Giulio Gasperini
AOSTA – Thomas Gunzig è probabilmente uno degli esponenti più illustri della contemporanea letteratura belga. La casa editrice Hop!, nella collana “Bonheur, i libri della felicità”, pubblica la coraggiosa raccolta di racconti “Campionario per una vita migliore” (2013). Si tratta di un vero e proprio campionario, di un catalogo di situazioni spesso accelerate all’eccesso, che tentano di scardinare le certezze della vita, di nobilitare le debolezze, di sottolineare gli eccessi, di dare significati e importanza agli eventi casuali e inattesi.
Le storie spesso riflettono un atteggiamento marcatamente grottesco, surrealista nelle svolte e nelle immagini. Spesso le storie raccontate sono crude, dure, difficili da masticare: come la breve piece teatrale “Pezzo di carne”. Il lettore, però, non è disorientato nella dimensione parallela narrata; non si sente fuori luogo o abbandonato a sé stesso. Proprio perché la scrittura è rigorosa e profonda, ben calibrata, essenziale senza nulla di superfluo, senza orpelli che la rallentino o la depistino. Sono schegge, questi racconti. Frammenti taglienti e ficcanti, dalla precisione di un bisturi. Aprono ferite sottili, ma inevitabili. E sorprendono per la perfezione della loro struttura, del loro impianto narrativo.
Paradossalmente, il percorso che ogni personaggio compie nei vari racconti approda alla felicità intesa in senso sommo, universale. Anzi, pare quasi che l’idea dominante sia quella di un compimento della catastrofe. Però, in realtà, si capisce ben presto come la felicità sia relativamente collegata al protagonista in questione; e che lo stesso protagonista, magari, non stia cercando una qualche forma di felicità ma semplicemente un punto di rottura e una deviazione, una svolta alla sua vita che pare perfetta ma che è incrinata e sull’orlo di un’implosione. Spesso la soluzione è data dalla scelta che pare meno opportuna, più foriera di catastrofe e di sofferenza. Il gioco della vita è crudele, spesso beffardo, ama la spietatezza e pare che si significhi solamente nell’afflizione che sa distribuire generosamente. Ma Gunzig ci avverte, col suo sguardo divertito e svagato, di non basarsi troppo sulla morale comune, di non misurare le prospettive su quelle della collettività dominante, ma di sapersi calibrare su altre gradazioni e tonalità che ci liberino e ci smarchino dalla schiavitù del perbenismo e del conformismo.
Thomas Gunzig ha una scrittura sfrontata e giocosa, una capacità di forzare la parola senza tradirla né snaturarla: gioco che riesce in maniera egregia anche nella traduzione, lasciandoci più o meno inalterato il senso di questi continui calembours. E la forzatura della parola è un modo per decomporre la realtà, deframmentarla, scorticarla, sventrarla e poi però ricomporla, ricucirla, rimodellarla nella maniera che lo scrittore presume più utile e significativa.
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