e accadimento appena precedenti il ritrovamento del bastone della moglie accanto al fiume dove si era suicidata. E ci lascia, come a riprender fiato, con il brano celeberrimo della lettera di Virginia scritta per lui e l’immagine di quegli olmi gemelli, battezzati Leonard e Virginia, uno dei quali fu abbattuto nel ’43 da una forte burrasca, appena due anni dopo la morte della consorte.
I paradisi artificiali di Maria Callas
Luca Vaudagnotto
AOSTA – Sognando Maria Callas di Alessandro F. Ansuini è un libro anarchico e ardito. E beffardo. In una nota di lettura che apre il volume, edito da Meridiano Zero, il lettore viene avvisato che in realtà sta leggendo due libri, un romanzo e una raccolta di racconti: questi racconti, che riempiono la seconda parte, sono collegati alla vicenda principale da alcune parole o frasi che si trovano sottolineate nel testo e che ne diventano il titolo. Ci ritroviamo a leggere, insomma, la deriva di un’esistenza, quella del protagonista Enea, in quel popoloso deserto che appellano Bologna, a cui sono collegate, tramite questi link che ricordano un po’ i librogame degli anni ’90, altre esistenze e altre derive: coppie di scambisti, bellissime dj osservate da ragazze brutte e complessate, un gruppo di poliziotti in servizio. Ad accompagnare questo vagare di Enea, Maria Callas che canta nelle sue cuffie, come un rifugio, un paradiso artificiale dove tutto trova tregua.
Ma l’autore Ansuini è ardito, l’abbiamo detto, e si spinge ancora oltre: procedendo con la lettura ci rendiamo conto che il romanzo principale non è che un pre-testo, un contenitore che ingloba in sé un mare di coscienze collettive, o entità psichiche, che confluiscono in un gigantesco flusso di coscienza, fatto non solo di pensieri, ma ricordi, incontri, impressioni, esistenze vere o ipotetiche, o ancora immaginate, come nel caso dei copioni di film possibili, presenti nei racconti; e il lettore crede a tutto questo, perché a ben guardare ad ognuno di noi, quando cammina per strada, succede lo stesso. E pure i racconti non sono racconti: sono dialoghi, sono frasi, sono riflessioni, sono flashback.
Esplodono le forme letterarie, esplode il linguaggio: l’autore fa uso di un italiano contemporaneo, l’italiano del pensiero della gente, arricchendolo di immagini e figure ardite, appunto, e stuzzicanti (“il tuorlo di un giorno”, oppure “la calligrafia della rete elettrica di Bologna”), senza mai diventare lezioso o artificioso.
Infine l’inganno: sì, perché dopo averci fatto credere nell’effettiva esistenza di questo magma di coscienze, scopriamo che ci siamo sbagliati, che tutto ciò non esiste, che il romanzo andrebbe riletto. E comunque non troveremmo la risposta alla domanda cruciale: la vita pensata e la vita vissuta sono davvero entità separate?
Una cartolina dalla Torre Eiffel
Luca Vaudagnotto
AOSTA – È stata dipinta, fotografata, disegnata; è stata sfondo di racconti gialli, romanzi d’amore e ritratti; è stata ispiratrice di versi, dibattiti e accese polemiche. Ora è oggetto, o meglio soggetto, di un “pacchetto”: un libro-cartolina completamente dedicato a lei, la Torre Eiffel, del quale è appunto la protagonista indiscussa, viva e palpitante. Nel volumetto Torre Eiffel. Due o tre cose che so di lei, curato da Eusebio Trabucchi e pubblicato per i tipi di L’Orma Editore (nella collana I paccheti dei luoghi), troviamo una completissima raccolta di informazioni di ogni genere, dai dati tecnici agli orari di apertura fino a ogni sorta di aneddoto e pettegolezzo che la riguardi; una biografia, insomma, della sola e incontrastata première dame de France, checché ne dicano i suoi detrattori.
Dopo un primo capitolo dedicato ai numeri e alle date della Tour Eiffel, tra cui figura un’affascinante carrellata di immagini storiche che testimoniano le tappe costruttive a partire dall’agosto 1887 fino al marzo del 1889, si prosegue con l’alfabeto della Torre, in cui, lettera per lettera, il lettore viene catturato dalle piccole e grandi storie, vecchie e nuove, che hanno riguardato e tuttora riguardano la dame de fer: troviamo la creazione dei Calligrammes del poeta Apollinaire, uno dei quali ha la forma della Nostra, il resoconto del più grande raggiro della storia, in cui tale Victor Lustig tentò di vendere i pezzi della Torre ma anche la realizzazione di imitazioni sparse nel mondo e le panoramiche di Google. A seguire, un’interessante raccolta dei testi comparsi sulla stampa parigina all’epoca della costruzione che riporta la polemica che accese la realizzazione di un’inutile mostruosità nel VII arrondissement; a chiudere il volume, invece, proposto in questa accattivante veste grafica che trasforma il libro in una vera e propria cartolina da spedire, troviamo una collezione di poesie ispirate alla Tour, tra cui spiccano i versi di Majakovskij (Parigi – due chiacchiere con la Tour Eiffel) e Éluard (Sogno).
Abbiamo tutti visto un’infinità di volte la Tour Eiffel e tutti la conosciamo nei particolari: con questo omaggio, L’Orma Editore ci regala occhi nuovi per guardare come se fosse la prima volta l’unica vera regina di Francia dopo Maria Antonietta.
Un’estetica per i reietti: viaggio nel cinema di Béla Tarr
Luca Vaudagnotto
AOSTA – È possibile raccontare il cinema? Di più: si può spiegare con le parole una cinematografia complessa e così profondamente legata all’esperienza visiva come quella di Béla Tarr? Questa è la sfida che decide di affrontare Marco Grosoli nella sua monografia “Armonie contro il giorno. Il cinema di Béla Tarr”, pubblicata per i tipi di Bébert Edizioni nel 2014.
Il lavoro di Grosoli, studioso di cinema e professore associato in Film Studies presso l’Università del Kent (Gran Bretagna), si presenta come un viaggio, completo e dettagliato, attraverso la filmografia del regista ungherese: oltre ai dovuti cenni biografici, all’analisi dettagliata di ogni opera cinematografica, il libro è arricchito da citazioni e aneddoti del cineasta, brani di interviste che conducono il lettore sempre più nel profondo del pensiero e della poetica di Tarr. Fondamentale e di particolare interesse, in questo senso, è l’appendice che correda e arricchisce il lavoro di Grosoli: si tratta di una raccolta di interviste condotte da Michael Guarnieri, noto critico cinematografico, al regista e ad altri prestigiosi artisti che hanno collaborato alla realizzazione dei suoi film, come il compositore Mihály Víg, le cui creazioni musicali fanno da leitmotiv irrinunciabile e inconfondibile, quasi un ostinato ipnotico e ripetitivo, nelle pellicole di Tarr.
La sfida è vinta, possiamo dirlo: chiudiamo il libro e ci immergiamo nelle pellicole densissime di Béla Tarr, fatte di neri impenetrabili, di bianchi rari e rarefatti, di grigi dominanti e pervadenti. Tutto è pesante: le ombre, i tessuti, i capelli dei personaggi, i vapori del cibo che cuoce sulle stufe; perfino i vetri delle finestre, attraverso cui il regista non manca mai di volgere il suo sguardo sul mondo di chi vive ai margini, hanno un peso, una presenza: sono un filtro consistente e non trascurabile, un modo di vedere. In questa estetica, ogni oggetto apparentemente insignificante, ogni piccola azione diventa metafora e simbolo della condizione dell’uomo: è una delle tante e ricche chiavi di lettura che ci fornisce Grosoli: «l’assoluta inseparabilità del suo straordinario formalismo stilistico […] dall’umanesimo elementare ma incontestabile, che insiste sulla dignità e sull’incancellabile valore umano dei reietti e degli outsider».
Il senso di Andrej per la luce
Luca Vaudagnotto
AOSTA – Nessun altro titolo pareva più azzeccato di questo per introdurre “Luce istantanea” (Edizioni della Meridiana), del regista russo Andrej Tarkovskij (1932-1986), un libro da leggere e guardare. Si tratta, infatti, di una raccolta di Polaroid scattate in Russia e in Italia sui set di alcuni film celeberrimi (Lo specchio, 1974, e Nostalghia, 1983), corredate da appunti, pensieri trascritti e annotazioni che permettono al lettore di penetrare la poetica di questo immenso cineasta. E poetica è il termine più giusto per presentare questa raccolta, edita da Ultreya nel 2002, perché la poesia, e nello specifico la poesia della luce, è il fil rouge che unisce non solo queste piccole immagini dense e ricchissime, ma tutta la produzione del Tarkovskij regista.
In queste immagini, così intense ed evocative, Tarkovskij utilizza la luce come un elemento denso, materico, capace di modificare ogni cosa che colpisce e illumina, per veicolare i significati e i temi fondanti della sua ricerca artistica: troviamo, dunque, il topos della famiglia, nei ritratti della moglie e del figlio, trattenuti dal regime sovietico durante il suo viaggio in Italia, quello della casa, che si esprime attraverso gli sguardi sugli interni, i raggi di sole che trapassano le finestre, i mazzi di fiori di un giallo luminosissimo sui tavoli, le pieghe molli delle tende ombreggiate dal tramonto, o ancora l’archetipo dello spazio personale, del guscio, dell’intimità, dei luoghi dell’anima nelle fotografie di paesaggi, alberi e steccati, fiumi e cespugli, che circondano la casa del regista. Luoghi, oggetti, persone che raccontano al lettore, mediante la poesia di queste immagini che diventano per volere del loro autore una guida, un ponte verso altri significati, la nostalgia dell’esilio, la condizione precaria dell’uomo, l’importanza della memoria.
Tutto, infine, è intriso di una certa religiosità, che è difficile definire ma che Tarkovskij richiama continuamente, anche nelle sue parole: si avverte la presenza dell’assoluto, di un approccio religioso, ma di cui non è dato sapere di più. Queste polaroid diventano così icone, nel senso più autentico della parola: tutto ciò che ci circonda, attraverso la luce, è apparizione, immagine di un’entità suprema da cui siamo tutti, seppur inconsapevolmente, illuminati.