Giulio Gasperini
AOSTA – Era il 1962 quando due grandi rivali del grande schermo si ritrovarono a condividere una sceneggiatura. Soltanto un film come “What ever happened to Baby Jane?” poteva avere la suggestione e la potenza di riunire Bette Davis e Joan Crawford in un capolavoro del genere macabro, un capolavoro inquietante e sconvolgente, una metafora ben elaborata di come la solitudine umana possa diventare terrore e di come la gelosia sappia trasformarsi in persecuzione. In una stagione cinematografica in cui i film, molto spesso, radicalizzavano gli ambienti (i loro vizi e le loro virtù) della grande industria hollywoodiana (celebre il noir “Sunset Blvd.” con la grande Gloria Swanson che pone la pietra tombale, finanche grottesca, alla grande stagione del muto), “Che fine ha fatto Baby Jane?” porta all’estremo il fenomeno delle piccole enfant prodige alla Shirley Temple, condannate a una carriere brillante e sfolgorante quanto a un oblio lungo e drammatico. E nel crollo psico-fisico, la piccola Baby Jane trascina anche la sorella, la stella hollywoodiana Blanche Hudson, coinvolgendola in una spirale di tensione psichica che ben presto assume i connotati di una vera e propria patologia. Il film, che ottenne un successo sincero e meritato, fors’anche reso ancor più evidente da una reale antipatia tra le due grandi dive del cinema, era basato sul romanzo di Henry Farrell, edito nel 1960. Le differenze tra i due prodotti sono evidenti e significative: l’escalation alla violenza viene dipanata nello stesso modo, a partire da una proiezione di vecchi film per celebrare la diva Blanche; e le violenze della sorella Jane si scatenano, accelerate dall’omicidio e alimentate dalle fobie, dalle illusioni e dagli inganni di una mente sconvolta e non più salutare. Tutto si consuma all’interno delle mura gelide di una casa antica, simbolo di un passato che non può essere recuperato, che ricorda ancora – per entrambe – i giorni delle felicità più estreme, pieno di reliquie e di rimasugli polverosi e infranti di sogni e avvenire sfioriti. È una casa che imprigiona, che impedisce contatti, che segrega mentre tutto il mondo, fuori, si chiede cosa accada dentro; ma mentre nel libro è dal mondo esterno che parte il moto di rivolta e la chiave di svolta, nel film la solitudine delle due donne si fa sempre più asfissiante, più claustrofobico, mentre il mondo riesce soltanto a sospettare un disagio sorprendente.
Jane tenta di recuperare un passato nel quale era lei la stella brillante, la più luminosa; rasenta il ridicolo cercando di trasformarsi di nuovo in un enfant prodige, riesumando le sue sdolcinate canzoni e riprovandosi gli antichi costumi di scena. Ma inconsapevolmente era stata proprio lei l’anima tiranneggiata e sopraffatta dalla sorella, la cui vendetta era stata più lunga e silenziosa ma fors’anche più crudele e meschina.
Il passato deformato in “Che fine ha fatto Baby Jane?”
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