Giulio Gasperini
AOSTA – È francamente sorprendete leggere un romanzo che comporta un uso sfrenato dell’empatia. Oltre che gradevolissimo escamotage narrativo, il romanzo “Fisica della malinconia” dello scrittore bulgaro Georgi Gospodinov, edito da Voland nel 2013, fa riscoprire una parola che nel nostro vocabolario è sempre più bistrattata, se non addirittura ignorata, quando – ancora peggio – usata a sproposito. Perché empatia è una parola potentissima, che germoglia dal greco antico: en e pathos sono i due significati che la compongono e l’idea è quella di “sentire dentro”; ma un sentire in senso lato, una compartecipazione emotiva tra due o più entità umane. Anticamente si utilizza il termine per definire il rapporto emozionale stabilitosi tra poeta e pubblico, tra artista e spettatore. Al di là di queste mere riflessioni etimologiche – ma fondamentali per capire la portata e l’importanza del romanzo di Gospodinov – lo scrittore bulgaro ha un’idea folgorante: scrivere dal punto di vista di un bambino che riesce a calarsi nelle vite degli altri, tramite questa dote dell’empatia, e a rivivere le varie situazioni da angolature diverse, conquistando di volta in volta punti di vista diversi: “La tendenza all’empatia è più forte tra i 7 e i 12 anni. Le ultime ricerche riguardano i cosiddetti neuroni specchio, localizzati nella parte anteriore della corteccia insulare”.
L’avventura è un continuo sovrapporsi di situazioni, di eventi, di emozioni che devono essere ricostruite ma che si ricollocano nel piano temporale e logico con una facilità da fiaba. A fare da macrocornice il recupero del mito del Minotauro: un essere mostruoso, ma che forse è stato fin troppo punito dalla tradizione mitica per non provarne pietà e compassione (anche qua, nel senso più alto e tragico del termine). Ci si dimentica spesso della componente umana del Minotauro: era anche un uomo, è stato un bambino, è cresciuto ragazzo. Quale potrebbe esser stata la sua reazione al rifiuto genitoriale? Quale la sua sofferenza nell’esser chiuso in un labirinto senza uscita, senza amicizia, senza amore? “La storia di una stirpe può essere descritta attraverso gli abbandoni di alcuni bambini. Lo stesso vale per la storia del mondo”. Con l’età la tendenza all’empatia diminuisce, si scarnifica e cessa: ecco allora che è il bambino a creare e plasmare le storie e a teorizzare, prima che sia tardi, le grandi regole del racconto, del ricordo: dalla fisica della malinconia alla fisica del pulviscolo, che sedimenta e copre ogni racconto della storia.
E le storie dei protagonisti, soprattutto della famiglia del bambino, si dipanano attraverso guerre e sofferenze, toccando vari momenti della storia bulgara ed europea. Ma non soltanto le azioni sono i dati importanti; Gospodinov trasforma i suoi attanti in saggi, che distillano sapienza da ogni esperienza e che hanno come loro arma ultima la parola, con cui filtrare e comunicare le esperienze maturate e che spesso carica di un potente afflato lirico ogni aspetto del più insignificante quotidiano: “Ho imparato le lettere al cimitero di quella cittadina riarsa dal sole. Posso anche dire che la morte è stato il mio primo sillabario. I morti mi hanno insegnato a leggere. […] Non sapevo che sotto la lingua potesse covare tanta morte”.
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