Stefano Billi
Roma – “Buenos Aires troppo tardi” è un ottimo libro, scritto da Paolo Maccioni e pubblicato da Arkadia Editore, il quale racconta la storia e la cultura – soprattutto letteraria – dell’Argentina.
Protagonista della vicenda è un giornalista italiano, di nome Eugenio, che si reca proprio in sud America per compilare una guida turistica e, successivamente, si troverà a confrontarsi con il passato tragico del Paese ospitante.
Infatti, la memoria di questa nazione dell’America Latina ricorda ancora i terribili avvenimenti accaduti in quel territorio a partire dalla seconda metà del Novecento. Precisamente, la vita politica argentina si è caratterizzata, all’epoca, per il succedersi di golpe militari che poi hanno istituito dittature militari, le quali hanno fatto spregio dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Nel libro si richiamano, tra tutte le barbarie commesse da tali regimi, i numerosi sequestri e le innumerevoli torture che ha subito quella popolazione civile che era ritenuta sospetta – da parte delle autorità militari – di cospirazione.
Giornalisti, liberi pensatori, gente comune: nessuno poteva dirsi al sicuro in quegli anni, in Argentina.
Questo il Maccioni lo descrive egregiamente nel suo libro, che è costruito come un viaggio reale in cui il turista italiano si trova a sbattere contro una storia difficile da digerire e che va necessariamente raccontata, affinché questi tristissimi ricordi non rimangano ad appannaggio dei soli superstiti, ma possano essere anche conosciuti da chi non era là nel periodo più buio dell’Argentina.
L’opera, anzitutto, si contraddistingue per il suo porsi a cavallo tra la forma stilistica narrativa romanzo e quella del documentario: sullo sfondo,oltre all’originalità delle vicende di Eugenio, si collocano fatti accaduti realmente.
Il modus scrivendi dell’autore è molto scorrevole, lineare, e l’adozione di questa tecnica rende agevole la lettura, così che i ragguardevoli contenuti culturali del testo possano essere appresi ed apprezzati senza distrazione alcuna.
Merita un rilievo poi l’abilità di Maccioni, oggi merce rara, nel descrivere i “contatti” tra il protagonista del libro e un personaggio femminile che si affaccia tra le pagine, ovvero Silvina; senza scadere in squallide volgarità, tra le righe si delineano intensi momenti amorosi vissuti dai due, ove traspare quella bella istintività che porta l’uomo e la donna ad unirsi in virtù di un’attrazione magica e quantomai inspiegabile.
Da ultimo, sorprende la figura misteriosa che guida Eugenio nella comprensione di cosa sia accaduto davvero in Argentina e quale sia il giusto peso da attribuire agli eventi: una sorta di Virgilio, a cui è deputato l’arduo compito di far luce sul passato, raschiando via le ombre che sono talmente tanto pesanti, da stringere il cuore di fronte a quello che è stato un vero e proprio genocidio.
In sole circa duecento pagine , è condensato il dolore necessario che occorre provare per capire come stanno le cose, per distogliere la propria attenzione dalle banalità quotidiane e soffermarla su quello che è successo.
“Buenos Aires troppo tardi” merita molto, perché è un libro ben scritto, audace.
L’alta qualità con cui è stato redatto e l’originalità della storia, la quale, pur nella sua immaginarietà, non si esime dal divulgare preziosi contenuti storici che debbono essere conosciuti, rendono il testo prezioso e mostrano tutto il talento letterario di Paolo Maccioni.