Giorgia Sbuelz
ROMA – “Mi hanno chiamato folle: ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell’intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non manca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell’intelletto in generale”. Edgar Allan Poe
Così, tra una citazione e l’altra, Philip Osbourne ci racconta il suo Young Poe – Il blogger degli incubi pubblicato da Armando Curcio Editore.
Il blogger in questione è Vincent, un ragazzo dotato di poteri extrasensoriali, che per ragioni oscure sembra legato alla vita dello scrittore di Baltimora, di cui ripercorriamo i passi in questo libro.
Pensato per un pubblico young adult, accontenterà i gusti di tutti coloro che nella loro adolescenza sono stati stregati dai versi de “Il Corvo” o si sono lasciati catturare dall’enigma de “I delitti della Rue Morgue”. Imprinting toccato a Osbourne stesso e che, per sua ammissione, influenzò il suo modo di fruire la letteratura e guardare il mondo.
Affascinato dal “dopo” delle cose, l’autore comincia il romanzo dalla scomparsa di Poe, misteriosa al pari dei suoi racconti. L’uomo fu infatti ritrovato il 3 ottobre 1849 in stato confusionale e in abiti non suoi, mentre gridava un nome: Reynolds. Spirò quattro giorni dopo, senza mai riprendere conoscenza, lasciando ai posteri un unico indizio: quel nome. Ma chi era Reynolds? Che rapporti aveva con Poe?
In quest’opera di fantasia l’autore cerca di svelare l’arcano ricostruendo gli scenari che furono di Poe nella Baltimora di duecento anni dopo. Qui Vincent, un orfano cresciuto dalla zia, bacia la sua ragazza quattordicenne, Mary, e ne percepisce il futuro visualizzando l’incidente che l’avrebbe resa paraplegica. Da quel momento in poi quelle che sembravano essere solo coincidenze diventano prove della tangibile corrispondenza fra Edgar lo scrittore e Vincent il blogger. I personaggi dei racconti di Poe si animano in una storia d’azione e horror.
Il divertimento del lettore sarà anche quello di riconoscerli di volta in volta negli adattamenti moderni: ecco sbucare l’inquietante gatto nero che sceglie da solo il proprio nome saltellando su delle lettere sparpagliate per terra a mo’ di tavola oujia. E quale poteva essere il nome, se non Pluto? Troveremo la casa di Usher e rivivremo la sua caduta. Ci faremo ammaliare dalla perfida cugina Berenice e ci darà la caccia Rufus Wilmont Griswold, che in vita fu l’astioso detrattore di Edgar Allan Poe e qui si occupa di localizzare i maggiori talenti in circolazione per sminuirli e neutralizzarli in nome di una presunta equità umana.
A farne le spese, la vera guest star di questo romanzo, nientepopodimeno che lo scrittore americano per eccellenza: David Foster Wallace.
Tanti sono gli omaggi disseminati tra le pagine, il più significativo – e il più prevedibile – quello a un altro maestro dell’horror: Stephen King e la sua “Carrie”, meglio nota nella trasposizione cinematografica di Brian De Palma “Lo sguardo di Satana”. Ma la cinefilia di Osburne si era colta già dall’introduzione firmata Brian Yuzna, il regista e produttore che adatta le opere di Lovecraft in chiave contemporanea.
Reduce dal successo mondiale “Il diario di Phil il Nerd”, con Young Poe Philip Osbourne sterza verso un altro genere senza perdere lo smalto. Brillante ed energico come la musica che ascolta e cita – su tutti gli Iron Maiden di Paul Dianno – questo libro saprà coinvolgere la giovane internet generation in una storia soprannaturale dal ritmo adrenalinico, non tralasciando temi più cupi e attuali, come la solitudine, l’alienazione e il bullismo, con cui i ragazzi di oggi – come quelli di due secoli fa – si confrontano ogni giorno.