Lisa Biggi e la scrittura per l’infanzia: ascolto, passione, immaginazione e rispetto

LISA BIGGIGiulia Siena
MILANOFebbraio, il suo ultimo libro, è una storia leggera e fantastica che racconta la storia del mese più corto dell’anno che ogni tanto si diverte a rubare un giorno. Leggero, incantato, ironico e fantasioso, Febbraio è un progetto editoriale nato dall’incontro di parole e immagini. Stiamo parlando di Lisa Biggi, la scrittrice reggiana, milanese d’adozione, che passa con disinvoltura dai libri per l’infanzia ai racconti tragicomici, dalle storie magiche alle graphic novel; tutto, però, ha un minimo comune denominatore: la leggerezza nella scrittura e il sorriso, punto di partenza e di arrivo.

Intervista a Lisa Biggi

Cos’è una storia per Lisa Biggi? 
Una possibilità. 

“Febbraio”, il tuo libro – con le illustrazioni di Isabella Grott e pubblicato da Valentina Edizioni – è un racconto sull’esistenza del ventinovesimo giorno di febbraio, un mese freddo e brontolone. Come nasce questa storia e come è arrivata in libreria? 
Quante volte ci è sembrato che il tempo non volesse passare? Che l’attesa fosse interminabile, proprio come un lunghissimo inverno? Il tempo scorre inevitabilmente in modo misterioso, così ho immaginato che anche i più piccoli, che hanno maggior dimestichezza col mistero, potessero sentirsi allo stesso modo. Ecco Mr. Febbraio. Febbraio è mese duro, che sopportiamo solo, e a fatica, perché è l’ultimo del calendario prima dell’arrivo della “bella stagione”. E proprio su quest’ultima lo spirito del mese scatena la sua vendetta! Mi ha divertito l’idea che fosse un bambino a trovare la soluzione al problema. Tommy accoglie il mistero del mese, gli parla con garbo, perché anche se ha paura è un bambino educato, e infine gli propone una soluzione apparentemente molto semplice e di grande senso pratico! Quando io e Isabella abbiamo presentato il progetto a Valentina Edizioni, è stato accolto fin da subito con grande entusiasmo. Poi si sa, l’entusiasmo è contagioso ed eccoci qui.

Cosa è per te la scrittura per l’infanzia? 
Tantissime cose insieme: passione, ascolto, immaginazione, memoria, incontro, ma
soprattutto rispetto. L’infanzia è un periodo relativamente breve nella vita di un individuo, ma lì gli anni non scorrono come sulla Terra, piuttosto somigliano a quelli di Saturno. Un bimbo di tre anni è un mondo di possibilità e riferimenti. Un bimbo di 8 un altro. E di queste differenze, che sono di età ma anche di sensibilità, occorre avere un grande rispetto. Direi che questo è un elemento fondamentale, imprescindibile, quando si scrive per l’infanzia. Mi accorgo però che spesso confondiamo il rispetto con la prudenza, che considero invece un rifugio molto insidioso. Un libro può rassicurare, smuovere, solleticare, urtare, far ridere o far piangere. Spostarci un po’ più in là. Usato solo per confermare il mondo adulto, per confermarci, sarebbe come quando, durante le ore di ginnastica, ci facevano saltare stando fermi sul posto. Annichilire l’infanzia, proponendo visioni stereotipate o buoniste della realtà, credo abbia poco a che fare col rispetto e mi chiedo se non nasconda una più grande insicurezza. Non solo implica avere un’idea bassissima delle potenzialità dei nostri figli, ma anche una scarsa fiducia nelle potenzialità che può avere l’esperienza della lettura. Ed è proprio in questo spazio che si gioca il nostro ruolo di adulti. Tra l’altro i bambini e i ragazzi non sono lettori da sottovalutare, sono anzi lettori molto attenti e severi, e in parte più liberi da certe forme di condizionamento.

Dai racconti alle storie per bambini dai romanzi alle graphic novel: come è avvenuto questo passaggio? 
Non sono sicura che si tratti di un vero e proprio passaggio, amo scrivere in entrambe le forme e continuo a farlo, forse certi “oggetti” trovano il loro canale naturale nel racconto, altri nella poesia o in una storia per ragazzi, cerco di non rinunciare a nulla, anche se in quest’ultimo periodo mi sono orientata soprattutto alla scrittura per l’infanzia. Può sembrare strano, ma in questo processo la prima cosa mi viene in mente è lo spazio. Quando ho scritto “I pompieri non escono per le donne in lacrime” (Bébert edizioni), che è un libro di racconti tragicomici, lo spazio a disposizione era molto, grazie all’estensione del libro, così come le possibilità di espressione. Nel caso di racconti per l’infanzia, questo spazio non c’è. Allora diventa indispensabile attrezzarsi diversamente. Io, per esempio, ho dovuto fare un grande sforzo ed esercizio di pulizia, sintesi, rigore, il che impone avere ben chiaro dove si vuole arrivare e con quale strada. Segreto: In realtà il primo lavoro è stato proprio per un albo illustrato, dalla tortuosa vicenda editoriale e che per fortuna avrà presto un lieto fine (ndr uscirà nel 2016 per un editore francese). Allora ero molto lontana dal pensiero di una pubblicazione e avevo scritto una storia divertente per un figlio immaginario, che abitava ancora solo nei miei desideri. Il desiderio, sostenuto dall’immaginazione, aveva plasmato un lettore dallo spirito vivace e attento, e per quel bambino ho continuato a scrivere anche dopo.

Nella letteratura per l’infanzia scrittura e immagine vanno di pari passo; qual è il ruolo dell’illustrazione nei tuoi libri?
Febbraio_Biggi_Grott_Valentina edizioni_CHRONICALIBRICon Isabella Grott è stato tutto molto naturale e fluido, soprattutto nell’individuazione del personaggio di Febbraio. Io l’avevo immaginato fin da subito come uno spirito potente e terribile, era un’immagine che avevo ben chiara e che Isabella ha colto appieno, come se oltre al testo avesse letto anche nei miei pensieri. In altre occasioni, l’interpretazione dell’illustratore è stata molto lontana dalle immagini che mi ero costruita nella mente, ma questo ha permesso nuove strade da esplorare, nuove possibilità e significati. In altre occasioni ancora, come nella graphic novel in uscita ilprossimo autunno, è stata un’immagine a dare avvio alla narrazione stessa. Nel rapporto tra testo e immagine, non credo esista una formula magica. A volte, come lettrice, mi trovo ipnotizzata davanti a illustrazioni molto dettagliate e didascaliche (passami il termine), in altri casi mi diverte l’esatto contrario, quello che l’immagine non dice e allo stesso tempo dice in più. Forse ci sarebbe da ragionare intorno alla parola efficacia. Credo che ogni buon editore possa individuare, di volta in volta, qual è il meccanismo migliore in funzione del libro che intende proporre. In linea di massima mi piace che ci sa uno scarto tra testo e immagine, uno spazio lasciato per altre storie, un luogo per l’immaginario, e forse è proprio questo il miglior spazio di incontro.

Com’è scrivere per ragazzi nel 2016?
E’ una domanda difficile. In qualche modo tutti noi siamo imbevuti in un sistema pedagogico, che è parte integrante (e anche rappresentazione) della nostra cultura. In questo senso il sistema è in continua evoluzione, insieme alle nostre proiezioni sull’infanzia. Diventa un discorso molto lungo e potenzialmente noiosissimo, così mi lascio aiutare da un ricordo. Poteva essere il 2002, ero stata chiamata in una scuola superiore di Milano per tenere un laboratorio di recupero per ragazzi “difficili”. Un aggregato, una classe ri-composta solo da studenti che rifiutavano la scuola e che stavano abbracciando l’ennesima bocciatura. Il primo giorno, ne uscirono due dalla finestra dell’aula. Non ero preparata a questo, mi ero appena laureata e avevo in mente il mio programmino, troppo rigido, sicuramente troppo scolastico, così alla fine ho proposto un lavoro diverso sulla scrittura. Dopo un dibattito appassionato, intorno ai giganti dell’adolescenza, l’amore e il dolore, i ragazzi hanno espresso un’esigenza molto forte, cioè la loro percezione del compito del crescere e insieme i dubbi sulla loro inadeguatezza. Credo che sia questo compito, che è parte della storia personale di ognuno di noi, ciò che si rinnova immutato in ogni generazione.

Quali sono le 3 parole che preferisci?
Mi piace la parola: serio.
Mi piace la parola: scherzo, perché ha a che fare con il gioco, l’ironia, il tempo e il ridere,
che sono tutte cose serie.
Mi piace la parola: notte, per ciò che da sempre evoca.
PS. Esiste davvero nubìvago? Perché se esiste mi piace nubìvago.

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