Daniela Distefano
CATANIA – “Le mie giornate hanno l’elasticità dell’albero piegato dal vento. La mia percezione del mondo esterno acquista vigore, sono più ricettivo. Libero da ogni interferenza sonora, il mio udito si affina a contatto con l’esterno. Ormai sono in grado di distinguere il canto degli uccelli, il verso acuto del rallo che chiama i piccoli smarriti nel giuncheto. Uno sciabordio al crepuscolo mi dice che la nutria sta nuotando verso il suo giaciglio vegetale. Il vagabondaggio degli animali notturni lascia su di me le sue impronte. A forza di andare su e giù per la foresta, ne sono diventato parte. Fauna e flora mi confidano i loro segreti e io vivo più vicino alla terra”.
E’ così che descrive la propria vita a contatto col silenzioso linguaggio della Natura David Lefèvre. Nato nel 1973, dopo aver conseguito una laurea triennale in storia e geografia, David lascia l’università a vent’anni per fare i suoi studi umanistici per le strade: Nordamerica, Vicino Oriente, Asia Centrale, Sudest asiatico. Alterna lunghi viaggi a lavoretti per mantenersi, per misurarsi con il mondo del lavoro precario in diversi paesi d’Europa. Nel 2003 compie un primo soggiorno in Sudamerica. Tra il 2005 e il 2010, la sua esplorazione si estende alle steppe e alle foreste cilene e argentine, dalla Patagonia alla Terra del Fuoco. Tra il 2010 e il 2012 si stabilisce in Cile, dove lavora come fotografo, per poi trasferirsi sulle rive di un lago dell’isola di Chiloé, in una regione in cui la natura è ancora incontaminata. Lì si dedica a una vita frugale e si interroga sui limiti del concetto di povertà volontaria.
La grammatica della sobrietà (Ediciclo editore, traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi) è un opuscoletto che ci guida verso l’essenzialità dell’esistenza in un mondo ancora tutto da svelare.
Prima regola: abbandonare l’ingombrante bagaglio fisico e mentale.
“La frugalità ha il potere supremo di sfidare le leggi comuni. Fare a meno del superfluo significa non avere bisogno di paradisi artificiali e rifiutare di essere distolti dall’essenziale. L’abbondanza rassicura, crea un sentimento incompleto di benessere, erige un muro cieco intorno a sé”.
Solo così può avvenire un rovesciamento dell’idea di comodità. Si manifesta un’agiatezza puramente spirituale, salubre e liberatoria. Questo ritorno a un comfort primitivo apre nuove prospettive.
“I miei gesti seguono il ritmo delle stagioni, tentando di iscriversi nel ciclo della natura: i suoi momenti di riposo e di ira, le sue scomparse e rinascite, i suoi miracoli quotidiani e i suoi tanti fenomeni. Il mio tempo libero è dedicato alla raccolta delle nocciole, fragoline di bosco, more, mirtilli rossi e bacche di calafate; pratico la pazienza andando a pesca; il mio sudore finisce nei lavori di sistemazione e falegnameria; il mio ozio è dedicato all’osservazione del cormorano che si liscia le piume su un pezzo di legno portato dall’acqua. Costruire, vangare la terra e prepararla, fare sì che il mio orto dia i suoi frutti, inventare, adattarmi sono diventate le parole chiave della mia nuova lingua”.
Quella di Lefèvre appare come un’utopia di secoli fa, invece ci parla di una scelta non impossibile. Ma come abbandonare casa e luoghi consueti per un tuffo nell’ascetica terra inabitata? Semplice, scegliendo di vivere in una capanna lontano dalla civiltà urbana di cui siamo sempre più saturi.
Possedere una capanna significa non possedere niente di monetizzabile dal punto di vista dell’ordine economico, niente che abbia un valore agli occhi degli organi giudiziari e di cui impadronirsi. Vicina alla città o in fondo a un prato, di legno o di giunchi intrecciati, la capanna è per sua natura fugace e deperibile: è fatta per scomparire. E’ un sottobosco del pensiero.
Se pensate di mollare la giungla moderna e tecnologica, se volete contemplare il cielo trapuntato di stelle non a neon, senza essere interrotti da trilli di smartphone e altre propaggini del mondo connesso, leggete La grammatica della sobrietà perché parla di pace dell’anima e amore per le creature nascoste nel pianeta. Per poi seguirne l’esempio, naturalmente.