Giulia Siena
PARMA – Fossili e storioni. Notizie dalla casa galleggiante, il nuovo libro di Davide Bregola pubblicato da Avagliano, è un reportage di un viaggio lungo il Po. La narrazione, attenta, analitica e – a tratti – poetica, scaturisce da un contatto diretto con il grande fiume che avvicina e accomuna diversi territori, molte persone, tante differenti realtà. Bregola, infatti, ha deciso di spogliarsi della quotidianità e immergersi nell’atmosfera fluviale fatta di silenzi, ritmi, pregi e limiti: per diversi mesi la sua dimora è stata una casa galleggiante. Da lì ha raccontato; dopo aver osservato, ascoltato, toccato e assaporato il fiume e le sue storie. Ma il viaggio di Davide Bregola nella Pianura Padana è cominciato molto tempo prima: la sua scrittura, infatti, è sempre stata legata a questo paesaggio modellato dal tempo e dall’acqua. Quale occasione migliore, quindi, se non la pubblicazione e la lettura di Fossili e storioni per conoscere meglio un autore che vive la scrittura e, attraverso essa, guarda al mondo?
“Se non sei fanatico dell’esplorazione in questi posti non ci capiti […]”. E tu, per tua volontà, ti sei ritrovato per diversi mesi a vivere in una casa galleggiate sul Po. “Fossili e storioni“, il tuo ultimo libro, è – infatti – il diario di un’esperienza “estrema” a contatto con il fiume e i suoi umori. Sei un fanatico dell’esplorazione? Come mai quest’avventura?
Pensa, in latino “ploro, plorare”, significa piangere, e ha a che fare con esplorare. Come lo usiamo ora? Per esempio con “Internet Explorer” sembra non rimanere traccia di quel “pianto”, di quel “ploro”, e ne viene depotenziata la forza. Pensa invece a quel che pensi tu quando dici che stai “esplorando”. Ecco, in certi luoghi ci capiti se capisci appieno il significato di questa parola. Un tempo “Ex-Plorare” era la preghiera o il canto propiziatorio del cacciatore che, in una comunità di raccoglitori e cacciatori, “piangeva, pregava fuori”, al Signore della selvaggina, in un atto rituale, tutta la sua soddisfazione per aver cacciato un animale al fine di sfamare la prole. In altre parole l’esploratore era colui che piangeva come rito propiziatorio per ottenere (o per aver fatto) una buona caccia e potersi muovere agevolmente in un territorio minaccioso, ancora “inesplorato”. Se comprendi bene le parole vedi meglio il mondo, e così sono partito per questa avventura, perché mi interessava avere un luogo di osservazione privilegiato e inesplorato: una casa sul fiume. Per vedere meglio il mondo, e me stesso, dovevo allontanarmi dal mondo e dal me stesso che conoscevo già e dovevo andare in un ‘templum‘.
Un celebre aforisma attribuito a Buddha afferma che “Se poniamo a confronto il fiume e la roccia, il fiume vince sempre non grazie alla sua forza ma alla sua perseveranza”. Cosa hai imparato dal fiume? Al suo cospetto si diventa davvero allievi curiosi e determinati?
Secondo Talete il principio di tutto è l’acqua. Il suo ‘arché’ si fondava dal particolare al generale. L’acqua, nella sua filosofia, era il principio di tutto. Nel periodo in cui sono stato lì a scrivere, ero molto interessato ad approfondire gli elementi presocratici: Aria, Acqua, Terra, Fuoco, e mi interessava seguire la lezione di Talete, guardando il mondo dal particolare al generale. Questo perché avevo intuito che la confusione, la complicazione di questa nostra epoca, per mia natura doveva essere contrastata con la semplicità e lo sguardo ravvicinato. Più che curioso e determinato, il fiume, e quindi l’acqua, mi hanno dato la possibilità di accorgermi di ciò che avviene in un luogo all’apparenza vuoto, un luogo ‘nel suo particolare’. All’inizio della mia esplorazione lo percepivo come un territorio vuoto, successivamente mi sono accorto che era un luogo spazioso. Tra “vuoto” e “spazioso” c’è una grande differenza. Lì me ne sono accorto.
Tutta la tua esperienza narrativa, poi, è legata a un fazzoletto di terra particolare: la Pianura Padana nell’accezione di quella provincia italiana che vive ancora oggi il contrasto tra industrializzazione e mondo agreste. Anche ai tuoi occhi è evidente questo contrasto? Oggi che luoghi sono quelli che si sono sviluppati lontano dalle grandi vie di comunicazione ma vicini al grande fiume?
Nel libro, che è un resoconto, un reportage, esploro diversi luoghi del territorio, tra Lombardia, Emilia, Veneto, perché sono tutte provincie vicine in quanto il fiume crea confini naturali che poi l’uomo ha tramutato in confini legislativi. Prima di questo libro ho scritto altri libri, nella forma narrativa, dove il fulcro delle storie era sempre lì, in quelle terre. La Pianura Padana nei media è sempre rappresentata come uno dei luoghi più ricchi e industrializzati, come uno dei posti più inquinati al mondo; nelle previsioni meteorologiche, nell’Italia vista dall’alto, la Pianura Padana è sempre quella parte di colore rosso, in quanto zona di canicola e umidità. Uno stereotipo, direi. Uno stereotipo che non racconta nulla. Quel territorio è fatto di industrie dismesse, colture intensive di mais, tabacco, sorgo, grano e cucurbitacee. Allevamenti intensivi di bovini e suini, centrali idroelettriche e termoelettriche, aziende di materiale biomedicale e plastico, ex-industrie chiuse e portate all’estero. E’ un micro mondo rappresentativo dell’intero mondo e a saperlo capire bene si possono vedere i prodromi del futuro. Ognuno di noi, dal proprio luogo di osservazione, dal proprio ‘templum’, se guarda bene, si accorge che tutto il presente in cui sta vivendo ha al suo interno anche tutto il passato e tutto il futuro. Per questo in Fossili e storioni c’è qualcuno che mi parla di guerra come se ci fossero ancora in atto bombardamenti, qualcuno parla di avvenimenti del giorno che sembrano lontanissimi nel tempo, poi io che guardo i bambini uscire da scuola, questi esseri umani nuovi…tutto questo è un ragionamento sul tempo, che non è lineare, non è cronologico, ma segue altre modalità. Fisico e metafisico si intrecciano, ma serve un ‘tèmenos’ per ognuno di noi, uno spazio sacro grazia al quale poter vedere meglio cielo e terra. Io l’ho trovato in quel fazzoletto di terra, e come un ‘aruspice’ o un ‘augure’ cerco di interpretare gli avvenimenti, i piccoli segni, e ne scrivo.
“Se hai timore di vivere, lì sull’acqua potresti avere angosce ancestrali”, ma i tuoi personaggi (Hermes, Jenny, il pescatore, il falegname, il fotografo, il pittore) sembrano tutt’altro che angosciati nel vivere seguendo i movimenti e la portata del fiume. Che ruolo hanno i personaggi quando il vero protagonista è il Po?
Ho immaginato il fiume come una linea che va dal Monviso alle foci. E’ una linea narrativa dentro alla quale entrano voci. Considera che mi ero portato sulla casa galleggiante “Punto, linea superficie” di Kandinskij. Ogni personaggio che entra nel reportage è una voce. Hermes è la voce dell’esperienza e della conoscenza di un luogo, Jenny è la voce dell’inquietudine, il pescatore è la voce della perseveranza e così via. Lungo una linea narrativa acquea, quale è il Po, ci sono le situazioni, ci sono le voci. Chi ha deciso di frequentare l’acqua non ha le angosce di chi ha paura dell’acqua. E’ risaputo che simbolicamente l’acqua che scorre rappresenta il “Femminile”, la “Fertilità”. E’ una tematica rappresentata molto bene dalla psicologia analitica, entro la quale, in un processo di crescita, il confronto col “femminile” è fondamentale per avere una metamorfosi. Acqua è vita, è il simbolo amniotico della vita. Per cui se hai il timore di vivere, lì sull’acqua potresti avere angosce ancestrali di cui forse nemmeno ti rendi conto razionalmente. Chi ha paura dell’acqua teme il “femminile” dentro di sé e fuori di sé.
Grandi pianure, locali vuoti, il silenzio della sera, i rumori della natura: ingredienti indispensabili per un reportage di viaggio.
Volevo avere il minimo indispensabile, nessun elemento decorativo vistoso, nessun orpello. Cercavo il vuoto, lo spazio, il silenzio, cercavo il ‘bios’ e la ‘zoè’. Ho trovato, nel migliore dei casi, un misticismo senza religione, una comunità di solitari, l’anticonformismo. Nella nostra epoca di super tecnologici, sempre connessi, iper-moderni ho cercato dappertutto in questo territorio il riposo, un abbandono, una pausa, e da nessuna parte li ho trovati se non in un angolo poco antropizzato dove le persone sono davvero controcorrente ma senza esserne consapevoli, sono originali, senza posa, dove la natura si sta riappropriando dei suoi spazi anche se le acque sono piene di atrazina e Pfas, anche se l’aria è piena di polveri sottili. Volevo scrivere un elogio della solitudine, del ritiro, della lentezza, dei re senza corona, della rinuncia a qualsiasi ruolo sociale al fine di essere davvero liberi, e così ho costruito un reportage di viaggio da fermo, ho costruito una ‘flanerie’, la partitura per una musica di cui bisogna conoscere le note per poterla eseguire, ma la si può ascoltare.
Il fiume ha sempre un obiettivo, arrivare al mare, il tuo – come scrittore, dopo il Premio Chiara – qual è?
Il mio obiettivo principale, che sto già perseguendo da anni, è quello di provare a divulgare i benefici della scrittura. Attraverso la scrittura ognuno di noi sviluppa la capacità di accorgersi di ciò che accade fuori e dentro di sé. Attraverso la precisione del linguaggio diventiamo persone che comunicano meglio, riescono a pensare meglio, a capire meglio gli altri. Un individuo capace di scrivere una narrazione chiara e profonda, complessa ma semplice, è un individuo di cui mi aspetto grandi imprese. Per questo vado a tenere lezioni di scrittura in centri psichiatrici, scuole, case circondariali, biblioteche, associazioni. Sono sicuro che il grande problema della nostra società non è un problema economico, ma i problemi economici sono la conseguenza di un problema irrisolto con le parole, e quindi con i concetti e i pensieri. La mia ambizione, in definitiva, è quella di “pensare bene” assieme agli altri a partire dalle parole e dalla costruzione di argomenti creati dalla combinazione di parole.
Davide Bregola è un fine conoscitore della scrittura, ma se io ti dovessi chiedere solo tre parole, quali sceglieresti?
Come prima parola direi “Istinto”, perché la nostra società, il nostro Occidente, dall’Illuminismo in poi ha cercato di soffocare Dioniso, l’Ombra, la nostra parte irrazionale che è una componente innata, pre-verbale fondamentale per la sopravvivenza. Poi direi “Intuito” che, come dice l’etimologia della parola, ci fa “vedere dentro” e ci permette di essere più delle macchine, più di un algoritmo, più di una App o di un social. La grande differenza tra gli esseri umani non la farà la ragione, ma saranno Istinto e Intuito che , uniti a una buona istruzione e a un buon uso delle parole, creeranno società più evolute. Se capissimo che prima della verità arrivano istinto e intuito avremmo tutto un nuovo paradigma da costruire. L’ultima parola che mi sento di suggerire è “empatia” perché è grazie allo sviluppo di questa capacità che abbiamo la forza di sentire gli altri, di vivere con pathos. E’ grazie alla forza dell’empatia che l’animo partecipa all’altro, col nostro prossimo, e ci iuta a “sentire” l’altro. “Istinto, Intuito ed Empatia” sono, attualmente, le mie parole.