NEO Edizioni: Romanzo di crinale di Silvano Scaruffi
Apri Romanzo di crinale, il libro di Silvano Scaruffi pubblicato qualche mese fa da NEO Edizioni, ed entri in una comunità fatta di piccole certezze sull’orlo di saltare. Cambiano i discorsi nel bar di Brasco, cambiano i sogni di Ginasio “che poi Ginasio, quando ronfava schiena al ciliegio, sognava per davvero, tutte le volte”, “scricchiolano” le telefonate, si sentono rumori, salta l’immagine fissa in cui è chiusa questa parte di Appennino. Qui, a due passi dal crinale, le voci (particolarissime e originali) sono sempre le stesse da anni: quelle della semplicità, di chi chiede poco, vive per sottrazione in un continuo e costante dialogo con gli alberi e le alture. Bar, famiglia, silenzi, credenze, animali, sogni. Per questo si pensa che queste vite si possano “domare”, espellere, estromettere. Quel crinale, però, non guarderà più quelle persone che, negli anni, sono diventati personaggi. Presto verrà costruito un Parko che sovvertirà abitudini e discorsi. Lo sguardo cambierà; anzi, cambia.
Comincia a cambiare quando la terra si muove, le case si sbriciolano, la paura deborda. Cominciano allora le prime telefonate all’ufficio SIO del Parko, quel nuovo servizio installato lì per presidiare il territorio; ma le persone parlano linguaggi diversi, SIO e gli abitanti dell’Appennino hanno vissuti diversi, necessità differenti. Romma, Burasca, Bunga, Freva non capiscono cosa dinterà la loro terra, non comprendono quelle scosse continue, quel crocchiare che sta modificando strade e prospettive. Il rumore smette, delle volte, ma poi ricomincia giorno e notte. Giorno e notte così per un lasso tempo neanche troppo ampio.
Romanzo di crinale è una narrazione su una realtà (delimitata, definita, circoscritta proprio dal crinale) che implode senza la capacità di “rimettersi in bolla”. Fuori c’è il progresso oscuro e dentro c’è rumore, tribolazione.
Il libro di Silvano Scaruffi viene costruito come un mosaico di voci e paure, silenzi e giochi di potere. I dialoghi, naturali e serrati, sono il respiro attraverso il quale le pagine prendono vita. Ed è a quelli che Scaruffi chiede “supporto” lungo tutto il libro. Sono quelle voci così definite che definiscono lo stile dell’autore emiliano. Ma la storia si tinge subito di tinte fosche, nostalgiche e impotenti: l’aria diventa sempre più rarefatta, il cielo più cupo, le speranze più vane. Tutto si modifica, si disfa, si sgretola. Quella che era terra di donne e uomini schietti, diventa arsura, “terra di colonizzazione”, zolle da conquistare dimenticando storie, voci e tradizioni.
Rimane il fatto che il Parko, che è poi questo territorio, esiste perché esistono le persone, le loro storie, le cose che hanno vissuto e hanno da raccontare. Mica per i fischi delle marmotte. Bisognerebbe poi anche tenere in conto che noi che ci viviamo, qua, non siam mica “tutti quelli che passano’”. È inutile star lì a ridire che manca il lavoro, mancano le strade, mancano i servizi, manca questo e quello. Ormai l’abbiamo capita ʼsta fola: qua ci manca tutto. Ma a noi, può poi anche darsi che non ci serva niente.