Giulia Siena
PARMA – “Mi chiamo Collin-Mézin, sono un violino. Spero non vi stupisca il fatto che io possa parlare. E’ la musica a darmi la voce. E se state ad ascoltare, potrete conoscere la mia storia. […] Il mio racconto sarà simile a un concerto, dove i momenti lievi si alternano a quelli gravi, i tristi ai sereni. Sarà una melodia che narra le vicende di una persona a me molto cara, la prima che mi ha tenuto tra le mani per suonare. Una ragazza come voi, allegra, vivace, piena di speranze, di entusiasmi e di sogni”. Collin-Mézin è un violino, nacque a Parigi dalle sapienti mani di un liutaio famoso che, dopo qualche anno, lo vendette a una bottega di Torino. Qui lo notò un padre premuroso che volle fare un regalo alla propria bambina. Quando il signor Levy consegnò il violino ad Eva Maria, la ragazza accarezzò il legno e cominciò a suonare. Le note de Il Cigno di Camille Saint-Saëns, diedero avvio a una lunga storia di un’amicizia tra il Collin-Mézin e la giovane ragazza ebrea.
La storia, narrata sapientemente da Anna Lavatelli, continua ricca di avvenimenti e particolari, così da dare vita a Il violino di Auschwitz (Le Rane Interlinea), un piccolo romanzo nato da una storia vera. Nel 2014, infatti, il collezionista Carlo Alberto Carutti scova questo violino da un antiquario di Torino; lo strumento custodiva, al suo interno, il messaggio che Eva Maria ricevette da suo fratello Enzo nel campo di concentramento dove furono trasportati poiché ebrei il 6 dicembre del 1943. Un messaggio pieno di amore, speranza e disperazione; un messaggio che spronava a cercare nella musica la forza per sopravvivere. Un messaggio che, dopo settant’anni dall’accaduto, ha permesso di ricostruirne la storia e dare modo di raccontare la Shoah anche ai più giovani. Perché giovani erano Eva Maria e suo fratello Enzo quando furono strappati alla loro quotidianità per essere trasportati altrove, come merce, senza spiegazioni e senza scuse. Solo il violino, unico legame con il passato, era rimasto tra le braccia della ragazza quando ormai aveva perso tutto; solo il violino come un amico fidato, una carezza attesa, un conforto inaspettato; solo il violino come testimone del dolore e della rinascita.
Il violino di Auschwitz è una storia toccante e intensa, un modo per parlare di musica, buona musica, come arma di pace, luogo di gioia e momento di incontro e crescita.
“Ci sono io con te” volevo gridarle “Fatti coraggio!”
Credo che abbia sentito la mia voce, in qualche modo, perché chiuse gli occhi e fece un respiro molto profondo.
Poi appoggio l’archetto e cominciò a suonare.
Con tutta la disperazione che sentiva dentro.
Con tutto l’amore che aveva per la musica.
Con tutto il desiderio di tornare a essere libera.