La “Scimmia nera” che ci cammina a fianco.

c72ec395d849d8524376309d23d50974Giulio Gasperini
AOSTA – La violenza è dovunque. A ogni angolo, in ogni strada, dentro ogni appartamento; peggio ancora: in ognuno di noi. “Scimmia nera” di Zachar Prilepin, edito da Voland nel 2013 nella collana Sírin, ci fa sprofondare in questa banalità tanto sconcertante: non c’è luogo al mondo dove la violenza, in una qualche forma, non si palesi, dove non domini furiosa.
Partendo da una già strana inchiesta sulla violenza dei bambini, e documentando alcuni esperimenti di analisi e studio comportamentale di alcuni minori tenuti sotto vetro in un laboratorio occultato chissà dove, il protagonista della storia ci fa strada in una complessa vicenda di incontri e tangenze, tutte caratterizzate da una vena, più o meno densa, di violenza e sopraffazione, di angoscia e squilibri emotivi. A cominciare dalla sua relazione sessuale con una minorenne, per finire al cruento rapporto con la moglie e a una brutalizzazione estrema di ogni gesto della quotidianità più naturale e banale.
Il tentativo di capire come mai si studino i comportamenti di bambini all’apparenza normalissimi ma reputati capaci di estremi gesti di violenza, arrivando fino all’omicidio, crea nel protagonista un’ansia di documentazione, che lo induce a interrogare chiunque ritenga in possesso di informazioni o di particolari punti di vista. La sua è una ricerca perduta, un’immersione in una ferocia potente e totalizzante, un percorso che pare non avere nessuna soluzione: c’è solo il costante e irrecuperabile sentore di una dissoluzione, di una putrefazione anche umana. Perché la violenza trova sempre la strada per concretarsi, al di là di ogni difesa si possa pensare di innalzare, al di là di ogni intervento si possa realizzare (paradigmatica, in questo senso, la narrazione dell’assalto alla città da parte di fantastici eserciti di bambini senza paura). Ma la violenza spaventa ancora di più, perché tutti ne possono rimanere coinvolti; o, ancor di più, tutti ne potrebbero essere capaci. Come se a ciascuno di noi camminasse una scimmia nera a fianco; una sorta di ombra, presenza demoniaca, concretazione materiale del nostro lato più oscuro e più refrattario al controllo (razionale o meno, non spetta dirlo).
Il viaggio di Prilepin è quasi visionario, una corsa a occhi chiusi, un delirante rosario di azioni feroci e furiose; ma il tutto sublimato intensamente e drammaticamente (nel senso di potenza rappresentativa) da un afflato poetico ricco, che sublima e porta a perfezione ogni quadro, ogni narrazione, ogni episodio; anche i più confusi e mortificanti.

Lampedusa e la sua prima biblioteca. ChronicaLibri intervista Deborah Soria.

Biblioteca dei ragazzi di LampedusaGiulio Gasperini
LAMPEDUSA – Lampedusa è l’ultima terra d’Italia, immersa nel Mar Mediterraneo. O forse, è più semplicemente la prima. Il primo luogo dove s’incontra l’Italia; la sua società, le sue leggi, i suoi uomini e le sue donne. E la sua cultura. Lampedusa è la “Porta d’Europa”, ma è anche quella italiana. E lo è con estrema dignità, con profonda consapevolezza. Lo è combattendo contro ostacoli e problemi di ogni misura e complessità, sfidando una natura aspra e un isolamento feroce. Come avamposto italiano, non si poteva continuare a eludere la mancanza di una biblioteca (tra le tante altre mancanze strutturali che l’isola conosce fin troppo bene). Una biblioteca che non sia semplicemente un deposito di libri ma un luogo dove i libri aiutano ad allacciare rapporti, ad approfondire conoscenze, a costruire quel ponte che possa trasportare tutti – migranti e lampedusani – verso una terra di tangenze comuni. ChronicaLibri, con profonda ammirazione per questo progetto, ha intervistato la responsabile, Deborah Soria.

 

Grazie al progetto “Libri senza parole” migliaia di volumi sono arrivati a Lampedusa. Nell’isola tradizionalmente conosciuta per gli “sbarchi” umani (che sono, in realtà, recuperi), approdano libri; per merito di Ibby Italia. Come mai si è pensato alla realizzazione di questo progetto? Da dove è giunta l’ispirazione?
Il progetto è nato nella mia testa dopo le emergenze del 2011. Volevo entrare in contatto con qualcuno che stesse lavorando con i minori che arrivavano sull’isola: sono nel direttivo di Ibby da molti anni e sono una fan dell’idea semplice e geniale che un libro ti può sostenere nei momenti difficili della tua vita e che non è solo utile ma necessario. Dopo vari tentativi andati a fallimento, ho avuto da un’amica che lavorava a Legambiente il numero di “una brava”; la chiamai per raccontarle la mia idea di libri per i bambini in arrivo da lontano e lei mi disse al telefono: “Lo sai, sì, che a Lampedusa ci sono 600 bambini italiani?!”. Lei era Giusi Nicolini e le se parole dettero una svolta decisiva al progetto. I bambini sono tutti uguali, per questo è ugualmente scandaloso che non ci sia una biblioteca per migranti quanto che non ce ne sia una per ragazzi: a questo punto mi sono indignata e mi sono convinta della necessità di questa azione. In seguito Giusi è diventata sindaco e così ha preso vita il progetto!

 

Sicché il progetto riguarda sia i bambini lampedusani che quelli migranti. Un modo ammirevole di insegnare a chi forse ci comanderà domani cosa significhi l’incontro e il rispetto di culture diverse. In cosa consisterà questo progetto? Quali attività saranno organizzate?
Il progetto nasce dall’accorgersi di un evidente bisogno e poi cambia e si modifica. Ora la nostra priorità è aprire; aprire una biblioteca e una consapevolezza (che manca) nelle menti dei lampedusani adulti: che non è giusto far crescere dei bambini lontano dalla possibilità di trovare risposte in un libro. Una volta che si fosse riusciti a superare tutti gli ostacoli fatti di burocrazia di economie di volontà e responsabilità condivise, allora avremmo uno spazio in cui accogliere e invitare i migranti che arrivano e stazionano sull’isola anche per tre-quattro settimane. Questa sarà una battaglia da fare per difendere i diritti di quei minori senza parola che raggiungono il centro. Le autorità dichiarano libere queste persone, ma la verità è che non lo sono. Ci hanno detto che una volta pronto il posto (evidentemente non riponendo molta fiducia nella nostra riuscita) allora potranno considerare l’ipotesi di far uscire i ragazzi, accompagnati per venire in biblioteca. Questa sarà la nostra richiesta appena pronti; questo è un altro motivo che ci spinge a continuare… se non ci ascolteranno lo chiederemo con più forza, augurandoci che funzioni! La biblioteca vive di progetti normali, non eccezionali: letture, incontri con autori, piccole mostre, soprattutto prestito di libri e buoni consigli. Uno spazio dove trovare ascolto e dove impegnare in modo costruttivo e vitale il proprio tempo. Ma come lei saprà a volte si tende a far diventare eccezionale il normale. Vorrei tanto che questa biblioteca desse il senso di come si può fare tanto con poco e di come non si può pensare di creare una società pensante se non si danno gli strumenti perché esista. La biblioteca avrebbe bisogno di, diciamo, 50 mila euro l’anno. Oggi leggevo che i “grillini” danno 4 milioni di euro indietro al governo: i conti non tornano, le cifre non si riescono a paragonare. Quello che sembra importante non lo è e quello che è importante non è considerato tale! In ogni caso proseguiamo e vediamo dove arriviamo. I lampedusani, dopo un primo aiuto, dovranno dare segni di approvazione e cominciare a chiedere da soli quello che è nei loro diritti.

 

Sono appena rientrato da una vacanza a Lampedusa, perché anche io volevo rendermi conto di cosa fosse e come funzionasse questa terra che sulle cartine appare tanto remota ma che in realtà ci è così vicina. E, come sempre succede, più che delle risposte o trovato tante domande. Che cos’è Lampedusa? Cosa rappresenta per l’Italia? È veramente la “porta d’Europa”?
Anche io sono tornata con molte domande: perché ci sono persone italiane con dei diritti ed altre senza diritti? Perché i nostri giornali le nostre notizie sono sempre così lontane dalla “verità” dalle mille sfumature della realtà che si possono percepire. Io trovo che Lampedusa sia un posto da cui imparare l’accoglienza, e non perché penso che i lampedusani siano speciali, ma perché penso che ogni cosa ricavi il suo modo di essere da una specie di equilibrio naturale. Direi che Lampedusa è disegnata dal tempo dal mare, per accogliere. Non è accogliente, ma ha imparato a dare a chi si ferma quello che cerca. Ti mette in piedi, ti aiuta, e ti lascia andare. Accoglie ogni forma animale, tartarughe delfini uomini, allo stesso identico modo, ti dà il meglio, per il tempo necessario. Poi si aspetta da te che continui il tuo viaggio (motivo per cui ti ha aiutato!). Lampedusa non è una porta, è un ponte. Guardata dall’Italia è un luogo in cui non sono riconosciuti i diritti fondamentali (parlando di minori) libertà, sport, cultura, scambio. Un luogo dimenticato… perché l’Italia non ha attenzione per chi ha bisogno. Guardata dal sud del mondo è un’idea, un sogno che viene disatteso, ma che rimane un sogno. Guardata con i piedi sull’isola è un luogo: un posto di nutrimento, un luogo indipendente, con le sue regole le sue anarchie…
Io vorrei per Lampedusa la “normalità”: una scuola funzionante, un cinema, un teatro, una biblioteca, come la vorrei per il resto d’Italia. Io vorrei che tutti avessero uguali diritti. E che i bambini dei luoghi remoti fossero curati ed accuditi perché ne hanno bisogno, invece a Lampedusa come altrove vengono dimenticati e crescono senza letteratura, senza arti, senza strumenti per comprendere il mondo. Lampedusa è sicuramente un simbolo. Ma potrebbe facilmente, con un po’ di buona volontà, diventare un esempio.

 

Cosa si può fare per aiutare la creazione della biblioteca? In cosa ciascuno di noi può dare una mano?
Per aiutare nella creazione della biblioteca bisognerebbe sostenere iBBY Italia
(http://www.bibliotecasalaborsa.it/ragazzi/ibby/) iscrivendosi o semplicemente facendo una donazione, perché questo significa sostenere chi le cose le fa con passione, motivo e progetto. Per fare in modo che una biblioteca funzioni e sia veramente un servizio per un territorio bisogna che questo territorio ne senta la necessità: bisogna mostrare loro a cosa serve, come si usa, quali vantaggi porta alla vita di ognuno. È un lavoro lento, costante, e non si può mentire. Non basta calare dall’alto e inserire in un contesto una biblioteca: non funzionerà. Sarà la meta di qualche visita entusiasta e dopo un poco verrà abbandonata, come una “cosa” inutile. Sarà come i nostri musei e le nostre gallerie magnifiche e vuote in città. Una biblioteca è un servizio: ma bisogna saperlo e volerlo usare ogni giorno. Ibby Italia si sta occupando di questo lavorando con le istituzioni, lavorando con i bambini e con le insegnanti. Quindi ora servono soldi per far iniziare i lavori: 34.000 euro per l’esattezza. Bisogna realizzare il bagno per i disabili, i mobili per contenere i libri e gli artigiani dell’isola sono pronti ad iniziare. A novembre, dal 15 la 22, ci sarà la seconda settimana di IBBY camp. Nell’attesa dei finanziamenti della nostra lenta e sorda politica abbiamo deciso di andare avanti e festeggiare la giornata internazionale dei diritti del fanciullo a Lampedusa: chi vuole donare la sua esperienza può venire e proporre laboratori letture, formazione; soprattutto cerchiamo persone appassionate, che non si spaventino difronte alle difficoltà (basta scrivere a ibbyitalia@gmail.com). Insomma, per fare una biblioteca ci vuole un popolo che conosce i suoi diritti e i suoi doveri! Come per fare un tavolo ci vuole il legno!

 

È un “dolce sollievo la scomparsa”, per Sarah Braunstein.

Michael Dialley
AOSTA – Le vite sono delle storie da raccontare, e non fanno eccezione quelle di Paul, Judith, Sam, Hank, Bea, Byron, ma soprattutto quella di Leonora, la bambina che accompagna il lettore in tutto il romanzo di Sarah Braunstein, “Il dolce sollievo della scomparsa” edito da 66thand2nd nel 2012.
Sono storie che non risultano mai banali, tutte hanno un qualcosa di nascosto che cattura il lettore, sono particolari, difficili spesso. Vite di amore, rinunce, passioni sfrenate, sincerità, ma anche menzogne; e i protagonisti sono soprattutto bambini, con la loro innocenza ma anche con il loro non sapersi sottrarre alle pulsioni, alle passioni e con la voglia di libertà. I personaggi si raccontano, sono apparentemente estranei e lontani, ma poi nella narrazione alcuni si incrociano e, in età adulta, si troveranno a ricordare, rivivere momenti dell’infanzia, e a volte arriveranno a riscattare ciò che in passato non hanno potuto vivere, offrendoci spunti di riflessione e importanti lezioni di vita.
Leonora è il centro, ma al contempo periferia, di tutto il romanzo e ci fa imparare una cosa molto importante: le persone non sempre sono come sembrano e nelle situazioni estreme emergono forza, capacità, determinazione e, soprattutto, forza di volontà. È questo un insegnamento che lei ha ricevuto, a sua volta, dal babbo, e che si troverà a mettere in pratica negli ultimi istanti della sua vita: soffre, Leonora, nella stanza dove la tengono segregata, con il gattino che farà la sua stessa fine, ma a un certo punto ricorda le parole del padre – “Tieni duro!” – e poi riconosce un grande albero che ha visto ogni giorno per molto tempo: tutto questo le darà la forza di affrontare il suo destino; e lo farà totalmente sollevata.
I bambini sono innocenti, ma proprio per questa loro spensieratezza sono costantemente attratti dal male; il maligno è una calamita che attrae facendo leva sulla voglia di libertà e sull’elemento ribelle che c’è in ogni uomo. Scappare diventa una liberazione, così come lo è l’essere lontano da ogni legame; essere in un mondo di sconosciuti, essere totalmente svincolati da tutto e tutti dà, effettivamente, un dolce sollievo. Quante volte vorremmo scappare da tutto e tutti e stare con noi stessi? Spesso.
I bambini e i futuri adulti di questa storia hanno potuto provare questo distacco: chi volontariamente, chi involontariamente. Ma per tutti è stata, senza dubbio, un’esperienza fondante.