Giulio Gasperini
AOSTA – Esiste, da qualche parte, un paese sempre in bilico, costruito su una frana che di volta in volta sacrifica case, costringe all’evacuazione e all’abbandono, spopola e costringe a una precarietà esistenziale (oltre che abitativa). Poi, esiste una narratrice, Estella, che decide di rimanere, da viva, in quel paese che di vivi non ne conosce più; semplicemente per raccontare le storie che altrimenti andrebbero perse. Carmen Pellegrino ha una passione sconfinata per i luoghi abbandonati e in questo Cade la terra edito nel 2015 da Giunti Editore dà vita a una società persa, alle sue storie dimenticate, a dei destini che troppo tardi vorrebbero essere cambiati.
Alento è una città che non esiste, ma che potrebbe; di paesi abbandonati, infatti, ne esistono centinaia, anche in Italia: da Craco, in Basilicata, a Vagli, in provincia di Lucca. Tutti paesi dove la caduta può diventare metafora di una condizione umana perennemente precaria ma dove sono comunque accadute delle storie, dove hanno vissuto persone, dove si sono intrecciati destini. Ma nessuno li racconta. Diventano paesaggi da cartolina, da escursione nella più sicura avventura; nessuno, probabilmente, si ferma di fronte a una porta, a una finestra oramai cieca, chiedendosi chi abitasse, lì dentro. Un po’ come visitare il quartiere di Varosia, a Cipro, evacuato in tutta fretta e lasciato così, esattamente così, intatto anche nella disposizione delle stoviglie sui tavoli familiari.
Carmen Pellegrino è cultrice dell’abbandonologia, inesistente ma sempre più importante disciplina che ci mette in relazione con l’abbandono, nelle tante forme nel contemporaneo assume, spesso più ambigue perché meno evidenti. Nel suo “Cade la terra” riesce a costruire un mondo che tanto ricorda la Macondo di Gabriel García Márquez ma meno esotica, più poetica, e più affine alla nostra sensibilità. Estella è una tiranna, perché da viva costringe i morti a tornare a raccontare i loro destini furiosi, le loro storie crudeli, le loro esistenze infime. Niente di glorioso né di eroico, soltanto apparenti sconfitte. Come fosse l’ennesima violazione delle loro vite. Ma nell’atto di Estella è nascosto un gesto di pietà: non crudele voyeur, né sadica dittatura memoriale, ma un tentativo di riconsegnare loro un nuovo destino, un finale migliore, come se potesse mai esistere una degna ricompensa, o un onesto risarcimento.
I personaggi di Carmen Pellegrino sono curati in ogni loro sfumatura, sono tratteggiati con la magia di una favola, di una storia che scontorna tempi e luoghi e che fluisce con la delicatezza e la finezza di un antico racconto. Pellegrino tratteggia i contorni e dona sostanza e consistenza a un’umanità ricchissima di sfumature e declinazioni, di donne e uomini che “si abituarono all’instabilità del suolo sopra il quale si svolgeva la loro vita come a un’ineluttabilità contro cui non potevano far niente”.
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