Daniela Distefano
CATANIA – “So la verità adesso / So come è bello e giusto amare / Mi è stato dato, almeno in parte, il permesso di vivere / Tutto comincia adesso / Sono rinata”.
Susan Sontag (1933-2004), tra gli intellettuali americani più influenti della seconda metà del Novecento, è stata scrittrice, saggista, attivista politica. Tra le sue opere più note, ricordiamo Contro l’interpretazione (1966), Sulla fotografia (1977), L’amante del vulcano (1992), Davanti al dolore degli altri (2003). In questo volume – Rinata (Nottetempo), a cura di David Rieff, traduzione di Paolo Dilonardo – sono raccolti i suoi diari e taccuini dal 1947 al1963. Un lavoro certosino, la sistematizzazione del pensiero in fieri di una giovane donna che si scopre intellettuale felice ma con l’anima nella tormenta. “Non abbandonare il proprio cuore dove non è desiderato”, scriveva. Ebbe un rapporto contrastato con il proprio corpo, in un periodo storico avverso agli omosessuali come si ritrova lei dopo un’esperienza matrimoniale fallimentare:
“Il matrimonio + l’intera vita familiare sono una disciplina, spesso assimilata (nell’ortodossia orientale) a quella della vita monastica. Entrambe smussano le spigolosità della personalità, come i ciottoli sballottati l’uno contro l’altro dalle onde che, sfregandosi, a lungo andare si allisciano”.
Ben presto la giovane Susan Sontag si avvede che, anche seguendo la sua natura sessuale più vera, si imbatte sempre in donne che la fanno soffrire, la umiliano, le tendono trappole sentimentali dalle quali difficilmente riesce a fuoriuscire.
“Amare fa male. E’ come accettare di farsi scorticare sapendo che in un qualunque momento l’altra persona può andarsene via con la tua pelle”.
Susan lotta, e avverte la stanchezza dei suoi anni maturi nella loro consistenza ancora acerba:
“La paura di invecchiare viene nel momento in cui si riconosce di non vivere la vita che si desidera. Equivale alla sensazione di abusare del presente”.
Cosa sono allora queste note giornaliere? Questi appunti sparsi di un io frazionato?
“Superficiale intendere il diario solo come un ricettacolo dei propri pensieri privati, segreti – come se fosse un confidente sordo, muto e analfabeta. Nel diario non mi limito a esprimere me stessa più apertamente di quanto potrei fare con un’altra persona; creo me stessa. Il diario è un mezzo per darmi un senso d’identità. Mi rappresenta come emotivamente e spiritualmente indipendente. Perciò (ahimè) non registra semplicemente la mia vita concreta, quotidiana ma piuttosto – in molti casi – offre un’alternativa a essa”.
L’autrice scava dentro le sue incertezze e ammette: “Mi considero una “persona che ci prova”. Provo a piacere, ma ovviamente non ci riesco mai. Dietro il “sono così brava che fa male” si nasconde: “Sto provando a essere brava. Non vedi com’è difficile! Sii paziente con me”. Di qui una volontà di fallimento che spesso – tranne che nel sesso – è frustrata dai miei talenti. E allora sminuisco i miei successi (le borse di studio, il romanzo, i lavori). Tutto ciò diventa irreale ai miei occhi. Ho l’impressione di indossare una maschera, di fingere”.
Un libro che macera pareri conformi, che sfocia nel mare aperto delle contraddizioni umane, delle paure di verdersi scissi, senza identità che fanno da pilastro alla vita di ogni giorno. Susan Sontag affronta con resilienza l’angoscia di essere diversi, di non avere che sabbia sotto i piedi della propria apparenza.