ROMA – “… Ed era colma di felicità”, pubblicato da Armando Siciliano Editore, è un viaggio nel mondo di Rosalba. Rosalba, la protagonista, è giovane, determinata e romantica; la sua vita è stata segnata dal dolore ma il suo presente è caratterizzato dalla forza e dalla bellezza. Il suo mondo è fatto di amore, studio, affetto e sfide quotidiane; le sue giornate sono dedicate a tutto il bello che offre la vita, anche quando la vita sembra essere beffarda. Ma come nasce un romanzo di questo tipo? Ne abbiamo parlato con l’autrice, Paola Liotta (nella foto in basso).
“… Ed era colma di felicità”: Paola, come nasce questo libro?
La scrittura è per me ricerca e disvelamento assieme, quasi un ‘dove’ ideale in cui saldare i confini tra vissuto e desiderata in unico empito creativo. Il personaggio di Rosalba nasce da ciò, fino alla sua trasposizione sulla carta. Tessere dall’esterno una geometria delle passioni e delle inquietudini di Rosalba mi sarebbe stato impossibile, è una mia creatura, perciò ne esterno il percorso e le tensioni che la animano. Dandole la parola, le garantisco la pienezza di esistere anche per coloro che leggeranno il romanzo e, magari, ne saranno conquistati. Dalla sua grazia innanzitutto. Quindi, prima di dirti del mio romanzo, ti dirò com’è nata lei. Rosalba vive e si sostanzia di quelle passioni e energie, le mie, le sue, da cui sboccia pure un nuovo personaggio, una sorta di coprotagonista o alter ego in carica, che è Rosalba Due. Detta anche la Due, questa voce, nata in un momento di estrema sofferenza per la giovane, sottolineerà con crudezza e spirito salace le distonie intorno, sino alla felice reductio ad unum, nell’epilogo. Nel romanzo ho voluto rappresentare la carica vitale di Rosalba, che si barcamena tra vicissitudini e traversie di vario genere, tra cui il lutto, la perdita e la malattia, sempre cogliendone il risvolto positivo. Ne uscirà rinnovata, in pace con se stessa e con quel passato con cui, talvolta, non si vuole saldare il conto.
Come mai la scelta di questo titolo così poetico e “promettente”?
Per il titolo mi sono ispirata a Jean Giono, un autore che io amo molto, ed è l’ultima frase del suo romanzo più conosciuto, “L’ussaro sul tetto”: “ed era colmo di felicità”. Lì si riferisce al patriota Angelo Pardi. Dinanzi ad Angelo si stagliano le Alpi e, oltre, l’Italia, dunque il giovane si avvia verso l’avventura risorgimentale. Così per me è iniziato, in una sorta di epifania improvvisa, il romanzo. Anche perché “L’ussaro”, guarda caso, è caro non solo a Pietro Citati, che ne rivaluta la “radiosa perfezione classica”, di contro a chi lo ha ritenuto un pastiche stendhaliano, ma anche alla mia Rosalba, che, sulla scorta di Giono, si recherà in Francia e avrà ulteriore conferma del suo talento. E della propria volontà di mettersi in gioco.
Rosalba è una giovane studiosa che ama il bello nell’arte, nella natura e nella vita, nonostante la sofferenza per la perdita prematura della madre e le difficoltà che incontrerà lungo la storia. È giovane, impulsiva e passionale; viene descritta, poi, come una creatura quasi “ascetica”, e sempre capace di carpire il lato positivo delle cose. In che modo hai lavorato per plasmare i tuoi personaggi?
Ogni personaggio ha le sue ragioni, anche disparate o impervie che siano. Come ogni scrittura. È venuto da sé chiarire il personaggio di Rosalba nelle sue note dominanti. Si parla di vita, si parla perciò di amore: abbandono totale alla felice alchimia dei sensi, alla bellezza dell’amicizia, alle effusioni per i propri cari, ma anche virtuosa, certosina sperimentazione del disinganno, a più livelli. Non ho mai incontrato uno come Ruggero, ma mi è parso divertente dargli voce. I personaggi sono stati descritti non tanto per farne degli stereotipi, da contrapporre alla presunta perfezione di Rosalba, quanto per far risaltare la sua passione illimitata per la vita. Nella storia con Ruggero, nel recupero della figura materna, persa prematuramente, nei problemi di salute di questa giovane donna ho voluto incarnare la forza con cui aderiamo alla realtà, soprattutto nelle difficoltà. Rosalba è una donna indipendente, non tollera restrizioni al proprio modo di vedere la vita. Dalle avversità, dai conflitti risorge ancora più forte, come purificata. La sua pervicacia, il suo entusiasmo sono contagiosi e incondizionati, e sono un po’ anche i miei. Dunque, ogni personaggio man mano si è rivelato lungo i sentieri naturali per cui la storia si dipanava.
Spesso, però, Rosalba si lascia soggiogare da un fidanzato bugiardo e da un ambiente accademico spietato. Non è forse troppo ingenua la nostra eroina?
Sì, ma questa ingenuità di Rosalba è ben compensata dal doppio, Rosalba Due, e dal suo piglio garibaldino. I continui richiami della Due non hanno una valenza conflittuale, piuttosto servono ad attenuare l’attitudine alla riflessione di Rosalba e il suo sperticato ottimismo. Ella ha dalla propria parte una buona dose di cocciutaggine e di intraprendenza. L’apparente passività del suo personaggio, riservato e pensoso, è segnata dalla fine capacità di intuire il cuore degli altri, da una straripante bontà, che si risolvono sempre in sincera adesione alla vita. Come non pensare, un momento, allo stendhaliano “Dove diavolo avete vissuto finora? Siete un ciottolo non levigato dall’attrito”? Rosalba questo attrito lo ricerca e vi si butta a capofitto; anzi non si sottrae a nessuna intemperia le si opponga. Nella sofferenza acuta della separazione da Ruggero è germogliata la Due, con il suo limpido sguardo sul reale. Da ciò la caratterizzazione del personaggio trae linfa vitale. E la narrazione si fa dicotomica e brillante, facendo dilagare questa tostissima doppia voce, e le sue accorte manovre dissacratorie, finanche a Parigi, dove la Due vorrà chiamarsi, con un pizzico di civetteria d’altri tempi, Chérie.
E del personaggio di Ruggero, questo uomo affascinante ma anche bugiardo e irresoluto – alle volte quasi nocivo per la protagonista – cosa puoi dirci?
Non ho mai incontrato un Ruggero in carne e ossa, piuttosto l’infliggergli certe caratteristiche che mi infastidiscono in chiunque – uomo o donna che sia – mi ha permesso di delineare il suo amore per Rosalba in tutte le variabili, dall’attaccamento all’amicizia all’attrazione, sentimenti molto importanti nel manifestarsi dei miei personaggi. Ruggero è molto sensibile al fascino femminile; alla bellezza aggraziata di Rosalba lui non può resistere, senza per questo sentirsi fino in fondo legato a lei. È un dato oggettivo del personaggio, altrettanto la sua natura collerica e possessiva. La sua visione dell’amore, molto pratica e libera, viene spesso a collidere con quella di Rosalba, a tratti un po’ edulcorata. Da qui, le rampogne della Due. Ma Rosalba ama in modo appassionato e totale non solo Ruggero, ama così anche la vita. E la fiducia di Rosalba in Ruggero deve continuamente fare i conti con la natura precaria del loro legame, come lo è ogni tipo di legame inteso quale libera elezione dei propri sentimenti.
Il fulcro di “… ed era colma di felicità” è la presa di coscienza di Rosalba attraverso la scrittura. Scrivere una lettera a Ruggero per ripercorrere i propri sentimenti e capire la strada da intraprendere è un modo per guardare con lucidità e distacco le cose. Per te che ruolo ha la scrittura?
Credo che il vivere con generosità la vita, come Rosalba, porti a un innato desiderio del confronto, della ricerca di sé nell’altro e della diversità come spunto di arricchimento. La scrittura permette e questo scambio e questo arricchimento, una scrittura che si sostanzi di letture e di profondo rispetto per la bellezza della vita. Come per Rosalba, anche per me “la letteratura io me la cucio addosso, me la rivivo, per trovarci delle chiavi di lettura con cui inquadrare il magma bruciante nel quale siamo immersi, dispersi, come frammentati”. Così, dopo due sillogi poetiche, “Del vento, e di dolci parole leggere”, del 2009, “Di Aretusa e altri versi”, del 2011, sono approdata al romanzo, un genere che è nelle mie corde da sempre. Credo che la scrittura abbia enormi potenzialità disvelatrici del reale, e che possa coniugare in sé queste formidabili possibilità espressive, e nella poesia e nella prosa. Come è connaturato al romanzo, nella sua natura polifonica – e penso a Diderot, a Sterne, a Virginia Woolf, al nostro Sciascia, per esempio – la contaminatio assortita e coraggiosa di vari aspetti del reale, in varie fogge.
La prosa può cogliere, come è della poesia più alta, “l’immensità dell’attimo”. Consentendoci davvero – così dice Rosalba, del foglio su cui appunta a brani la lettera per Ruggero – uno “spiraglio d’infinito”.
Le tre parole che preferisci
Risponderò con Rosalba, come lei, e con parole sue:
Speranza: “si intrufola a tratti nella frase più limpida e innocente, sbattendo piccole ali d’oro orlate di verde, troncando una parola in un sottinteso, conferendo magici tintinnii a una risata incoerente su piccoli denti bianchi voraci tra la rosea morbidezza della lingua caricando l’aria di un profumo denso d’estate”. Primavera, e passione: “lo osserva con occhi tersi di primavera, dicendosi che ora è primavera, ossia la promessa del sole e la speranza dopo il freddo, nivale inverno poetico e del cuore. Si ritrova impavida, felice, come quando si è sotto l’effetto di una grande passione e non ci si potrebbe sottrarre ad essa neanche volendolo”. Vita: “Si lascia travolgere da colori, voci e suoni che non la lasciano mai insensibile come non le è indifferente l’occhiata seducente di Dario su di sé o la voce di Fausto ancora in testa perché entrambe ben identificabili, fonte di piacevoli emozioni, di quel suo amore sconfinato per la vita”.