Sinnos: le passioni non hanno genere

Nella graphic novel “Doppio passo”

Il doppio passo, nel gergo calcistico, è la simulazione del contatto tra il giocatore e la palla. Nell’omonimo libro di Alice Keller con le illustrazioni di Veronica Truttero, il “doppio” sta nel rapporto speculare che si crea tra Martin e Lilian.

Durante la Prima guerra mondiale, nei cortili dei quartieri operai di St. Helens, in Inghilterra, gruppi di ragazzini giocano a rincorrere un pallone. Sono i figli degli uomini in guerra e delle donne in fabbrica, sono i fratelli più piccoli di giovani uomini partiti per il fronte, sono gli adulti di un domani che guarderà a quel periodo, a quelle partite, come ai momenti più spensierati e avvincenti; nonostante tutto.

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“C’è mancato poco”, storie agrodolci di uomini e palloni. Il nuovo libro di Felice Panico

Giulia Siena
PARMA“Per una volta gli sconfitti diventano protagonisti”. Scrive l’attore Giulio Scarpati nella prefazione di C’è mancato poco. Le finaliste perdenti di Coppa dei Campioni Storie agrodolci di uomini e palloni, il libro di Felice Panico pubblicato qualche mese fa nella collana Ologrammi della Fefè Editore. Gli sconfitti, infatti, vengono osservati nella loro condizione di guerrieri a un passo dalla vittoria; ma quella vittoria, all’ultimo duello con il nemico, è scivolata via, per poco, per un pelo, per un soffio. C’è mancato poco e sarebbero stati i campioni. Questo il nodo cruciale di questo libro che è un viaggio a tappe (21, come i capitoli) lungo sessant’anni di storia del calcio attraverso le finali della Coppa dei Campioni, poi Champions League. Continua

“Senza paura”, storia di una passione che può cambiare la vita

SENZA PAURA_Pagano_CHRONICALIBRIGiulia Siena
PARMA“Essere senza paura è un’altra cosa. Quello è uno stato di grazia, ma per incontrarlo bisogna avere fegato sul serio. Bisogna avere la forza di essere se stessi fino in fondo. Fino alle estreme conseguenze”. Flavio Pagano, autore di Senza paura, romanzo edito da Giunti, parte da una considerazione sul coraggio per raccontare la storia di Bruno e con essa – a grandi linee – quella di Ciro Esposito, il tifoso ferito allo Stadio Olimpico di Roma il 3 maggio 2014 e morto 52 giorni dopo. Il romanzo, acclamato dalla critica (Premio Selezione Bancarella Sport, 2015) e premiato dal successo di pubblico,  è la storia di vite segnate, cambiate e strappate via da una passione semplice quanto ancestrale, quella per il calcio.  Continua

“Che storia, la Bari”: racconti popolari di calcio e società.

Che storia, La BariDalila Sansone
AREZZO – Se qualcuno mi avesse chiesto un’opinione sul calcio qualche mese fa, all’inizio di una primavera stentata e piena di incertezze, avrei risposto con la solita frase: ventidue tizi in mutandoni e antiestetici calzettoni che rincorrono una palla; inconcepibile seguirli per 90 minuti! Poi ti devi ricredere e in un bar di semiperiferia lontano, lontano dalla città di cui una squadra porta il nome, scoprire che dentro le scarpe, sotto quegli orribili calzettoni ci sta un sogno, ci stanno le cose in cui credi, che a volte ti ripeti e non avresti mai pensato possibile ritrovare proprio lì. “Che storia, la Bari” (GelsoRosso 2014, a cura di Mirko Cafaro e Cristiano Carriero) è un libricino piccino, rosso vivo che pulsa esattamente come un cuore che batte. 25 racconti di gente comune, tifosi e meno tifosi, gente che LA Bari la conosce da sempre o ci si è imbattuta per caso, o di cui si è accorta dentro le lacrime della persona che ama in un fredda sera d’inverno e di delusioni. Nasce da un’idea di baresi fino al midollo, perché la stagione 2013/2014 non potevi non raccontarla: dal rischio retrocessione all’autofallimento, dagli stadi vuoti ai 50800 nella trasferta ad un soffio dai playoff (si ho imparato persino cosa sono i playoff). La Bari (perché non basta iniziare ad ascoltare on air Radio Puglia ma devi imparare pure che gli aggettivi si usano con cognizione di appartenenza) quest’inverno era un’anonima squadra di serie B, pochissimi fedelissimi ancora sulle gradinate, gli altri, in polemica con la proprietà, invece lo stadio lo avevano abbandonato da tempo; in quelle asettiche giornate di campionato, dagli spalti degli stadi vuoti, sembrava solo una storia stagnante senza futuro. Fino alla resa del “nemico”: la proprietà dichiara fallimento, è il 9 Marzo. La squadra: poco più che ragazzi, soli senza stipendio e prospettive. Bari: una città che si riscopre popolo e si riappropria della sua squadra. E’ un’alchimia che riempie lo stadio e i ragazzi scelgono di mettere il cuore dentro le scarpe, si come Nino che stavolta non avrà nessuna paura di tirare un calcio di rigore…no, loro non hanno paura, loro hanno coraggio e hanno dignità e vincono, vincono, rimontano la classifica. Bari–Cittadella 40.000 spettatori al San Nicola, lo stadio progettato da Renzo Piano con l’erba a chiazze e le coperture fatiscenti, lì giù, si al sud, dove in mezzo al niente se un cuore batte tutto è possibile e se migliaia di cuori battono all’unisono i sogni spiazzano e travolgono la realtà. Mentre i palloni vanno in rete su e giù per l’Italia e gli stadi si colorano di bianco e rosso, due aste fallimentari vanno deserte, sul web impazza l’hastag #compralabari e la Bari rinasce, peccato le sfugga la sfida più importante, senza sconfitte sul campo e la beffa di un punto di penalità. Arriva il momento delle lacrime di tutti e sui volti puliti di giocatori così strani, senza agenti, che giocano passione e segnano per rispetto e gratitudine. Lì in mezzo trovi pure la storia di un bimbo arrivato a Bari, undici mesi, sulla nave dirottata in Albania, in quello che adesso sembra un lontano 1992. Lui adesso indossa un completo biancorosso e dentro quelle scarpe ci mette il cuore perché ai baresi glielo deve.
Ecco questo libro è un nocciolo puro di umanità visto attraverso gli occhi di gente diversa, ascoltato nelle parole di un commentatore radiofonico che ti lascia senza parole perché da tempo pensavi che giornalisti degni di questo nome ormai non ne esistessero più.
Io la mia Bari l’ho vissuta attraverso uno di quei figli del sud che si inventano una vita in giro per il mondo, con la valigia sempre pronta sotto un letto. Ho incrociato la sua strada e quella della sua squadra, io che ho sempre creduto che senza passione e entusiasmo nulla abbia davvero senso ma ho anche fatto l’errore di trascurarla questa verità. Seppure a volte il prezzo da pagare sia la delusione, nella vita come su un campo di calcio, aver vissuto amando, innamorandosi e credendo possibile sfiorare un sogno con impegno e determinazione, resta l’unica strada possibile per sentirsi vivi dentro favole imperfette come questa. Un piccolo regalo di pagine e ricordi ai tifosi e ai ragazzi della Bari e a tutte le persone che hanno un cuore un po’ bianco rosso pronto a giocarsi ancora, sempre, comunque la serie A. Di qualunque campionato.

“No país do futebol”: il Brasile al centro del mondo.

No Pais do futebolGiulio Gasperini
AOSTA – Sotto tutti i riflettori del mondo. Non solo in quest’estate del 2014 con i Campionati mondiali di calcio ma anche in previsione delle Olimpiadi di Rio del 2016; e poi, per i gravissimi scontri sociali che l’assegnazione dei due grandi eventi ha scatenato nel popolo brasiliano, con le forti contestazioni alla politica e ai poteri forti di una delle economie considerate più in sviluppo del mondo contemporaneo.
Il giornalista Bruno Barba, come da sottotitolo, ha compiuto un viaggio antropologico in questo paese enorme e multiplo, con tante identità a incastrarsi e sovrapporsi in un mosaico complesso quanto affascinante: “No país do futebol”, edito nel 2014 da Effequ, è il risultato di questo ritorno alla casa del calcio, per eccellenza, in un mondiale dal quale l’Italia è già stata eliminata ma che non perde per questo il suo fascino indistinto.
Il punto di vista è quello del “casalingo di Voghera”, ovvero dell’italiano medio, che come sempre comincia a interessarsi di una geografia quando vi accade un evento superiore, che riesce a catalizzare la sua attenzione e ad aggirare i suoi preconcetti. L’obiettivo è quello di presentare un paese che sta vivendo un’evoluzione a ritmi pazzeschi, un’accelerazione alla modernità che ha pochi paragoni nel resto del mondo. Un paese, il Brasile, che ha sempre incuriosito e interessato per i suoi eccessi, le sue peculiarità, la sua natura ribelle, le sue dimensioni spropositate, la sua storia di armi e sangue, le sue devastanti contraddizioni, la sua musicalità anche linguistica, la genialità dei suoi artisti, la carnalità della sua letteratura. Il suo calcio stellare: ed è proprio da questo sport che l’esplorazione comincia, inevitabilmente. L’assegnazione del mondiale, le proteste, i lavori non conclusi, la prospettiva di una festa del calcio che sia orgoglio e rivalsa di un popolo e di una cultura interi. Ma dal calcio si passa ben preso ad altro: si passa ai luoghi comuni, ai pregiudizi, alle favole raccontate su questo paese dalla storia imponente. E poi si parla di libri, di poesie, di canzoni, di bossanova, di favelas, di telenovelas, di Ordem e Progresso. Nel particolare, Bruno Barba passa a descrivere le città protagoniste di questo mondiale, da Salvador de Bahia, “Universo negro”, a Rio de Janeiro, “A cidade maravilhosa”, da San Paolo, “La patria degli italiani”, a Manaus e Recife e tutti gli altri luoghi che adesso tutti sanno per averli sentiti alla televisione ma che nessuno conosce veramente. Il Brasile è il grande esempio, il grandissimo manifesto del meticciato, dell’incontro che crea unione e forza, della contaminazione che non è sinonimo di male ma che diventa potenza per significarsi in maniera migliore e più performante.
Un viaggio affascinante e coinvolgente, questo di “No país do futebol”, in uno stile accattivante che ci accompagna per mano, ci mostra le curiosità, ci rende consapevoli che il Brasile intero è più di un paese o di un orizzonte commerciale: è una ricchezza meticcia per tutti.