Giulio Gasperini
AOSTA – Una casualità, o forse no, una mossa premeditata, ha concesso al 21 marzo tre oneri che, al fin fine, paiono allacciati indissolubilmente: arriva la primavera (e chi non ricorda Zefiro torna e ‘l bel tempo rimena del grande poeta?), e si celebrano due giornate mondiali, quella della poesia e quella delle foreste. In difesa, di entrambe. Ed esiste una donna, una grande donna, che ha coniugato queste due passioni, e utilizza la poesia in difesa delle foreste, dei suoi equilibri naturali, della sua importanza imprescindibile, non tanto per il solo essere umano quanto per la sopravvivenza della Terra tutta. Marcia Theophilo ha individuato nella Foresta Amazzonica il punto focale della sua ricerca poetica, l’altrove migliore da difendere coi versi, col ruolo sociale che la poesia negli ultimi anni ha il terrore di ricoprire. La Foresta è il luogo del parto primigenio, è l’utero del mondo che qui si culla e si nutre, che qui si fa largo verso la luce e la vita, verso il calore e il colore: “Dal corpo contratto, dal pieno del ventre /
dalle viscere, sulle rive tra il fogliame /
sono i profumi della foresta e il sangue /
ad avvolgere il suo corpo: /
l’aiutano, le donne del villaggio /
la selva è una galassia che ascolta il suo vagito /
tra le braccia Kupaùba-albero”.
Ma la foresta è anche il luogo dove tutto muore e tutto torna alla vita, con dolcezza e devozione: “Fiore, tu illumini i miei rami / ai primi ritmi del mattino / canto d’uccelli e di grilli / lontani tamburi – poi cadi e muori / per dare vita al frutto: / la foresta spalanca la sua bocca / nell’umido terreno ti riceve”. La Natura è il luogo per eccellenza della vita, dalla forma più piccola (ma non misera) a quella più grande e complessa: “Non solo gli animali ma tutto in natura ha un’anima, / un’anima alata che lascia il mondo quando sogna. E / sogna sempre luoghi ignoti”.
L’immedesimazione del poeta nella natura diventa completa, un panteismo assoluto e sovrano, che fa del poeta un semplice tramite per i bisogni e le esigenze urlate dalla natura: “Noi alberi viviamo di piogge / di rugiade eterne e delle brume / dei fiumi e degli oceani / di mattutini vapori / e delicate nebbie”. Il poeta è vettore dell’angoscia della foresta; del dolore che troppo patisce a causa degli uomini, della loro fame di ricchezze, della loro bramosia del possedere. Irrispettosi delle esigenze della Terra, devastano e distruggono, estirpano e bruciano, perforano e succhiano: “Albero, da te ho preso il dolore selvaggio / quei lamenti nell’aria, nel fiume / fuggono gli animali dai tuoi rami-rifugio / […] / il tronco annerito dal fuoco cade / […] / Si accende un fuoco che abbaglia, acceca. /
Chi può togliere questa freccia senza punta? / Dove possiamo deporre questo male? / In tutti i luoghi della terra
suoni interferiscono, ricordi di morti. / Il cielo che oggi ti accompagna è senza stelle”. La foresta è anche la Madre Acqua, depositaria della più straordinaria ricchezza della Terra, l’acqua “più preziosa del diamante”; ma anche questa è minacciata, distrutta, devastata insensatamente, per un gioco al massacro che punirà solamente i carnefici: “La pioggia ha sapore amaro / sassi, foglie e nuvole / nuvole carnose / pioggia, perché non sei più dolce come prima?”.
Marcia Theophilo ci suggerisce che dovremmo maturare la coscienza dei nostri gesti, anche indiretti. Non tutti abbiamo le asce in mano, le picche strette tra le dita, i fiammiferi pronti nella tasca; ma siamo muti e omertosi complici di ogni ombra che non esisterà più, perché non ci sarà più nessun ramo. Marcia Theophilo ci mette spalle al muro e ci sprona a maturare la coscienza e la consapevolezza che la foresta è l’unico paradiso terrestre, l’unico vero luogo di riposo e di dolcezze: “Respira: è ancora qui la vita / ancora un poco, continua / respira non fermarti / respira, respira, continua / è ancora qui l’inizio della vita”.