Giulio Gasperini
AOSTA – Un palindromo è un “Verso, frase, parola o cifra che letta in senso inverso mantiene immutato il significato. Come la storia di due solitudini, quella di “Anna” e quella di Ezio, che a un certo punto si sorprendono e si smascherano. Nel nuovo romanzo di Francesco D’Isa, edito da Effequ, si esplora una doppia solitudine, che la pragmatica lingua tedesca riassume nella parola “Zweisamkeit”: “Einsamkeit vuol dire solitudine. […] Considerando che Eins vuol dire uno, e Zwei due, Zweisamkeit vuol dire all’incirca solitudine in due. Duitudine”.
Il romanzo di Francesco D’Isa ha una notevole leggerezza di scrittura, che però fa sprofondare il lettore negli abissi più oscuri e tetri della mente umana. È proprio la mente la protagonista indiscussa della narrazione: in particolare, esiste un collegamento vivissimo e sempre attivo tra i due protagonisti del libro, tra Anna ed Ezio, una paziente l’altro dottore che il caso della vita fa incontrare. Proprio da un’esitazione di Ezio, chirurgo, alle prese con bisturi e radioterapia, lieve come un battito di ciglia, scatena il dramma di Anna, donna di cui si ignora il presente e il cui passato è ancora più misterioso.
Da quel momento, i ricordi della donna si presentano alla sua mente con la consistenza e le immagini dei sogni, a tal punto che quel che dice risulta incomprensibile. E per risolvere il caso, Ezio si mette sulle tracce di una realtà alternativa, procedendo a ritroso e in sottrazione, ponendosi nell’alterità e rinunciando alle sue sicurezze anche cliniche. È un gioco pericoloso, perché fa addentrare il medico in un territorio del quale non conosce la strada per uscirne, però è presumibilmente l’unica maniera per incontrare Anna e per comprenderla interamente. La narrazione spesso si sofferma su momenti di grande solitudine, di confronto con il sé stessi più profondo: è una ricerca complessa e faticosa, che consuma e logora, ma è il punto di partenza per ricostruire. Il tutto è orchestrato in un ben costruito sistema metanarrativo di lettere e narrazioni, che fanno avanzare delle ipotesi e rendono più penetrante il messaggio del romanzo, coinvolgendo il lettore e riservandogli un ruolo da protagonista attivo.
Anna è il personaggio che più calamita, all’inizio: per la sua apparente solitudine, per il suo tentativo di ricominciare dal nulla, interrompendo qualsiasi contatto e rapporto col passato; un passato che subito si manifesta come ingombrante e faticoso, e del quale comprendiamo tutta la gravità procedendo nella lettura. Ma l’accelerazione del personaggio di Enzo è altrettanto interessante e coinvolgente, perché al contrario parte da certezze granitiche per finire sgretolato nell’indecisione e nel dubbio. Due solitudini, appunto, che compiono percorsi da palindromi, in entrambi i sensi. Nella vita degli individui, quello che conta, quello è di difficile gestione, è sempre il percorso; perché gli arrivi e gli approdi, spesso, possono essere confusi e sovrapponibili.
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La giungla pittoresca dei premi letterari in “Selezione naturale”.
Giulio Gasperini
AOSTA – L’Italia esplode di premi letterari. Bandi e concorsi che allettano e illudono centinaia di scrittori o di aspiranti tali che conquistano pergamene e scarse motivazioni. La casa editrice di Orbetello, l’Editrice Effequ, ha edito una divertente antologia di racconti, “Selezione naturale. Storie di premi letterari” che mette assieme la genialità di scrittura di numerosi giovani scrittori toscani. I racconti, curati da Gabriele Merlini, hanno tutti come tema la scoperta e la conquista di un premio letterario da parte di scrittori spesso in erba, o da affermati narratori che, loro malgrado, sono nominati giudici e devono alimentare le illusioni di scribacchini vari.
La passione per il premio letterario ha una fenomenologia tutta sua, tutta particolare, tutta divertente e totalizzante. Stupefacente il realismo adesivo di Marco Simonelli, nel suo racconto “Patologia del premio di poesia”, dove la febbre del premio si fa accelerazione all’ironia. La fortunata stesura di un racconto, che detta il successo di uno scrittore per tutta la vita, nel racconto “Un racconto vincente” di Francesco D’Isa, è metafora di tanti premi dei giorni nostri, quando per vincere basta fin troppo poco e la fama è assicurata da praticamente nessun talento di scrittura. “Essi scrivono” di Alessandro Raveggi è invece parodia di una società di scriventi ma non di leggenti, di persone che credono tutte di aver qualcosa da dire ma che non si interessano a quello che hanno detto gli altri, in un solipsismo così esclusivo da risultare ridicolo. E poi ci sono anche i premi subito ripudiati, come nel caso di Vanni Santoni e nel suo “Il forca”, dove un intero romanzo, sudato in ogni pagina, finisce nel secchio dell’immondizia prima dell’ultima revisione.
Questi racconti, spietati e intelligenti, rendono uno specchio abbastanza convincente di un certo mondo letterario della nostra penisola, quello dove si nutrono false speranze e si premiano amici dei giurati; un mondo dove non si salvano neppure i premi ritenuti più importanti e blasonati, perché tutti finiscono nei medesimi meccanismi di interessi e visibilità editoriali. Una giungla è il mondo dei premi; una giungla dove le illusioni sono tante e i tentativi di rapina ancora di più. Basta prenderli un po’ con la giusta ironia e con una sana propensione all’indulgenza.
Le strade del Morellino: quando il vino è appagamento sensoriale.
Giulio Gasperini
AOSTA – Senza dubbio è un vino tra i più famosi al mondo. È uno dei più pregiati e dei più apprezzati. Ma anche, uno dei più “misteriosi”. Qual è il vero Morellino? È una questione ancora aperta e dibattuta, che non ha un epilogo sicuro. Il Morellino non ha ancora una definizione. Matteo Teodori ha percorso le colline maremmane incontrando e parlando chi col Morellino ci lavora e ha un legame speciale: produttori, agricoltori, imprenditori di uno dei vini più affascinanti che esistano. E ne ha scritto un libro esile e incalzante: “Strade del Morellino. Storie e avventure di un vino famoso nel mondo”, edito dalla casa editrice orbetellana Effequ (2014) nella collana “Ricettacoli”. La narrazione prosegue liscia e vellutata, proprio come un bicchiere di vino, che soprattutto in compagnia tiene accesa l’atmosfera e aiuta la conversazione. A intervallare il racconto, varie ricette tipicamente toscane che prevedono l’accompagnamento di questo vino rosso e robusto: dalla salsa di fegatini allo stracotto di cinghiale alla scottiglia cucinata già, pare!, dagli Etruschi. E sono proprio gli Etruschi il leggendario popolo che, secondo alcune teorie, ha introdotto la coltivazione della vite, anche se i dati più certi e sicuri sulla produzione risalgono all’epoca romana, quando i vini prodotti in queste terre venivano commerciati in tutti i porti del Mare Nostrum, come testimoniano le tante anfore che riportano il marchio SEST, ovvero della famiglia dei Sestii, nobili che operavano nelle zone rurali della Maremma. Teodori ripercorre tutta la storie e le alterne vicende di questo vino con ineccepibile maestria, mostrandoci come siano complessi i meccanismi dell’enogastronomia e del gusto. Estremamente curiosa e interessante anche l’“inchiesta” su quale sia la vera ricetta del Morellino, quali i vitigni, quale la composizione, quali le dosi e i rapporti. Perché, in realtà, pare che ancora nessuno abbia le idee molto chiare sulla formula magica che crea uno dei prodotti più deliziosi dell’enogastronomia italiana. A renderla ancora più concreta, sono le parole delle persone che con il Morellino vivono e lavorano direttamente, che hanno scelto la coltivazione della vite e la produzione di questo capolavoro che tutti conoscono e il cui nome rotola sulla lingua di ognuno con estrema soddisfazione. Gli stravolgimenti climatici che hanno colpito l’Italia in generale e la Toscana nel particolare senza dubbio non gioveranno alla sopravvivenza del Morellino. Però rimane sempre in testa la frase del grande Leonardo, che aveva capito l’importanza della vite per del suo prodotto: “Et però credo che molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni”.
È un paese per bambini quello che stiamo abitando?
Giulio Gasperini
AOSTA – Il Italia ci sono più automobili che bambini, pro capite. Con questa rivelazione persino agghiacciante si apre la riflessione di Alessandra Nucci, esperta di agricoltura e alimentazione. Nel suo “È un paese per bambini”, edito da Effequ nella collana Saggi pop, la studiosa costruisce sulla carta la tipologia di mondo che sarebbe opportuno veder costruito per il benessere dei bambini e delle future generazioni.
Si inizia dal concetto che l’agricoltura è alla base delle “sorti umane e progressive”: non si può prescindere dal settore primario, che però deve essere ripensato sulla base di un notevole cambio di prospettiva. Non si può più immaginare un’agricoltura basata sullo sfruttamento intensivo, ma è necessario pensarla sulla base del chilometro 0, magari su principi di collettività e socialità come si stanno affermando in piccolo nelle città, magari con l’istituzione degli orti urbani o delle coltivazioni condivise. Partendo da qua, la Nucci affronta poi il problema dell’alimentazione e di quanto sia importante per il nostro benessere, soprattutto in un mondo come il nostro. Fondamentale, per la Nucci, è una corretta educazione alimentare, portata avanti con coscienza e intelligenza anche nelle scuole, oltre che nelle famiglie, per poter permettere a tutti di elaborare proprie strategie di benessere psico-fisico. Ed ancora più importante è capire la relazione emotiva che i bambini hanno con il cibo: comincia a costruirsi proprio nei primi anni il legame con gli alimento, coi gusti, coi sapori, con gli odori. La situazione in Italia, secondo le ultime analisi, non è incoraggiante: l’obesità dei bambini, ad esempio, registra un dato paurosamente alto, come all’opposto è pericolosamente basso il dato di chi consuma frutta e verdura regolarmente. Ma non sono solo le abitudini alimentari, per questo, da rivedere completamente e da riprogettare, ma anche la fruizione del cibo ha subito cambiamenti radicali che hanno abolito la socialità della tavola a favore di pranzi e cene consumate velocemente, di fretta, spesso nella compagnia alienante di un televisore. Senza più la convivialità che arricchisce e impreziosisce le vivande stesse, si perde una dimensione fondante del cibo, come nutrimento anche culturale e civile, degradandolo soltanto al ruolo di dispensatore di calorie.
In questo senso, “È un paese per bambini”, arricchito da due interventi di studiosi mondiali (John Kariuki, consigliere internazionale di Slow Food per l’Africa Orientale, e Carmen Martì Navarro, psicologa clinica), diventa uno strumento di positività, che permette sia di focalizzare alcuni importanti concetti che i meccanismi del mondo contemporaneo hanno fatto dimenticare sia di trovare alcune vie d’uscita, alcuni varchi di fuga per poter cominciare a rimettere noi stessi al centro del mondo e tenere il mondo stesso un po’ al centro assieme a noi.
“No país do futebol”: il Brasile al centro del mondo.
Giulio Gasperini
AOSTA – Sotto tutti i riflettori del mondo. Non solo in quest’estate del 2014 con i Campionati mondiali di calcio ma anche in previsione delle Olimpiadi di Rio del 2016; e poi, per i gravissimi scontri sociali che l’assegnazione dei due grandi eventi ha scatenato nel popolo brasiliano, con le forti contestazioni alla politica e ai poteri forti di una delle economie considerate più in sviluppo del mondo contemporaneo.
Il giornalista Bruno Barba, come da sottotitolo, ha compiuto un viaggio antropologico in questo paese enorme e multiplo, con tante identità a incastrarsi e sovrapporsi in un mosaico complesso quanto affascinante: “No país do futebol”, edito nel 2014 da Effequ, è il risultato di questo ritorno alla casa del calcio, per eccellenza, in un mondiale dal quale l’Italia è già stata eliminata ma che non perde per questo il suo fascino indistinto.
Il punto di vista è quello del “casalingo di Voghera”, ovvero dell’italiano medio, che come sempre comincia a interessarsi di una geografia quando vi accade un evento superiore, che riesce a catalizzare la sua attenzione e ad aggirare i suoi preconcetti. L’obiettivo è quello di presentare un paese che sta vivendo un’evoluzione a ritmi pazzeschi, un’accelerazione alla modernità che ha pochi paragoni nel resto del mondo. Un paese, il Brasile, che ha sempre incuriosito e interessato per i suoi eccessi, le sue peculiarità, la sua natura ribelle, le sue dimensioni spropositate, la sua storia di armi e sangue, le sue devastanti contraddizioni, la sua musicalità anche linguistica, la genialità dei suoi artisti, la carnalità della sua letteratura. Il suo calcio stellare: ed è proprio da questo sport che l’esplorazione comincia, inevitabilmente. L’assegnazione del mondiale, le proteste, i lavori non conclusi, la prospettiva di una festa del calcio che sia orgoglio e rivalsa di un popolo e di una cultura interi. Ma dal calcio si passa ben preso ad altro: si passa ai luoghi comuni, ai pregiudizi, alle favole raccontate su questo paese dalla storia imponente. E poi si parla di libri, di poesie, di canzoni, di bossanova, di favelas, di telenovelas, di Ordem e Progresso. Nel particolare, Bruno Barba passa a descrivere le città protagoniste di questo mondiale, da Salvador de Bahia, “Universo negro”, a Rio de Janeiro, “A cidade maravilhosa”, da San Paolo, “La patria degli italiani”, a Manaus e Recife e tutti gli altri luoghi che adesso tutti sanno per averli sentiti alla televisione ma che nessuno conosce veramente. Il Brasile è il grande esempio, il grandissimo manifesto del meticciato, dell’incontro che crea unione e forza, della contaminazione che non è sinonimo di male ma che diventa potenza per significarsi in maniera migliore e più performante.
Un viaggio affascinante e coinvolgente, questo di “No país do futebol”, in uno stile accattivante che ci accompagna per mano, ci mostra le curiosità, ci rende consapevoli che il Brasile intero è più di un paese o di un orizzonte commerciale: è una ricchezza meticcia per tutti.