Dove finisce tutta l’acqua della Terra.

Giulio Gasperini
AOSTA – L’acqua è un bene preziosissimo. Ogni sua goccia è più importante, più essenziale alla vita, di qualsiasi altra umana presunzione. E non è mai troppo tardi per capire l’importanza del suo spreco. D’acqua a là, realizzato da Dario Villa e Laura Trovalusci, con le illustrazioni di Emiliano Ponzi, e edito da Gribaudo, più che un libro è una presa di consapevolezza, attraverso un trucco artistico: assieme al libro si trova un piccolo pennarello azzurro e chiunque – non importa se grande o piccolo – è chiamato a colorare le tavole del libro in successione, che rappresentano diversi usi e consumi dell’acqua. Se il pennarello si scarica prima della fine è evidente che l’acqua non basti per tutto, e che bisognerebbe ripensare alle umane “abitudini”.
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“I sensi lunghi”, le vite liquide che scivolano nell’acqua.

I sensi lunghiLuca Vaudagnotto
AOSTA – Non si legge Carlo Villa per caso, tanto meno “I sensi lunghi”, che nella produzione dello scrittore e poeta romano rappresentano un’opera degli esordi (Einaudi Coralli, 1970). Eppure questo lavoro, che si colloca a metà strada tra un romanzo breve e un racconto lungo, già dal titolo affascina e ammorba il lettore che lo prende in mano e lo sfoglia, in modo particolare nella sua edizione originale, con una curatissima veste grafica ed editoriale.
“I sensi lunghi” è la storia, in forma di soliloquio, di un uomo ordinario, sposato e con una figlia, che a un certo punto della sua vita abbandona il lavoro e si rinchiude in casa, nel bagno, e, attraverso le tubature, ascolta e spia la vita dei condomini, in particolare di Claudia, della quale apparentemente si innamora. È un romanzo dell’ermetismo, dove l’esistenza del protagonista si richiude su sé stessa, si disgrega in tutte le sue funzioni sociali, a partire dal linguaggio, che per il nostro anti-eroe altro non è che un ammasso di «segni divenuti misteriosi e inintelligibili». E nasce uno stridente contrasto tra questa rinuncia alla verbalità del protagonista e la scrittura del suo inventore: l’italiano di Villa è una lingua difficile, estranea ai più, ermetica anch’essa ma per la sua complessità e per l’uso ardito che l’autore ne fa, che oscilla tra tecnicismi propri dell’ingegneria idraulica e picchi altissimi di poesia.
Non bisogna, tuttavia, cadere nel facile errore di considerare il protagonista alla stregua di un epigono di quei personaggi inetti a vivere, disadattati, tanto cari alla letteratura d’inizio secolo. Il nostro è un uomo che decide, consapevole, di allontanarsi dal mondo («pratico la vita per mezzo di una fuga da essa»), ma che parallelamente viola le chiusure degli altri, l’altrui intimità, raggiungendo in alcuni momenti lucidi deliri di onnipotenza («Il burattino oscilla […] ma i fili sono io che li tengo», dice, in riferimento a Claudia).
L’altra grande protagonista, di cui tutto il romanzo è intriso è l’acqua: i sensi del protagonista si allungano proprio grazie a questo medium fluido, e le parole e i verbi dell’acqua sono disseminati sapientemente da Villa in tutto il romanzo, cosicché l’elemento liquido si manifesta in tutte le sue forme e in tutti i movimenti che gli sono permessi. In questo senso, l’acqua è ascoltata, toccata, ci si immerge, è bevuta, è raccolta in speciali contenitori, è annusata. L’acqua, insomma, come sostituto d’ogni altra socialità, quel rapporto con l’altro che, oggi come allora, è segno distintivo dell’uomo, ma le cui derive diventano inferni da cui fuggire.

I “Fiumi” e le più crudeli guerre per l’acqua.

FiumiGiulio Gasperini
AOSTA – Se ne parla oramai da anni: il petrolio sta per finire. L’uomo sarà costretto a ripensare alla maniera con cui procurarsi l’energia per ogni aspetto della sua vita, anche il più minuscolo e insignificante. Le prossime guerre saranno tutte per la conquista di un bene più prezioso, più imprescindibile: l’acqua, senza il quale l’uomo neanche esisterebbe. Ettore Mo, giornalista di lunga e decorata esperienza sui fronti di tutto il mondo, nel suo libro “Fiumi” edito da Rizzoli, sceglie di esplorare altre trincee, altri luoghi di guerre più o meno silenziose e dimenticate: quelle che si combattono, appunto, per la conquista e il possesso dei grandi (o piccoli) corsi d’acqua.
Le grandi culture, si sa, sono sempre fiorite in prossimità di fiumi: dalla Mesopotamia, così chiamata per la fortuna di trovarsi distesa tra il Tigri e l’Eufrate, alla civilità egizia, dai Romani alle cultura della valle dell’Indo, dalla Cina al Sud Est asiatico. E da allora il corso dei fiumi ha attirato le attenzioni e le mire speculative di grandi gruppi privati e del potere pubblico. In epoca dell’esaltazione delle energie alternative, l’acqua ha smesso di essere considerata solo come importante per il soddisfacimento dei bisogni primari degli uomini o per la sua importanza agricola, ma si è quantificata per la potenza della sua portata.
Ettore Mo visita il mondo partendo dall’importanza culturale, religiosa, persino mistica, che questi fiumi hanno sempre rivestito per le popolazioni che sulle rive sono nate e si sono sviluppate: il Gange, il Nilo, il Giordano, lo Yangtze, il Mekong, il Rio delle Amazzoni, il Mississippi fino ai più nostrani Danubio e Piave. Nelle storie di Mo c’è il tentativo disarmante di far capire come tutti questi grandi corsi d’acqua e persino alcuni laghi (il Mar Morto, il Lago d’Aral, il Lago Bajkal) siano degli “agonizzanti”, destinati a scomparire dalle cartine geografiche nel giro di pochissimi anni. Non rimane quasi più nulla della loro storia gloriosa, del loro passato, della loro memoria di eventi e ricordi: basti pensare alle vicende della Prima guerra mondiale accadute sulle rive del Piave, o alle tante suggestioni letterarie che il Mississippi, nei romanzi da Twain a Faulkner, ha saputo nutrire e poi evocare.
I reportage di Ettore Mo si arricchiscono, però, anche di dati sulla contemporaneità. Sul faraonico progetto cinese della Diga delle Tre Gole, o sui tentativi del Brasile di sfruttare senza ritegno il polmone verde del mondo, la Foresta amazzonica, con le sue ricchezze di alberi, natura, acqua, sottosuolo. Ettore Mo ci ammonisce, snocciolando dati e presentando persone, famose o meno, che stanno pagando la loro voglia di resistenza. Ma ci ammonisca anche su quell’assurda pretesa dell’uomo di voler a tutti i costi, con ogni mezzo, con un’illusoria onnipotenza, imbrigliare la Natura e piegarla ai suoi biechi e miseri interessi, alle sue assurde pretese di crescita continua e inarrestabile.