Giulio Gasperini
AOSTA – Le parole graffiano: è questa la loro inesauribile fonte di potere. Spesso sono anche graffiate; o ancor di più pitturate dipinte disegnate. Occupano spazi e prendono dimensioni che trasfigurano e trasformano gli spazi, dando loro un nuovo significante. Nel nuovo libro di Carla Cucchiarelli, Quello che i muri dicono, edito da Iacobelli Editore, prende vita una Roma sconosciuta e che spesso affrontriamo distrattamente: quella allietata dai writers, ma non solo, anche da artisti famosissimi in tutto il mondo che hanno finalmente consacrato la street art a espressione artistica dignitosa e straordinariamente creativa. Ecco che la potenza espressiva di Roma esplode al di fuori dei musei e delle gallerie d’arte ma si squaderna in tutto il tessuto urbano, aggrappandosi ai muri, agli angoli delle strade, alle facciate dei palazzi, alle nicchie più segrete.
Mauro Pallotta ha realizzato il bellissimo occhio di Pasolini che scruta tutto il Pigneto, quasi una sorta di divinità che veglia e ammonisce sui deliri sempre presenti; la star dei graphic novel, ZeroCalcare, dà il benvenuto nel mondo di Rebibbia con un suo murales all’uscita dalla metro, significando con estrema potenza un intero quartiere, sinonimo di una concezione d’esistenza più densa e profonda. E poi ci sono i murales alla Marranella, dove ogni anno si celebra la famosa festa popolare “Alice nel paese della Marranella”, che coinvolge tutta la società multiculturale della zona. E poi ci sono i sottopassaggi coloratissimi, il ritratto di Anna Magnani realizzato da Daviù al Cinema Impero, lo Yin e lo Yang di Carlos Atoche all’Ex Mira Lanza, e poi ancora l’enorme Storia dell’umanità di Blu in via Giovanni Palombini. Ma ci sono – anzi, c’erano – i magnifici murales di Salvini e Di Maio che si baciano e quello della Meloni che tiene in braccio – novella Madonna degli anni Dieci – un bambino di colore: tutti prontamente rimossi dalle autorità, segno evidente che l’arte disturba e, ancora di più, quest’arte estremamente spontanea – ma non trascurata né affrettata – che nasce secondo le sollecitazioni del tempo e coglie subito il senso vero e pieno del presente, persino con una nota di grottesco e di divertita ironia, chirurgicamente tagliente e dolorosamente ficcante.
Il famoso proverbio recita “Se i muri potessero parlare…” quasi a velare d’un omertoso segreto il flusso della vita; ecco, i muri di Roma, all’opposto, raccontano di una vita che esplode e che, colorata e visionaria, trascina tutti verso nuovi orizzonti – forse, un po’ meno vuoti.
Roma e i suoi muri tatuati di vita.
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