Il mito di Pia da Dante a Gianna Nannini e Pia Pera.

Pia come la canto ioGiulio Gasperini
AOSTA – Sono solamente sette i versi, gli ultimi del canto V del Purgatorio, con i quali Dante ci consegna una delle figure più enigmatiche e solitarie della sua cantata umanità. Una donna aggiunge, quasi timida, la sua voce a due imponenti figure maschili, e ci affida un suggerimento, niente più d’un sospetto della sua esistenza. La scenografia è l’Antipurgatorio, le anime sono quelle di morti di morte violenta. Di fronte ai resoconti sanguinari e sanguinosi di due uomini, la Pia, come un puro giglio, ci parla di sé e del suo destino con un pudore e una reticenza da lasciarci quasi increduli, tristi, impotenti. È lei stessa a proiettarci un’agghiacciante ombra sulla sua fine: “Siena mi fé, disfecemi Maremma: / Salsi colui che ‘nnanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma.”; Pia, dunque, sembra suggerirci che a ucciderla sia stato proprio il marito. E qui finisce la sua confessione. Con un’ulteriore richiesta, struggente nella sua umanità: che Dante la ricordi, una volta tornato sulla Terra dei vivi. Non vuole essere dimenticata, consegnata all’oblio, dopo che la sua vita è stata così precocemente strappata alla vita vissuta. Pia, anche da anima, compie il peccato più umano che possa esistere: richiede l’eternità, valicando lo spirito e il corpo, il pudore e il dolore: “Ricorditi di me, che son la Pia”. Dante rappresenta l’ultima sua sopravvivenza tra i vivi. E il poeta acconsente; la ricorda in maniera così fuggente e vaga da aver alimentato la leggenda.
E Gianna Nannini se n’è impossessata, a distanza di otto secoli, e ne ha fatto un’opera rock, uscita nel 2008, “Pia come la canto io”, dove si vive la sua leggenda. Pia de’ Tolomei, ricca nobildonna senese, era sposa di Nello de’ Pannocchieschi, ricco possidente della Maremma. Mentre egli è in guerra, il suo migliore amico, Ghino, tenta di corteggiare Pia, senza però ottenerne i favori; così Ghino, volendosi vendicare, racconta a Nello, tornato dalla guerra, che Pia, in sua assenza, lo tradiva. Nello allora, credendo all’amico, fa rinchiudere la moglie in un castello della Maremma: il Castel di Pietra, nel comune di Gavorrano. Pia qui si strugge per l’ingiustizia subita e contrae la malaria, morendo sola e abbandonata. Questa è la storia che, spogliata dei connotati più marcatamente storici, ci viene riproposta oggi da Gianna Nannini, dopo un lunghissimo lavoro durato sette anni, condotto insieme a Pia Pera, autrice di tutti i testi dell’opera: testi forti e dolci, aspri come la gelosia e terribili come la pandemia che incombe tra le anime della Maremma.
La forza musicale è quella tipica della rocker toscana, la leggenda le scorre nelle vene fin dall’infanzia, e deflagra, in queste musiche e melodie che scavano a fondo nell’anima, nel cuore, proponendoci un dramma, una sofferenza, un agitarsi di quei sentimenti e di quelle emozioni talmente umane da essere immutabili nonostante il trascorrere del tempo. Il sogno più grande dell’uomo è sempre concedersi l’eternità, Gianna ce ne racconta un frammento. Con quella solita poesia e genuinità che da sempre la contraddistinguono. I testi, invece, grazie al lavoro di Pia Pera, sono testi altamente poetici, che uniscono suggestioni antiche, medievali a valenze e sapori moderni, contemporanei. Un duro plurilinguismo, con accenni anche al triviale, che richiama la maniera di scriver dantesca, che mai, neanche nel Paradiso, fu timoroso nell’utilizzare parole piuttosto licenziose e furiose.

“Migrando”, la battaglia poetica di un clandestino

MigrandoGiulia Siena
ROMAMigrando, il nuovo libro di poesie – il quarto – di Giulio Gasperini ha poco più di un mese. Da un mese questo libro e il suo autore viaggiano spediti per l’Italia – sono ancora al Nord ma presto scenderanno fino a Sud – a raccontare le poesie e il viaggio stesso. Perché il viaggio con la migrazione, l’inquietudine e la ricerca è il motore di Migrando. “Errare come vagare, / ma non come sbagliare. Perché lo sbaglio / non esiste: quello che si cerca è solo / l’ombra d’un giorno che non sia più triste”. Già dalla copertina del libro si intuisce, infatti, il tema antico e perenne dell’andare, che ha visto l’uomo partire in cerca di nuove terre e nuovi spazi, tornare per nuove avventure e nuove vite. Migrando (pubblicato da End Edizioni) torna a questa tematica e lo fa con gli occhi curiosi di Giulio Gasperini che alla sua innata voglia di movimento e scoperta unisce la forte esperienza umana e lavorativa con i migranti. Il viaggio, da semplice e poetico andare per piacere e irrequietezza, si fa migrazione, diventa viaggio di speranza, di salvezza e di emergenza. La mutazione prende vita dall’abilità poetica dello scrittore maremmano che ci trascina tra i migranti che non conoscono le parole e che non hanno voce, tra i disperati che nel viaggio cercano l’asilo, tra coloro che spesso, ai nostri occhi, diventano solamente “il problema”. Ma l’abilità poetica sta anche in altro: sta nel fatto che attraverso un groviglio di sguardi, di vite e di percorsi in terre di confine, dopo aver conosciuto l’altrove, conosciamo l’altro. L’altro è il viaggiatore, in questo caso il migrante o il clandestino, errante per disperazione e spaesato esploratore nel momento del bisogno: “Tocco un porto e poi un altro / – parto e rientro – da porto a porto – / salpo e attracco”. 

 

Quella di Migrando è la battaglia poetica di un clandestino che nel viaggio si afferma e si mette in discussione e, con il viaggio, tenta di portare sotto lo sguardo di tutti la sofferenza e le diversità che il migrante prova sulla sua pelle. La poesia di Gasperini, perciò, è una poesia necessaria, nata dall’atavico bisogno dell’uomo di raccontare e farsi tramite. Con i suoi occhi e la sua emotività si fa sguardo per il mondo.

“Contro” uno Stato che non funziona più.

ControGiulio Gasperini
AOSTA – “Contro” di Lydie Salvayre, edito in Italia da Bébert edizioni (2014), è un pamphlet intenso e duro, scritto in una prosa poetica dallo stile caustico e risoluto. La critica allo stato francese è compatta e ben motivata, scandita da una progressiva accelerazione verso una corruzione che pare inevitabile e non più scongiurabile. Nato come scrittura, il progetto di “Contre” ha visto il coinvolgimento del chitarrista Serge Teyssot Gay, convertendosi in letture pubbliche che hanno coinvolto più intensamente e direttamente l’intera opinione pubblica.
La crisi della res publica riguarda tutti gli ambiti, in un’accelerazione alla devastazione che lascia soltanto vittime sulla sua strada. Creando una dipendenza persino mentale (“Perché nella repubblica da dove vengo, gli uomini non hanno più né occhi né lingua. Dicono di sì a tutto. Applaudono a tutto. Leccano e accarezzano”). Completamente abbrutiti in una sottomissione che è schiavitù, i sottomessi non esprimono neanche la minima volontà di riscatto, di rivalsa nei confronti dell’oppressore. Ma la critica si estende anche alla religione (“Il rimorso? Vedere, è una sorta di aceto cattolico e fortemente corrosivo”) e alla famiglia, all’interno della quale detestarsi “è un’antica consuetudine”. Con il beneplacito della società e dell’omertà imperante. Ma l’attacco colpisce anche i giornalisti e la stampa, che hanno smarrito la loro vocazione all’informazione e hanno, piuttosto, assunto il ruolo di terroristi, inseguendo (e osannando) piuttosto il sensazionalismo che correttezza e attendibilità: “La lapidazione viene praticata principalmente nei giornali e costituisce uno dei passatempi preferiti del paese”. Le accuse della Salvayre sono durissime, feroci: “Contro le nostre vite piegate, contro i porci che le calpestano e i sazi avari che le stritolano”. Tutta l’umanità pare scomparire sotto la carica del disfacimento, sotto il complotto annichilente del potere organizzato: “L’ultimo pazzo è morto / e così anche l’ultimo amante / […] / e così anche l’ultimo animale / […] / e così anche l’ultimo bambino / […] / e così anche l’ultimo musicista / […] / e così anche l’ultimo artista”.
La ricerca assillante, reiterata come fosse un salmo, la ricerca di una formula magica, è quella di un uomo che possa arrivare, abbattere dubbi e punti interrogativi, e sappia condurre lo stato a una nuova forma più completa, più : “Ha visto un uomo? Io cerco un uomo”. Un uomo come? Fondamentalmente “un uomo con gli occhi per vedere, una lingua per giurare e al di sotto un’anima”. Una sorta di nuovo Redentore in chiave contemporaneista, che sappia affrontare tutti i gravi problemi che affliggono democrazia e statalismo dei tempi nostri. Ma la soluzione, al di là dell’ennesimo salvatore del mondo, la Salvayre ce la propone nelle ultimissime pagine, con un imperativo che diventa piuttosto esigenza morale, etica; un imperativo che diventa impegno e dal quale non si può abdicare, né disertare: “Dite ne ho abbastanza. Dite io contro, contro, io sono contro”.

“Il veganesimo significa allargare i propri orizzonti”: ChronicaLibri intervista PoveroVegano.

PoveroveganoGiulio Gasperini
AOSTA – Il veganesimo è ben altro rispetto a una moda del momento. È una capacità di intendere il cibo (ma anche molto altro) secondo nuovi rapporti e legami con la persona stessa, la sua fisicità e la sua interiorità. Ma scegliere la strada vegan significa ripensare tutto il ricettario, imparare a cucinare diverso. Ouverture Edizioni ha pubblicato “Vegano alla mano”, comodo e pratico ricettario compilato da Arianna Mereu e Vieri Piccini, che si svelano in quest’intervista per ChronicaLibri.

 

Che cosa significa, oggi, essere vegano?
Per noi oggi essere vegani significa consapevolezza. Anni fa fare una scelta del genere implicava molto più impegno perché l’informazione a riguardo era molto scarsa e non c’era attenzione particolare verso l’alimentazione e verso l’ambiente. Oggi, un po’ perché il cibo va di moda, un po’ perché molti hanno cominciato ad interessarsi del proprio benessere, la scelta vegan è sempre più in primo piano. Si sta creando un interesse intorno a tutto ciò che è benessere per il mondo e per noi stessi. Ci interroghiamo molto di più su ciò che mangiamo e come viviamo e cerchiamo risposte che ci aiutano a capire meglio noi stessi e i nostri bisogni. Essere vegan oggi significa allargare i propri orizzonti oltre le mura della nostra casa e sentirsi parte di tutto il mondo.

 

Quali sono le domande più importanti che ognuno di noi dovrebbe porsi, in questo senso? Quali sono gli aspetti della vita moderna che il vegan riesce a far affrontare in una nuova prospettiva?
La prima domanda che dovremmo farci è: come stiamo sopravvivendo (se stiamo sopravvivendo)? Ovvero: tutto quello che stiamo facendo e che ci permette di vivere in questo mondo è sensato, coerente con la natura che ci circonda? Poi di seguito potrebbe venire fuori una domanda estranea a molti: facciamo parte della natura? In che modo? Qual è il nostro ruolo? Da qui tutti gli interrogativi sulla natura dell’essere umano. Inoltre esistono già da tempo domande e risposte riguardo all’inquinamento del pianeta e quindi se sia giusto distruggere quella che è la nostra “casa” e come comportarci con gli inquilini che la abitavano già da molti anni prima di noi.
Con la scelta vegan le prospettive si moltiplicano e sono positive nei confronti di tutto e tutti. Il mangiare è solo il primo degli aspetti che fanno affrontare la vita in un modo più consapevole. Diciamo che l’interesse nei confronti di qualsiasi cosa riguardi il nostro stile di vita si amplifica, facendoci trovare nuove possibilità di relazionarsi al nostro modo di vivere, spesso più semplici di quanto pensiamo.

 

Perché la scelta di mettere su carta? Di scrivere? In che modo il vostro ricettario può essere utile?
La scelta di scrivere un ricettario è nata da problemi di natura pratica, più che da considerazioni filosofiche: cercando su internet, o in altri ricettari, quasi mai trovavamo ricette che fossero al tempo stesso vegane, gustose ed economiche. Molto spesso il mondo vegan viene associato a una scelta alimentare elitaria, riservata a chi può permettersi di fare la spesa nei negozi specializzati seguendo tutte le ultime mode in fatto di dieta e alimenti esotici, cari e introvabili altrove. Il nostro modo di vivere l’alimentazione vegan è diametralmente opposto: alimenti di stagione, facilmente reperibili e alla portata di tutti, per cucinare ricette semplici e buone. E non è così difficile! Essere vegan per noi dovrebbe voler dire semplificare la vita, non complicarla: da quando abbiamo iniziato il blog (poverovegano.tumblr.com) e successivamente pubblicato “Vegano alla Mano”, abbiamo ricevuto molte testimonianze di persone, vegane e non, che sono rimaste colpite dalla semplicità e positività del nostro approccio, che riporta il vegan nella sfera del quotidiano e non dell’eccentrico e difficile.

 

Com’è nato il progetto PoveroVegano? Chi c’è dietro questo nome?
PoveroVegano è nato nel 2012 e gli ideatori sono Arianna Mereu e Vieri Piccini. Quando ci siamo conosciuti Vieri era vegano da diversi anni e Arianna aveva problemi di salute che la stavano indirizzando naturalmente verso questo percorso. Arianna ha apprezzato da subito il fatto che Vieri vivesse la sua scelta in modo molto semplice e spontaneo: era abituato da quando la scelta vegan era molto meno diffusa e “di moda” rispetto a adesso ad arrangiarsi con quello che aveva a disposizione, senza cercare soluzioni strane e dispendiose. Il progetto PoveroVegano è nato, come dicevamo, prima di tutto da un’esigenza personale di creare una specie di archivio di ricette buone, vegan e semplici: da lì alla voglia di condividerlo, con positività ed entusiasmo, il passo è stato breve!

 

Ci sono altre iniziative all’orizzonte? Come prevedete che continuerà il progetto di PoveroVegano?
Rispondere a questa domanda non è troppo semplice, in parte perché ci sono delle situazioni “work-in-progress” che non sappiamo bene che direzione prenderanno e in parte per scaramanzia siamo abituati a non dire niente finché non c’è qualcosa di sicuro. Per adesso continuiamo a cucinare e mandare avanti il blog cercando nuove e divertenti soluzioni per le ricette. Allo stesso tempo stiamo pensando ad una possibile nuova pubblicazione, dato il buon successo del primo libro, con contenuti diversi; vediamo dove ci porterà questa estate!

Alla scoperta di Cuba drink to drink.

Alcune strade per CubaGiulio Gasperini
AOSTA – Quello che ci propone Alessandro Zarlatti è un appassionante viaggio attraverso Cuba drink to drink. Dal rum liscio invecchiato al mojito, dal guarapo al vino Soroa, “Alcune strade per Cuba” edito da Ouverture Edizioni ci fa esplorare una Cuba poco convenzionale, come la può conoscere solamente chi ci vive da anni, insegnando la lingua più bella del mondo, ovvero l’italiano.
Quindici racconti, che hanno come introduzione la descrizione spiritosa e anti convenzionale di drink e cocktail facilmente reperibili nell’isola caraibica, sono ambientati in una Cuba di strada, in un’isola che scontorna la geografia e si popola di anime, di caratteri, di persone. Diventa piuttosto uno stato d’animo, un groviglio di sentimenti e di situazioni insperate e inattese, che distorcono percezioni e sensazioni.
Sono racconti divertiti e divertenti, sorprendenti nell’andamento e nella trama, come “AA04583782”, che racconta le peripezie di una banconota attraverso le tante mani della tanta gente che il denaro lo fa circolare; oppure possono toccare momenti di grande dolore come nel caso di “Perros”, che racconta la piaga dei combattimenti tra cani. L’io narrante di volta in volta cambia prospettiva, modifica la sua visione, ci fa mettere sempre in gioco, rischiando anche personalmente nella ricerca ardita di qualcosa che potremmo riconoscere, per non essere in balia di situazioni ed eventi. È un narratore che non si stanca e non si demotiva, ma conosce la ricchezza delle storia che possiede e se ne diverte, spesso procedendo per sottrazione e non lasciando troppo in dono al lettore.
Attraverso le pagine le ispirazioni alcoliche paiono darci delle coordinate fantastiche, quasi i punti di un orientamento che può compiere infinite rotte per un approdo ultimo che sempre ritardiamo, perché sappiamo troppo definitivo. Un po’ come Costantino Kavafis raccomanda in “Itaca”: “Itaca ti ha dato il bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / sulla strada: che cos’altro ti aspetti?”.
Da Cuba ci si attende sempre molto perché Cuba è una terra che ha da sempre un fascino particolare. Una storia, una cronologia che l’hanno resa di volta in volta bandiera e capro espiatorio, diavolo e santo di opposte fazioni. La Cuba di Alessandro Zarlatti si libera un po’ del suo carico morale, delle sue responsabilità al cospetto del mondo e diventa luogo di curiose quotidianità, di divertenti tangenze. Un luogo che potrebbe anche, così, non esistere.

Cittadellarte: un esempio di valorizzazione d’arte.

Il Terzo ParadisoGiulio Gasperini
BIELLA – Biella è una città silenziosa. Accostata alle colline di una delle zone più accese, negli anni passati, per diritti sociali e lavorativi, Biella vive sui riflessi di un antico splendore: quello della lana e dei lanifici, costruiti sullo scorrere del torrente Cervo. Grandi archeologie industriali dominano il panorama, con quelle ciminiere che Carducci descrisse come “a l’opera fumanti”, ostentati fieramente da una città orgogliosa di sé e del lavoro.
Uno di questi luoghi silenziosi è il Lanificio Trombetta, del XIX secolo, che nel 1998 è stato recuperato con la creazione della Fondazione Pistoletto, manifestazione concreta del Manifesto Progetto Arte del 1994, col quale l’artista biellese Michelangelo Pistoletto sviluppò l’idea che l’arte dovesse avere anche un’impronta sociale, coinvolgendo l’artista anche in più settori, in una sorta di sinergia artistica e di materiali che possa amplificare la portata artistica e concettuale.
Cittadellarte è un progetto di grande portata, una sorta di laboratorio aperto a chiunque abbia energia creativa, tramite l’utilizzo e il lavoro di vari uffici, ognuno dei quali ha competenza di una specifica area sociale: dall’arte, all’educazione, dall’ecologia alla politica, dalla spiritualità alla moda e al nutrimento. Non si perde nessun contatto con nessun aspetto della socialità, cercando di lavorare e adoperarsi per “produrre un cambiamento etico e sostenibile, agendo sia su scala globale che locale”.
Biella vista da CittadellarteManifesto della ricerca (o almeno di una parte) artistica di Pistoletto è “Il Terzo Paradiso”, teorizzato in un libro edito da Marsilio Editori nel 2010, nel quale l’artista definisce che cosa intenda per “terzo paradiso”. Pistoletto pensò a un concetto e anche a un simbolo che potessero unire tutta la socialità, tutta l’umanità in un ideale condiviso e irrinunciabile. Declinato in varie forme, plasmato con diversi materiali, tracciato persino sulla piramide del Louvre in occasione della mostra dedicata al maestro, autore della celeberrima Venere degli stracci, nel 2013. Il simbolo del Terzo Paradiso unisce i due paradisi dell’umanità, uno più naturale e l’altro artificiale, cercando un compromesso possibile tra stato naturale e stato industriale, tra origine e sviluppo: “È un passaggio evolutivo nel quale l’intelligenza umana trova i modi per convivere con l’intelligenza della natura”. Alla base di tutto, la democrazia come fondamentale processo di sviluppo. Una democrazia che deve essere culturale, persino, dando a tutti la possibilità di contribuire coi propri talenti e le proprie ricchezze personali. Il percorso nel pensiero di Michelangelo Pistoletto, l’esplorazione delle sue varie declinazioni d’arte, l’interesse per l’arte povera, l’immergersi nel suo percorso artistico è un’avventura interessante e arricchente. Un’arte comunque supportata da un continuo intessersi di teorie e strutture di pensiero che conservano sempre, come fine ultimo, l’educazione anche sociale di tutti, indiscriminatamente e democraticamente.
Oggi, venerdì 11 luglio si inaugurerà la XVII edizione della rassegna annuale “Arte al centro di una trasformazione sociale responsabile”, con una serie di mostre, performance e incontri, tutti a ingresso libero. Il Lanificio, costruito a picco sul torrente Cervo, continua mutatis mutandis a servire gli abitanti di Biella e tutti gli attesissimi ospiti.

È un paese per bambini quello che stiamo abitando?

E' un paese per bambiniGiulio Gasperini
AOSTA – Il Italia ci sono più automobili che bambini, pro capite. Con questa rivelazione persino agghiacciante si apre la riflessione di Alessandra Nucci, esperta di agricoltura e alimentazione. Nel suo “È un paese per bambini”, edito da Effequ nella collana Saggi pop, la studiosa costruisce sulla carta la tipologia di mondo che sarebbe opportuno veder costruito per il benessere dei bambini e delle future generazioni.
Si inizia dal concetto che l’agricoltura è alla base delle “sorti umane e progressive”: non si può prescindere dal settore primario, che però deve essere ripensato sulla base di un notevole cambio di prospettiva. Non si può più immaginare un’agricoltura basata sullo sfruttamento intensivo, ma è necessario pensarla sulla base del chilometro 0, magari su principi di collettività e socialità come si stanno affermando in piccolo nelle città, magari con l’istituzione degli orti urbani o delle coltivazioni condivise. Partendo da qua, la Nucci affronta poi il problema dell’alimentazione e di quanto sia importante per il nostro benessere, soprattutto in un mondo come il nostro. Fondamentale, per la Nucci, è una corretta educazione alimentare, portata avanti con coscienza e intelligenza anche nelle scuole, oltre che nelle famiglie, per poter permettere a tutti di elaborare proprie strategie di benessere psico-fisico. Ed ancora più importante è capire la relazione emotiva che i bambini hanno con il cibo: comincia a costruirsi proprio nei primi anni il legame con gli alimento, coi gusti, coi sapori, con gli odori. La situazione in Italia, secondo le ultime analisi, non è incoraggiante: l’obesità dei bambini, ad esempio, registra un dato paurosamente alto, come all’opposto è pericolosamente basso il dato di chi consuma frutta e verdura regolarmente. Ma non sono solo le abitudini alimentari, per questo, da rivedere completamente e da riprogettare, ma anche la fruizione del cibo ha subito cambiamenti radicali che hanno abolito la socialità della tavola a favore di pranzi e cene consumate velocemente, di fretta, spesso nella compagnia alienante di un televisore. Senza più la convivialità che arricchisce e impreziosisce le vivande stesse, si perde una dimensione fondante del cibo, come nutrimento anche culturale e civile, degradandolo soltanto al ruolo di dispensatore di calorie.
In questo senso, “È un paese per bambini”, arricchito da due interventi di studiosi mondiali (John Kariuki, consigliere internazionale di Slow Food per l’Africa Orientale, e Carmen Martì Navarro, psicologa clinica), diventa uno strumento di positività, che permette sia di focalizzare alcuni importanti concetti che i meccanismi del mondo contemporaneo hanno fatto dimenticare sia di trovare alcune vie d’uscita, alcuni varchi di fuga per poter cominciare a rimettere noi stessi al centro del mondo e tenere il mondo stesso un po’ al centro assieme a noi.

“No país do futebol”: il Brasile al centro del mondo.

No Pais do futebolGiulio Gasperini
AOSTA – Sotto tutti i riflettori del mondo. Non solo in quest’estate del 2014 con i Campionati mondiali di calcio ma anche in previsione delle Olimpiadi di Rio del 2016; e poi, per i gravissimi scontri sociali che l’assegnazione dei due grandi eventi ha scatenato nel popolo brasiliano, con le forti contestazioni alla politica e ai poteri forti di una delle economie considerate più in sviluppo del mondo contemporaneo.
Il giornalista Bruno Barba, come da sottotitolo, ha compiuto un viaggio antropologico in questo paese enorme e multiplo, con tante identità a incastrarsi e sovrapporsi in un mosaico complesso quanto affascinante: “No país do futebol”, edito nel 2014 da Effequ, è il risultato di questo ritorno alla casa del calcio, per eccellenza, in un mondiale dal quale l’Italia è già stata eliminata ma che non perde per questo il suo fascino indistinto.
Il punto di vista è quello del “casalingo di Voghera”, ovvero dell’italiano medio, che come sempre comincia a interessarsi di una geografia quando vi accade un evento superiore, che riesce a catalizzare la sua attenzione e ad aggirare i suoi preconcetti. L’obiettivo è quello di presentare un paese che sta vivendo un’evoluzione a ritmi pazzeschi, un’accelerazione alla modernità che ha pochi paragoni nel resto del mondo. Un paese, il Brasile, che ha sempre incuriosito e interessato per i suoi eccessi, le sue peculiarità, la sua natura ribelle, le sue dimensioni spropositate, la sua storia di armi e sangue, le sue devastanti contraddizioni, la sua musicalità anche linguistica, la genialità dei suoi artisti, la carnalità della sua letteratura. Il suo calcio stellare: ed è proprio da questo sport che l’esplorazione comincia, inevitabilmente. L’assegnazione del mondiale, le proteste, i lavori non conclusi, la prospettiva di una festa del calcio che sia orgoglio e rivalsa di un popolo e di una cultura interi. Ma dal calcio si passa ben preso ad altro: si passa ai luoghi comuni, ai pregiudizi, alle favole raccontate su questo paese dalla storia imponente. E poi si parla di libri, di poesie, di canzoni, di bossanova, di favelas, di telenovelas, di Ordem e Progresso. Nel particolare, Bruno Barba passa a descrivere le città protagoniste di questo mondiale, da Salvador de Bahia, “Universo negro”, a Rio de Janeiro, “A cidade maravilhosa”, da San Paolo, “La patria degli italiani”, a Manaus e Recife e tutti gli altri luoghi che adesso tutti sanno per averli sentiti alla televisione ma che nessuno conosce veramente. Il Brasile è il grande esempio, il grandissimo manifesto del meticciato, dell’incontro che crea unione e forza, della contaminazione che non è sinonimo di male ma che diventa potenza per significarsi in maniera migliore e più performante.
Un viaggio affascinante e coinvolgente, questo di “No país do futebol”, in uno stile accattivante che ci accompagna per mano, ci mostra le curiosità, ci rende consapevoli che il Brasile intero è più di un paese o di un orizzonte commerciale: è una ricchezza meticcia per tutti.

Giornata Mondiale del Rifugiato: con “Migrando” il grande ritorno in libreria del nostro Giulio Gasperini

MigrandoGiulia Siena
AOSTA – Giulio Gasperini – il nostro redattore dalle passioni “Vintage”, nonché scrittore ed operatore culturale dalle radici ben salde nella sua Caldana – torna in libreria e lo fa in grande stile. La nuova opera, Migrando (pubblicata dalla End Edizioni) è una raccolta poetica che si arricchisce di maturità, esperienza e sensibilità. Migrando, in cui esprime forte e coraggioso il tema della migrazione, sarà presentato ad Aosta – la città che da qualche anno ha adottato lo scrittore maremmano – oggi, venerdì 20 giugno 2014 in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Il rifugiato, esule tra l’altro e l’altrove, è protagonista di questa raccolta divisa in cinque sezioni che mano mano, poco alla volta, disvelano la persona e rafforzano la flebile voce di chi viene spesso visto esclusivamente come problema. La migrazione, in questo libro, viene intesa come arrivo, partenza, diario di viaggio, occasione di incontro, momento di dolore, speranza e motivo di razzismi.  La migrazione è, inoltre, il limite fisico tra terra e mare: questa poesia, infatti, narra di luoghi in cui si nasce, terre che si abbandonano per approdare in terre in cui si viene condannati dai nostri stessi simili; narra di mari – materni e stranieri – da attraversare e dove spesso si muore.

 

Migrando è cronaca dei giorni nostri, è tutto quello che ci è difronte agli occhi ma non riusciamo a vedere. Giulio Gasperini fa questo, ci apre gli occhi e ci regala una nuova e diversa chiave di lettura: i migranti sono lì, davanti a noi, sulle nostre coste, alle porte delle nostre case, sui marciapiedi accanto alle nostro auto. Loro sono lì e ognuno di loro ha dentro una storia di migrazione che li ha segnati, un’avventura che per terre e attraverso il “mare nostrum” li ha portati a vivere sul nostro stesso suolo. La prima persona usata spesso da Gasperini, poi, spoglia questa poesia dei soli tratti cronistici e l’arricchisce di emotività, coinvolgimento e azione.

Lo strabiliante mondo dei “Piccoli viaggiatori a piedi e in treno”.

Piccoli viaggiatori a piedi e in trenoGiulio Gasperini
AOSTA – Qualcuno ha scritto, tempo fa, che il treno è il miglior mezzo per viaggiare. Perché ha i suoi ritmi, fa le sue fermate, crea socialità e annienta le tensioni del percorrere distanze anche lunghe. Di sicuro, il treno ha un fascino tutto particolare, derivato forse anche da quegli antichi romanzi di esplorazioni e misteri, quando ancora gli aerei non esistevano. Terre di Mezzo Editore ha appena pubblicato una guida, scritta da Annalisa Porporato e Franco Voglino, dedicata ai viaggiatori più giovani che vogliano provare quest’antica emozione di un viaggio in treno, con le ultime ferrovie particolari che sono rimaste nel mondo. Ecco l’intento di “Piccoli viaggiatori a piedi e in treno”, che illustra, come da sottotitolo, “30 escursioni brevi per divertirsi con la famiglia”.
Prendendo in esame vari tratti ferroviari, la guida propone delle escursioni perfettamente adatte ai viaggiatori più piccoli e alle loro famiglie. Si comincia con la Ferrovia ligure, da Genova a Ventimiglia, per poi proseguire con altri frammenti di rotaie. Dalla Genova-Casella, che vide la luce nel 1929, alle ferrovie più particolari, come la Funicolare di Mondovì, la Tranvia e la Ferrovia del Frejus, che da Torino si inoltra verso Bardonecchia. Ma sono inserite anche tante Funicolari, di cui l’Italia pullula senza magari che se ne sappia troppo: dalla Funicolare di Mondovì alla Tranvia Sassi-Superga, inaugurata nel 1884, dalla Funicolare di Biella alla Funicolare Como-Brunate, dalla cui stazione finale si può arrivare a piedi al Faro voltiano, che concede una stupefacente vista del Lago Maggiore.
Sono tutti percorsi arditi, che l’uomo ha creato faticando ma non devastando la natura preesistente. Sono sentieri, strade che permettevano di collegare realtà che altrimenti sarebbe rimaste troppo isolate e che adesso ci permettono di contemplare il paesaggio da un angolazione completamente diversa, più declinata nei criteri della calma, dell’attenzione più stimolante, della pazienza che i grandi viaggiatori hanno sempre avuto: e che si comincia a maturare da piccoli. All’opposto delle Alte velocità che sfrecciano e dilaniano il paesaggio, questi treni permettono uno sguardo attento e cullante, un contatto visivo ma anche emozionale con tutto ciò che scorre fuori dal finestrino.
L’attenzione è rivolta ai più piccoli ma anche alle famiglie, perché il viaggio è senza dubbio un’occasione notevole di consolidare rapporti e di curarne altri, che permette a ognuno di cambiare per un po’ le proprie identità per costruirsi migliori in rapporto a sé e in rapporto agli altri.