Luca Vaudagnotto
AOSTA – È possibile raccontare il cinema? Di più: si può spiegare con le parole una cinematografia complessa e così profondamente legata all’esperienza visiva come quella di Béla Tarr? Questa è la sfida che decide di affrontare Marco Grosoli nella sua monografia “Armonie contro il giorno. Il cinema di Béla Tarr”, pubblicata per i tipi di Bébert Edizioni nel 2014.
Il lavoro di Grosoli, studioso di cinema e professore associato in Film Studies presso l’Università del Kent (Gran Bretagna), si presenta come un viaggio, completo e dettagliato, attraverso la filmografia del regista ungherese: oltre ai dovuti cenni biografici, all’analisi dettagliata di ogni opera cinematografica, il libro è arricchito da citazioni e aneddoti del cineasta, brani di interviste che conducono il lettore sempre più nel profondo del pensiero e della poetica di Tarr. Fondamentale e di particolare interesse, in questo senso, è l’appendice che correda e arricchisce il lavoro di Grosoli: si tratta di una raccolta di interviste condotte da Michael Guarnieri, noto critico cinematografico, al regista e ad altri prestigiosi artisti che hanno collaborato alla realizzazione dei suoi film, come il compositore Mihály Víg, le cui creazioni musicali fanno da leitmotiv irrinunciabile e inconfondibile, quasi un ostinato ipnotico e ripetitivo, nelle pellicole di Tarr.
La sfida è vinta, possiamo dirlo: chiudiamo il libro e ci immergiamo nelle pellicole densissime di Béla Tarr, fatte di neri impenetrabili, di bianchi rari e rarefatti, di grigi dominanti e pervadenti. Tutto è pesante: le ombre, i tessuti, i capelli dei personaggi, i vapori del cibo che cuoce sulle stufe; perfino i vetri delle finestre, attraverso cui il regista non manca mai di volgere il suo sguardo sul mondo di chi vive ai margini, hanno un peso, una presenza: sono un filtro consistente e non trascurabile, un modo di vedere. In questa estetica, ogni oggetto apparentemente insignificante, ogni piccola azione diventa metafora e simbolo della condizione dell’uomo: è una delle tante e ricche chiavi di lettura che ci fornisce Grosoli: «l’assoluta inseparabilità del suo straordinario formalismo stilistico […] dall’umanesimo elementare ma incontestabile, che insiste sulla dignità e sull’incancellabile valore umano dei reietti e degli outsider».
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