Giulio Gasperini
AOSTA – Etenesh è una ragazza etiope che, dopo due anni di viaggio attraverso il deserto e i mille pericoli dell’uomo, approda a Lampedusa, la Porta d’Europa. Questo fumetto di Paolo Castaldi, riedito da poche settimane da BeccoGiallo, ci cala nel punto di vista della ragazza, ci fa sperimentare direttamente gli orrori che quotidianamente centinaia di migliaia di persone conoscono sulla propria pelle. Etenesh è una ragazza reale, la sua storia è una storia vera; ma comunque simbolica. Un po’, nel generale, perché fin dai tempi di Odisseo le migrazioni sono parte costituente dell’umanità, in ogni sua declinazione; un po’, nello specifico, perché molto simile a tutte le storie di tutte le persone che si ammassano sui bordi dell’Africa sperando di poter arrivare in un luogo sicuro, meno feroce. Continua
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Frontiere e orizzonti sul limite di Lampedusa.
Giulio Gasperini
AOSTA – Lampedusa è un’isola di undici chilometri di lunghezza per 2,5 di larghezza: quasi uno scoglio. È quasi esattamente orizzontale rispetto alla linea dell’orizzonte. È una piega di terra, una ruga che interrompe la frontiera. Proprio quest’aspetto è stata la molla che ha spinto Gianpiero Caldarella, giornalista e autore satirico siciliano, a curare nel 2011 “Le rughe sulla frontiera. Lampedusa: restiamo umani!” per Navarra Editore: una raccolta di vignette satiriche dei più importanti disegnatori e illustratori italiani, da Altan a Vauro, che per il progetto non hanno percepito nessun compenso. Esposte durante l’edizione del LampedusaInFestival, organizzato ogni anno dal Collettivo Askavusa, tutte queste illustrazioni hanno come protagonisti Lampedusa, i migranti, i politici e le tante direzioni dell’umano peregrinare.
Anche la dedica a Vittorio Arrigoni, con il richiamo al suo motto “Restiamo umani!”, morto a Gaza il 15 aprile 2011, è un evidente richiamo alla vocazione ultima di questa raccolta, che vuole proprio essere un’opportunità di riflessione attraverso l’arte, il disegno, il colore. Abbandonando le usuali e più complesse forme di partecipazione, anche arrabbiata, ma concedendosi una pausa. Che pausa, comunque, in definitiva, non è, perché seppur con il sorriso le implicazioni sociali, umane, politiche che stanno alla base di questi disegni sono tutt’altro che spiritose e divertenti. Sono amare, feroci, persino crudeli nella loro capacità di cogliere il lato più disumano e grottesco della vicenda.
Nessun aspetto viene risparmiato, nessuno viene perdonato. Si smascherano le responsabilità e si cerca di far luce sulle cause, sulle conseguenze, sui paradossi e le vergogne della gestione di un’emergenza che emergenza, in realtà, non è. E soprattutto si cerca di fare luce su cosa Lampedusa rappresenti, su quali siano i ruoli di cui è stata suo malgrado investita e quale gioco si porti avanti sulla sua pelle. Ellekappa, Giuliano, Makkox, Staino, Vincino sono soltanto alcuni dei nomi presenti in questa antologia su e per Lampedusa: su un’isola che spesso è teatro aperto e smascherato del caso.
Dal 2011 la situazione è un po’ cambiata: tanti ministri dell’Interno si sono succeduti al Viminale, tante operazioni sono state messe in piedi e portate a termine, è finita l’epoca dei respingimenti in mare e la violazione, almeno, della Convezione di Ginevra sui rifugiati. Ma tante cose, invece, sono rimaste inalterate: come il nostro senso di smarrimento di fronte a quella che assume la sostanza di una gravissima crisi umanitaria e i muri che, dentro la mente e nella realtà, pensiamo di poter innalzare per stare al sicuro. Senza capire mai bene da che cosa.
“Lampedusa”, una guida per la terra vicina che non ti aspetti.
Giulio Gasperini
AOSTA – Lampedusa e Linosa sono due isole vittime spesso della comunicazione televisiva e giornalistica. Ingiustamente condannate dalla loro posizione a urlati allarmismi di invasione, sono in realtà delle terre estremamente ricche di ambienti e paesaggi. “Lampedusa. Guida per un turismo umano e responsabile”, scritta da Ivanna Rossi e edita da Altreconomia Edizioni, è uno strumento pensato proprio per esplorare questi lembi di terra remota ma vicina al sentimento, di luoghi poetici e di orizzonti ampi. È una guida che ci fa conoscere le isole da ogni punto di vista, presentandoci anche le curiosità e offrendoci la prospettiva degli abitanti, di chi la vive ogni stagione, per ogni altro giorno dell’anno: perché Lampedusa e Linosa, per molti di noi, sono una meta turistica, ma per circa ottomila persona rappresentano la quotidianità.
Attraverso i capitoli, Ivanna Rossi ci accompagna per mano, in un percorso interessante ed emozionante, a scoprire tutte le declinazioni di quest’isola dall’identità risoluta e fiera, come il carattere dei suoi abitanti. E così si parte, dalla descrizione del paesaggio, dei porti, delle tante cale di cristallino mare che gemmano il profilo dell’isola; poi si passa per la casa di Claudio Baglioni, ci raccontano la storia del naufragio della Madonna, ci portano ad ammirare la splendida Isola dei Conigli con la sua spiaggia che piuttosto pare una culla. E ancora ci informano sui Timpuna, i misteriosi cerchi che esistono anche qua, fino a farci prendere una barca, spingendoci su quel mare che è nemico e alleato dell’isola stessa, in un rapporto di odio e di amore che diventa inevitabile. Ma c’è anche spazio, nella guida, per notazioni di carattere antropologico, proprio perché la realtà dell’isola non è riducibile soltanto alla dimensione vacanziera né turistica, da bagno e sole accanto all’ombrellone: il testo della canzone dello spugnaro, mestiere “durissimo ed epico”, ci porta in un mondo ignoto e inesplorato ma che ha segnato indelebilmente la collettività lampedusana. Un capitolo è interamente dedicato all’arte e alla cultura, che ha prodotto risultati eccellenti anche in così poca estensione di terra: dalla Porta d’Europa ai murales coloratissimi che recentemente hanno animato i muri assolati del paese. E poi c’è la cucina, nata dall’incontro tra oriente e occidente, tra i sapori arabi e le barocche ricette siciliane. Ma una guida per un turismo responsabile non può prescindere dalla parte sociale, ed ecco che il settimo capitolo, “Lampedusa Premio Nobel”, squarcia il velo dell’ovvio e del pubblicizzato, raccontandoci di Contrada Imbriacola, del CSPA, degli incontri straordinari che si fanno su questo lembo di terra, di Frontex, del Tre ottobre e del naufragio e della morte delle 300 persone, arrivando a raccontarci persino la recentissima “Carta di Lampedusa” e il collettivo Askavusa che ogni anno organizza il Lampedusa Film Festival.
Un percorso, quello della guida, che ci squaderna una terra che troppo pensiamo di conoscere ma che in realtà non conosciamo per nulla. Per farci capire, persino, che non c’è bisogno di prendere un aereo per scavalcare interi continenti alla ricerca di un paradiso e del mare più bello del mondo: basta spingere lo sguardo nelle terre più a sud dell’Italia.
“Sotto il cielo di Lampedusa” le parole di dolore.
Giulio Gasperini
AOSTA – Fu nel 2011 che i poeti Michael Rothenberg e Terri Carrion lanciarono un appello mondiale: far tornare la poesia al suo antico – e oramai dismesso – ruolo sociale e civile. Utilizzare la parola poetica, cioè, per chiedere cambiamenti umani, civili, culturali, economici, ambientali. Nacque il movimento 100 Thousand Poets for Change, che giorno dopo giorno, poeta dopo poeta, si è esteso fino a comprendere 115 paesi del mondo. A Bologna esiste il gruppo più produttivo e attivo dell’Italia, che ha già organizzato manifestazioni ed eventi collettivi. All’indomani del tragico episodio del 3 ottobre, quando morirono 366 migranti per il naufragio della loro imbarcazione, è nato il progetto editoriale di “Sotto il cielo di Lampedusa”, edito da Rayuela Edizoni (2014).
Un progetto collettivo, in cui raccogliere poesie e autori che ponessero l’attenzione sul dramma del Mediterraneo, sull’inaccessibilità della “Fortezza Europa”, sugli “annegati da respingimento”. Tante le voci che hanno aderito al progetto, tante le accuse rivolte ai veri responsabili di queste tragedie marine, che potrebbero essere tutte evitabili, semplicemente, con una politica più attenta di visti e cordoni umanitari.
“Un confine per segnare la linea / in una retta si chiude perfetta / in una traccia / su un figlio senza abbracci / senza identità né case a cui ritornare”, scrive Meth Sambiase. I motivi per cui si parte sono tanti, troppi. E non dovrebbero essere sempre giustificati; perché si parte anche semplicemente per il desiderio di farlo, senza doversi sentire in colpa del danno e della noia che si recano agli altri. “Ma tornare indietro / è difiscile / stare qui / difiscile / il mio tempo te lo do / la schiena il corpo te lo do / in cambio di un cartoccio / ma la faccia l’espressione degli occhi / la bocca // se vuoi sparare spara in cielo / noi non siamo / uccelli” (Maria Luisa Vezzali). E di fronte a questa sconvolgente realtà, anche la poesia trema e si sente in un certo senso impotente, inutile: “Io resto nella mia cuccia a guardare che piove / mentre la morte si veste di ottobre e di vento / mi sento cadere di foglie e parole svendute / inutile, come un verso che non dice poesia” (Annamaria Giannini). Ma, come scrive Giacomo Sferlazzo del Collettivo Askavusa, “Il mare non ha colpe”, perché le colpe sono tutte degli uomini, delle loro leggi assurde, delle loro paure archetipe, del capro espiatorio che sempre, in ogni momento, deve essere creato per alleggerirsi le coscienze – come se dalla Storia non si potesse mai imparare nulla: “Il popolo italiano sempre innocente, sono loro, quelli che stanno / al Governo e in Parlamento, che hanno fatto le leggi / sui respingimenti, loro hanno firmato i trattati con Gheddafi, / e poi è evidente che tutta questa gente qua non ci può stare” (Francesco Sassetto).
E l’orrore, il disgusto delle 20.000 vite perse per sempre nel fondo del mare, durano poco, quasi solo il tempo di un errore. E poi si finisce, come sempre, nel silenzio dell’omertà, nella frenesia dell’informazione che fa notizia, crea lo scoop, e poi si rigira pigramente verso altri interessi più attraenti, come scrive Sassetto: “Noi dalle nostre rive sfogliamo stancamente il giornale / che già annuncia nuovi barconi in avvicinamento, assuefatti / alla compassione ad intermittenza, noi coristi del coro / che grida forte e freme, / e tace nuovamente il giorno dopo”.
“Lampedusa”, quale futuro per la porta d’Europa?
Giulio Gasperini
AOSTA – Giusi Nicolini da sempre alza la voce in difesa di terre e uomini. Da quando è stata eletta sindaco, nel 2012, ha portato all’attenzione dell’Europa intera quei ventun chilometri scarsi di terra che amministra. Marta Bellingreri l’ha intervistata, nel luglio 2013, e questa lunga chiacchierata è stata pubblicata dalle Edizioni Gruppo Abele nel 2013 nella collana “Palafitte”. “Lampedusa. Conversazioni su isole, politica, migranti” è un manifesto di grande lucidità e acutezza, nel quale Giusi Nicolini, diventata uno dei sindaci più famosi d’Italia, racconta la sua storia, la sua decisione di dedicarsi all’amministrazione politica delle sue terre, e tratteggia con grande competenza quelli che potrebbero essere gli orizzonti futuri per Lampedusa, la porta dell’Europa.
Giusi Nicolini parla delle migrazioni, del ruolo che Lampedusa ha nell’accogliere le persone in fuga da una realtà feroce, da malattie, dalla guerra, dalla fame. Parla del cimitero che non basta, dei diritti negati anche da morti, parla dei tanti troppi minori non accompagnati che viaggiano sulle rotte del Mediterraneo e che sono abbandonati, senza cure né assistenza. Tra i tanti progetti realizzati si cita anche la Biblioteca dei ragazzi, realizzata grazie a un progetto di Ibby Italia, nella quale saranno utilizzati molti silent books, libri senza parole ma con tante immagini, realizzati per superare le barriere linguistiche tra i bambini italiani e quelli migranti.
Ma non ci sono migranti, nella storia di Lampedusa. C’è anche l’ambiente, una risorsa straordinaria che fino a pochi anni fa era seriamente minacciata dall’uomo e dai suoi abusi di vario ordine e grado. Quell’ambiente che recentemente ha conferito alla spiaggia dell’Isola dei Conigli il titolo di spiaggia più bella del mondo. Un riconoscimento anche al lavoro della Nicolini, che per tanti anni è stata responsabile di Legambiente della Riserva dell’Isola dei Conigli, una delle ultime spiagge europee dove si riproducono le tartarughe marine, le Carretta, che a Lampedusa vengono recuperate e, in un apposito ospedale, curate.
La lunga intervista con Giusi Nicolini mette in luce le potenzialità e le reali esigenze di un’isola, e di una terra, per lungo tempo dimenticata, trascurata ai margini dell’italianità in ogni settore, da quello scolastico-sanitario a quello sanitario, a quello dell’approvvigionamento idrico ed energetico. Un’isola che strategicamente ha la sua importanza, tanto da essere diventata sede di una base NATO, e di esser stata vittima di un attacco missilistico dalle coste libiche, nel 1986, ad opera del Colonnello Gheddafi.
Ma la Nicolini ha parole di accusa anche per la politica italiana, per i partiti, per i meccanismi del potere che vogliono sempre ricondurti in una definizione, in una schematicità. La sua battaglia si definisce quasi apolitica, sfidando preconcetti e pregiudizi che sono propri di intere collettività umane. I valori che sono difesi, le aspirazioni ventilate, gli obiettivi sperati sono patrimonio comune, non esigenze da manifesto partitico o campagna elettorale.
“Lampedusa”: un’iniziazione alla bellezza.
Giulio Gasperini
AOSTA – Troppo spesso, negli ultimi anni, ricordata nelle cronache per essere il primo suolo d’Europa dove migranti approdano rischiando il mare e aggrappandosi al sogno di una libertà e di un benessere altrove negati. Il suo mare è spesso accostato a un cimitero, a una tomba impietosa che inganna e non restituisce. Ma Lampedusa è ben altro rispetto a questa immagine dei nostri Anni Dieci: Rafael Argullol, nel suo romanzo breve “Lampedusa. Una storia mediterranea”, edito in Italia nel 2012 da Lantana Editore, ci restituisce una visione ben diversa dell’isola, in un tempo più lontano ma non troppo remoto.
Argullol fu sull’isola nel 1975, quando non era che un “frammento di deserto in mezzo al mare”. Sulla nave che lo stava portando, conobbe Leonardo Carracci il quale donò allo scrittore una storia straordinaria, quella della sua vita e del suo legame con Lampedusa. Sicché il romanzo registra una virata decisiva: attraverso un cambio di narratore (e di punto di vista) è il Carracci stesso a farsi narratore, a svelarci i motivi per cui la sua storia è così indelebilmente allacciata con l’esistenza (e l’essenza) dell’isola. Il Carracci ci riporta indietro nel tempo, alla fine degli anni ’30, quando “l’indigenza degli abitanti dell’isola era totale. Non avevano elettricità e la pochissima acqua, sempre salmastra, doveva essere estratta con fatica da pozzi molto profondi”; ma quando lo spirito degli abitanti era forte e fiero, temprato da un rapporto diretto con la natura: il confronto poteva anche essere aspro e rischioso ma sempre rispettoso e corretto.
“Lampedusa” è un romanzo sulla bellezza allo stato primigenio, quasi “selvaggia”: su quello spirito, quel richiamo ancestrale e arcaico che ci appartiene e ci connota nell’intimo. Quel brivido che ci coglie ogni volta che assistiamo alle più diverse manifestazioni della bellezza: da uno scorcio naturale alla scoperta di una passione al superamento di un limite. È questa la bellezza che connota tutte le altre, anche quelle più posate e all’apparenza tranquille, che giacciono nei musei, che si impolverano alle pareti, che si consumano alla furia degli elementi. La bellezza è un mare scintillante, un vento potente, un tramonto infuocato: è il richiamo di una vita pura, cristallina, che in alcuni luoghi della terra riesce a distinguersi dal ritmo soffocante e alienante delle scadenze, dei compiti, degli appuntamenti.
Qua, a Lampedusa, nel romanzo di Argullol, la terra si calpesta con la pianta dei piedi nudi, il mare diventa non più una tomba ma una culla che mette alla prova ma che tanto anche regala, l’aria diventa balsamo rinfrescante, le rocce non sono deserto ma fondamenta sicure sulle quali contare, l’orizzonte non è una gabbia ma si converte in opportunità, si scontorna nell’attesa di qualche fatidico evento che arriva, ci prende e ci cambia per sempre la vita.
20 giugno: la giornata mondiale del rifugiato
Giulio Gasperini
AOSTA – Non tutte le persone che attraversano i confini sono alla ricerca esclusiva di un lavoro. Alcune di loro scappano dalle violenze, dalla fame, dalle guerre; molti di loro scappano per non essere uccisi, torturati, violati. E non tutti coloro che scappano possono essere rifugiati o asilanti. Ma potrebbero aver solo bisogno di una protezione umanitaria. Tutti statuti riconosciuti da una convenzione internazionale, quella di Ginevra, sottoscritta nel 1951 e ratificata da 147 nazioni. Laura Boldrini, nel suo libro “Tutti indietro” edito da Rizzoli nel 2010, fa chiarezza sulla terminologia, perché spesso l’incomprensione è l’origine di molte intolleranze: clandestino, profugo, irregolare, rifugiato, immigrato, extracomunitario, richiedente asilo sono termini che non possono essere utilizzati come sinonimi.
Concepito e nato a seguito della decisione presa dal Governo Berlusconi, nel 2009, di respingere i migranti che approdavano sulle coste italiane, soprattutto di Lampedusa, “Tutti indietro” è la narrazione appassionata di una donna che è stata, per tanti anni, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in Italia. E in questa veste la Boldrini ha potuto conoscere storie e situazioni di grande sofferenza umana, di profondo dolore; storie – e testimonianze – di uomini in fuga da fame e carestie, ma anche dal pericolo di morte, di tortura; dalla mancanza assoluta di prospettive o di orizzonti più sicuri e definiti, stabili e sereni. Il testo della Boldrini, attraverso i tanti punti di vista, attraverso il racconto di assurdi contrasti diplomatici (ad esempio, tra Italia e Malta) e di inconcepibili lungaggini burocratiche (come il ritardato salvataggio dei migranti appesi alle reti dei tonni, nel 2008), diventa un vero e proprio j’accuse contro una politica governativa miope e discriminatoria, colpevole di violare i principi basilari della Convenzione di Ginevra del 1951, in particolar modo il principio cardine, quello del non respingimento: perché “richiedenti asilo e rifugiati sono portatori di diritti e in quanto tali devono essere trattati”.
La Boldrini, con un argomentare lucido ma agevole ricorda come lo status di rifugiato sia esistito fin dai primordi dell’umanità: “Già Edipo mostra come parallelamente all’esilio nacque l’asilo, cioè la protezione dello straniero perseguitato”. E di come anche Dante si lamentasse della sua condizione di esule, nel canto XVII del Purgatorio: “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. Il campionario presentato nel libro è vario, popolato di storie diverse ma sempre convergenti verso un’unica finalità: quello di approdare sani e salvi in un paese che accolga e dove si possa essere protetti, anche per consegnare e regalare un futuro migliore ai propri figli. E la Boldrini fa pratica di vita nel centro di accoglienza creato a Lampedusa: “Un centro di accoglienza rappresenta una miniera di storie, di situazioni estreme che rischiano di passare sottaciute se, nella frenesia delle cose da fare, non si ha il tempo o la curiosità di ascoltare”.
Il messaggio che la Boldrini intende diffondere è semplice, chiaro, senza possibilità di fraintendimenti: “I rifugiati non ambiscono a vivere di assistenzialismo ma vogliono rifarsi una vita, lavorare e condurre un’esistenza normale”. Al sicuro dalla fame, dalle guerre, dalle violenze.