Giulio Gasperini
AOSTA – La poesia di Emilio Paolo Taormina è una poesia del silenzio: i suoi sono componimenti brevi, schegge di immagini che esplodono in una manciata di parole e rompono la superficie, come fa un sasso con l’acqua di un lago. In “Le regole della rosa”, edito da Edizioni del Foglio Clandestino nel 2014, la poesia di Taormina si concreta in tanti frammenti di scenari, in brevissimi nuclei di significati e significanti che spesso partono e gemmano da un’esplosione naturale, da una componente vegetale o animale, o anche solo cosmico-astrale, che rischia di configurarsi come correlativo oggettivo di un interiore e non espresso sentimento.
I rumori si placano nella poesia di Taormina, lasciando spazio all’occhio che si spinge in profondità, fino a cercare di cogliere i significati più profondi e complessi: “All’alba / la luna è una / medusa / un tamburo / senza suoni”. Anche quando vengono evocati aderiscono alle immagini, saldandosi assieme e creando un’evocazione unica: “Per le scogliere / all’alba / i gridi / dei gabbiani / sono grigi / affilati / come lame”. Più che suoni sono messaggi, si concretano in immagini estreme, audaci e feroci: “In questo freddo / di neve / i tocchi / delle campane / sono freddi / come coltelli”. La bocca si secca, le parole sono vuote, prive di significato, il vocabolario perde la sua funzione e non rimane che rimanere muti: “Le parole / dei marinai / seccano al sole / odorano / di alga e di sale”.
È la Natura il metro di tutto, è lei che dà cadenze e ritmi, è lei che dà il valore e che amministra i ruoli. Può essere persino la misura di una solitudine umana: “È cresciuta / l’erba / sul viottolo / che porta a casa / nessuno / viene più / a cercarmi”. La Natura diventa persino ricordo, fragile reliquia dell’illusione del tempo che inesorabile trascorre e accelera: “Resta appena / l’aroma dei limoni”. È persino vettore di emozioni tra il poeta e il tu di riferimento, figura non definita e sfumata che è musa e destinataria delle sue parole: “Il cielo del mattino / azzurro cenere / sorge / dai tuoi occhi”. Fino ad arrivare al massimo di uno straordinario panismo, un’identificazione totale tra umano e naturale: “Tu sei donna / e stella marina”. È la Natura l’entità suprema contro la quale ci si trova a combattere per salvare ogni singolo aspetto del noi; ma è anche una battaglia già persa, una sconfitta irrimediabile: “Giocheremo / con la sabbia / e le foglie morte / del giardino”. Perché la Natura è anche ferina, animata da uno spirito selvaggio che non rinuncia alla vita, non depone mai le armi senza lottare all’ultimo respiro: “La volpe / azzannata dai cani / è venuta a morire / sotto il noce / nella bocca serrata / ha dell’ultima lotta / un respiro gelato / è sempre difficile / capire / dove finisce la vita / e inizia la morte”.
Ma l’uomo, ovviamente, la Natura la ferisce, la strazia, la viola: “Sacchetti / di plastica / lattine / accartocciate / una bottiglia / su una panchina / il silenzio / è una piaga / dolorosa”. L’uomo cerca di trasformare la Natura in un suo possesso, in uno strumento e arma per alimentare le sue bassissime pretese: “Ho seminato / semi di ortica / sul tuo corpo / in modo / che nessuno / possa abbracciarti”. Ma ogni uomo torna nella Natura, a compimento del suo naturale destino: “Ora siamo / polvere di rose / cenere di radice / anche una piuma / rema l’aria / varca la porta / del tempo”. Nello stesso modo, alla fine, in cui si consuma la poesia, destinata a estinguersi: “Il vento storce / la pioggia / scudiscia gli ulivi / mansueti / dentro di me / un fuoco / brucia / parole e versi / come quaderni / sulla brace”.
“Le regole della rosa” in una poesia naturale.
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