Giulio Gasperini
AOSTA – Banana Yoshimoto è un nome oramai noto della letteratura mondiale. Il suo valore letterario è soggetto alle più disparate interpretazioni e critiche, ma i suoi romanzi sono tra i più letti e apprezzati, soprattutto un’Italia, paese dal quale la scrittrice ha sempre detto di essere stata più volte ispirata. Sono molti gli aspetti alla luce dei quali la Yoshimoto è stata vivisezionata ed esaminata: anche quello della cucina, come nel caso del saggio di Barbara Buganza, edito da Il Leone Verde edizioni nel 2003 nella collana “Leggere è un gusto!”, intitolato proprio “In cucina con Banana Yoshimoto. L’amore, l’amicizia, la morte, la solitudine nel cibo”. E proprio il sottotitolo sottolinea il grande valore e l’importanza che il cibo, ma anche i luoghi dove si consuma, sono degli aspetti fondanti dell’opera della scrittrice giapponese.
A cominciare dal suo primo racconto lungo, “Kitchen”; l’incipit è, infatti, uno dei più celebri della letteratura contemporanea: “Non c’è posto al mondo che ami più della cucina”. Non offre fraintendimenti, questa frase; non concede possibilità d’errore. La cucina è il centro delle case dei romanzi di Banana. Può essere frequentata, disabitata, fredda o calda, maltrattata o rispettata quasi sacralmente, ma è sempre uno dei luoghi di maggiore energia e introspezione. L’ambiente della cucina è pacato, tranquillo, persino ovattato. Spesso è il logo dove si sviscerano le esperienze del dolore e del disagio, ma anche dove si celebrano gli incontri, si suggellano le amicizie e dove si sublimano (o scordano) le angosce. È il luogo delle confessioni e delle confidenze, delle scoperte e delle illuminazioni. E spesso nelle cucine della Yoshimoto ribollono cibi e pietanze che spandono il loro odore e contribuiscono all’epifania dei sensi e della vita. Soprattutto i primi libri (perché poi, proseguendo la sua esperienza narrativa, cambierà un po’ il loro utilizzo narrativo) sono ricchi e densi di piatti e di portate, chiamate coi loro nomi, e anche delle descrizioni delle loro preparazioni culinarie. Spesso, infatti, i personaggi vengono descritti dalla Yoshimoto mentre stanno lavando o tagliuzzando verdure, o cuocendo pesce: si mangia di tutto, nei libri della Yoshimoto, dalla minestra di riso con le uova al tofu in brodo con miso, dai ramen con verdure alla tenpura, dai tortelli cinesi al riso al curry, dai nigiri sushi ai takoyaki (ovvero i bocconcini di polpo), dal wasabizuke con uova di aringa agli okonomiyaki, ovvero una pasta simile alla pizza guarnita di quel che si vuole. Barbara Buganza, accompagnandoci nell’analisi di alcuni testi in particolare (“Kitchen” e “Honeymoon” in primis) ci accompagna anche alla scoperta di questi piatti della cucina tipica giapponese, dando dei preziosi suggerimenti su come cuocerli e offrirli ai commensali. Se mai Banana Yoshimoto venisse a cena…
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