Giulio Gasperini
AOSTA – Rebecca West ha opinioni chiare e forti: “Continuo a pensare al matrimonio con grande paura e orrore. Non è che non mi piacciano gli uomini. Mi piacciono molto. […] Eppure sento che il matrimonio, l’ingresso in un sodalizio con un uomo, permanente, pubblico e favorito dallo Stato, sia l’atto più sconsiderato che esista”. La dose è rincarata: “Quando sento che una mia amica sta per sposarsi, provo per lei un dispiacere sincero. Quando un uomo mi chiede di sposarlo, mi sento ferita e imbarazzata. È come se mi avesse presentato qualcosa di simile a un’ingiunzione fiscale – un espediente ufficiale per ridurmi in miseria”. Le parole bastano a spiegare e autogiustificarsi: “Non è che non mi piacciano gli uomini”, curato da Francesca Frigerio e edito dalla Mattioli 1885, raccoglie un racconto lungo e un saggio nei quali la scrittrice britannica discetta su matrimonio e sue conseguenze. Per questa istituzione borghese la West non ha certamente parole dolci: “”Il pregiudizio che ho iniziato a nutrire da giovanissima verso il matrimonio mi impedisce di accettarli senza opporre una disperata resistenza”. Pregiudizio, ammette lei stessa; ma non si può certo dire che le ragioni, le motivazioni attraverso cui il suo attacco procede non siano né motivati né verosimili. La West sa quello che dice e, prima ancora di tutto il resto, lo sa comunicare in maniera cristallina e disarmante.
Nel racconto che apre il volume di Mattioli 1885, “Matrimonio indissolubile”, va in scena la rappresentazione grottesca di un’avventura matrimoniale: c’è un marito che odia la moglie, che odia il loro vivere borghese, che detesta il susseguirsi monotono e vuoto di giorni scanditi dalla routine del quotidiano; e inoltre pensa che lei lo tradisca, come nelle migliori favole coniugale; ma lei non lo sa, o forse preferisce ignorarlo. E l’unico modo che il marito trova per liberarsi della compagnia ingombrante della moglie è quello di ucciderla. La scena assume subito contorni onirici, una specie di visione che conserva, però, un’inquietudine e un morboso accesso voyeuristico di violenza. L’accelerazione è aggressiva; la descrizione dell’omicidio ossessiva. Ma la sorpresa è che tutto accade in sogno, in un’accelerazione all’odio e alla fissazione che scardina l’amore e il mutuo soccorso coniugale. Il risveglio è nel letto, nella culla della quotidianità matrimoniale, dove le coppie finiscono maggiormente per ignorarsi, ma dove si salva almeno il concetto di sponsale.
Nel saggio, invece, Rebecca West offre la chiave interpretativa per capire la sua vita e per comprendere l’ostilità profonda al vincolo coniugale. Nella sua avventura argomentativa si serve anche del Vangelo e prende in esame l’episodio della Samaritana: “Avevo capito che quando Gesù aveva incontrato la samaritana, si era addolorato perché aveva avuto cinque mariti, ma non mi era mai venuto in mente che il motivo del Suo dolore fosse il fatto che la donna aveva condotto una vita dissoluta […]. Pensavo che fosse arrabbiato perché la donna aveva gettato via la felicità prendendo un marito, il che ovviamente significava che era diventata povera, aveva dovuto fare dei lavori che le rovinavano le belle mani, indossare abiti brutti e distruggere se stessa, e perché poi non aveva capito quale fortuna le fosse capitata quando il marito era morto o se n’era andato, e se n’era addirittura preso un altro”. La sua conclusione è drastica, parole che non potrebbero esser più chiare con nessun commento: “Era come andare in bancarotta per cinque volte o finire in prigione per cinque volte per un crimine che si poteva tranquillamente evitare di commettere: una caparbia ricaduta nello squallore”.
Il matrimonio secondo Rebecca West.
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