“Le regole della rosa” in una poesia naturale.

Le regole della rosaGiulio Gasperini
AOSTA – La poesia di Emilio Paolo Taormina è una poesia del silenzio: i suoi sono componimenti brevi, schegge di immagini che esplodono in una manciata di parole e rompono la superficie, come fa un sasso con l’acqua di un lago. In “Le regole della rosa”, edito da Edizioni del Foglio Clandestino nel 2014, la poesia di Taormina si concreta in tanti frammenti di scenari, in brevissimi nuclei di significati e significanti che spesso partono e gemmano da un’esplosione naturale, da una componente vegetale o animale, o anche solo cosmico-astrale, che rischia di configurarsi come correlativo oggettivo di un interiore e non espresso sentimento.
I rumori si placano nella poesia di Taormina, lasciando spazio all’occhio che si spinge in profondità, fino a cercare di cogliere i significati più profondi e complessi: “All’alba / la luna è una / medusa / un tamburo / senza suoni”. Anche quando vengono evocati aderiscono alle immagini, saldandosi assieme e creando un’evocazione unica: “Per le scogliere / all’alba / i gridi / dei gabbiani / sono grigi / affilati / come lame”. Più che suoni sono messaggi, si concretano in immagini estreme, audaci e feroci: “In questo freddo / di neve / i tocchi / delle campane / sono freddi / come coltelli”. La bocca si secca, le parole sono vuote, prive di significato, il vocabolario perde la sua funzione e non rimane che rimanere muti: “Le parole / dei marinai / seccano al sole / odorano / di alga e di sale”.
È la Natura il metro di tutto, è lei che dà cadenze e ritmi, è lei che dà il valore e che amministra i ruoli. Può essere persino la misura di una solitudine umana: “È cresciuta / l’erba / sul viottolo / che porta a casa / nessuno / viene più / a cercarmi”. La Natura diventa persino ricordo, fragile reliquia dell’illusione del tempo che inesorabile trascorre e accelera: “Resta appena / l’aroma dei limoni”. È persino vettore di emozioni tra il poeta e il tu di riferimento, figura non definita e sfumata che è musa e destinataria delle sue parole: “Il cielo del mattino / azzurro cenere / sorge / dai tuoi occhi”. Fino ad arrivare al massimo di uno straordinario panismo, un’identificazione totale tra umano e naturale: “Tu sei donna / e stella marina”. È la Natura l’entità suprema contro la quale ci si trova a combattere per salvare ogni singolo aspetto del noi; ma è anche una battaglia già persa, una sconfitta irrimediabile: “Giocheremo / con la sabbia / e le foglie morte / del giardino”. Perché la Natura è anche ferina, animata da uno spirito selvaggio che non rinuncia alla vita, non depone mai le armi senza lottare all’ultimo respiro: “La volpe / azzannata dai cani / è venuta a morire / sotto il noce / nella bocca serrata / ha dell’ultima lotta / un respiro gelato / è sempre difficile / capire / dove finisce la vita / e inizia la morte”.
Ma l’uomo, ovviamente, la Natura la ferisce, la strazia, la viola: “Sacchetti / di plastica / lattine / accartocciate / una bottiglia / su una panchina / il silenzio / è una piaga / dolorosa”. L’uomo cerca di trasformare la Natura in un suo possesso, in uno strumento e arma per alimentare le sue bassissime pretese: “Ho seminato / semi di ortica / sul tuo corpo / in modo / che nessuno / possa abbracciarti”. Ma ogni uomo torna nella Natura, a compimento del suo naturale destino: “Ora siamo / polvere di rose / cenere di radice / anche una piuma / rema l’aria / varca la porta / del tempo”. Nello stesso modo, alla fine, in cui si consuma la poesia, destinata a estinguersi: “Il vento storce / la pioggia / scudiscia gli ulivi / mansueti / dentro di me / un fuoco / brucia / parole e versi / come quaderni / sulla brace”.

“It’s ok!!”: i fumetti contro l’omofobia.

IT'S OKGiulio Gasperini
AOSTA – L’omofobia si combatte in tanti modi: con l’educazione, principalmente. Ma anche con la lettura: e cosa ci può essere di più veicolante, di più immediato e fresco di un fumetto? Probabilmente nulla. La RenBooks da tempo edita manga (e graphic novel) a tematica lgbt, proponendo in un paese difficile come l’Italia due innovazioni: quello del fumetto e quella della letteratura a tematica, ancora difficilmente sdoganate. “It’s ok!!” è un’antologia di brevi storie, frammenti di vita che quotidianamente accadono, secondo diverse declinazioni e varianti, rivolta agli adolescenti gay ma anche ai loro genitori, che spesso si trovano impreparati e impotenti ad affrontare un momento estremamente delicato e critico nella vita dei loro figli.
Come tutti i manga, va letta al contrario, partendo dal fondo, e da destra verso sinistra: ma a parte questo iniziale scoglio, la lettura prosegue veloce e divertita attraverso le tante storie che con estrema dolcezza e attenzione vengono presentate al lettore. Nulla di eclatante, quasi una sorta di pudore reverenziale nei confronti di quel momento particolare in cui qualcheduno si scopre omosessuale; e di quel momento, ancora più sofferto e feroce, nel quale decidi di non voler più fingere e ti dichiari al mondo, ai familiari, agli amici, ai nemici, come se ci fosse qualcosa di cui dover chiedere scusa. Le indecisioni, i dubbi, le domande, la rabbia, la derisione: tutti i gradini, i passaggi di una presa di consapevolezza che spaventa perché sono gli altri a spaventare, con i loro giudizi, le prese di posizione, i gesti di bullismo più o meno evidenti, gli orgogli antichi di una cultura che tarda a maturare. Non c’è mai sensazionalismo, non c’è mai irrisione né irriverenza in queste trame; tutt’altro. C’è una partecipazione silenziosa ma evidente, un intento di “compartir” che è sempre la soluzione più giusta e più corretta quando ci si avvicina all’intimità di un’altra persona. Nel volume, creato grazie a Produzioni dal Basso, piattaforma italiana di crowdfunding, tra i fumetti di noti artisti giapponesi come Inuyoshi, Hiraku Taku e Kuro Nohara, sono state inserite note informative sulle associazioni che in Italia si occupano di questione lgbt: un utile strumento per chi, magari, avesse il bisogno di rivolgersi a qualcuno per informazioni o chiarimenti.
L’omofobia si combatte in tanti modi, evidentemente. Ma il primo, e il più importante, è sempre la cultura; una cultura sana, una cultura ricca, una cultura attenta alle evidenze, attenta all’individualità e alla sua sostanza, una cultura che sia attenta al mondo: a come si muove e a come si sviluppa.

L’intimità di Frida Kahlo disegnata nel suo diario.

Il diario intimo di Frida KahloGiulio Gasperini
AOSTA – Nessuna scrittura è più intima di un diario. E un diario può essere anche di colori, linee, disegni: pensieri grafici e cromatici. Come quello che Frida Kahlo ha tenuto per gli ultimi dieci, irruenti anni della sua vita. In queste pagine, oggi riproposte da Electa con il titolo “Il diario di Frida Kahlo. Autoritratto intimo” (Electa, 2014) in occasione della mostra in scena a Roma alle Scuderie del Quirinale, Frida ha scomposto e squadernato la sua più complessa interiorità, senza remore né vergogne. Confrontarsi, penetrare nel diario dell’artista messicana non è un’operazione di mero voyeurismo ma un’immersione profonda nella complessità di un’artista che ha trasformato la propria stessa vita in un’opera d’arte, declinando nelle potenzialità immense di pittura e scrittura ogni singolo momento della sua esistenza.
Le tavole a colori e la traduzione del diario ci accolgono in un mondo affascinante e unico, come non ne esistono forse altri esempi. I suoi stessi quasi, i dipinti così tanto amati, affondano le radici violentemente nella sua esperienza personale, nel suo percorso di dolore (fisico, in primis), nella sua esperienza di donna e di artista, di moglie e di madre in potenza, di figlia e di ribelle a un ordine prestabilito. Ma Frida non è solamente un orizzonte di dolore e di sofferenza. Frida è anche profondo humor, ironia, arguzia, spirito dissacrante persino nei confronti di sé stessa. Come nei suoi quadri, l’attenzione è posta tutta sul sé, sulla sua essenza di donna, di messicana, di creatura che sta al centro e contempla tutto quello che attorno accade, riflettendo su di sé di volta in volta il disagio, il dolore, la compostezza, il sogno, la veglia, la sofferenza, la gioia di una potenza creatrice inesauribile. Uno sguardo violante e violento, una teorizzazione in itinere dell’essere creatura umana e nel saper tradurre la realtà personale in un’esplosione artistica senza quasi ritegno, dominata solo da sé stessa e significante solo in sé stessa.
Frida Kahlo è stata perforante non soltanto sulla tela ma anche sulla pagina scritta. I suoi appunti, le sue pagine di diario, le sue lettere sono viranti messaggi, che mai si censurano e mai si limitano nella perfezione della sua indagine interiore. Brevi frammenti, appunti, considerazioni, messaggi consegnati al tempo: il diario di Frida è un percorso unico, un organico procedere attraverso la sua vita stessa, dai primi anni dell’infanzia e dal rapporto col padre e coi genitori, agli altri membri della sua famiglia, alla sua storia d’amore, tormentata ma intensa, con Diego Rivera, agli incontri – tanti, esclusivi – che hanno costellato la sua carriera, da Tina Modotti a Trockij, da André Breton alla sua moglie, ai tanti dottori che l’hanno curata e osservata. Perdersi nelle pagine del diario è un’esperienza diversa dal confrontarsi coi suoi quadri. Il diario è magma incandescente, è sostanza che lotta e combatte per codificarsi in una forma che non è mai scontata né agevole, al primo confronto. Perché la forza di Frida è totale, completa, annichilente ma creativa: “Yo soy la desintegración…”.

10 Libri per la tua estate CHRL scelti da Alessandro Coppola

foto-36-300x225ROMA – Il disegno è una splendida maniera di accompagnare le parole, la narrazione scritta. Offrono la possibilità di prendere il largo con la fantasia, di aprirsi un varco nello spazio e di approdare in paesaggi tutti nuovi, magari anche incontaminati dal suono, teorizzati solo da forme e colori. Il disegno è un’esplorazione, lo sconfinamento in un mondo di creatività che abbiamo, spesso, lasciato in un angolo della nostra mente, nei ripostigli più segreti della nostra intimità. Il disegno, l’illustrazione, non sono pretese infantili; sono la possibilità di riappropriarsi di una dimensione irrinunciabile. Alessandro Coppola è un disegnatore eccellente: i suoi disegni, mai banali né semplicistici, accompagnano storie di scoperte e di crescite, di contatti e maturazioni. I libri di oggi sono suoi consigli, un’antologia di libri e disegni che sapranno farvi conoscere la letteratura e i disegni sotto una luce completamente nuova e inedita. Oggi, per noi, i 10 Libri per la tua estate CHRL scelti da Alessandro Coppola.

 

1. L’aggiusta Cuori di Arturo Abad illustrato da Gabriel Pacheco, edito da LOGOS
2. Questi è il buio di Gianna Braghin illustrato da Vessela Nikolova, edito da BACCHILEGA JUNIOR
3. Tre desideri di Eva Mejuto illustrato da Gabriel Pacheco, edito da LOGOS
4. Ho lasciato la mia anima al vento di Roxane Marie Galliez illustrato da Eric Puybaret, edito da EMME EDIZIONI
5. Attacchino, di Bruno Tognolini illustrato da Gianni de Conno, edito da GALLUCCI
6. Senzaparole di Roger Olmos illustrato da Roger Olmons, edito da LOGOS
7. Un piccolo cappuccetto rosso di Marjolaine Leray illustrato da Marjolaine Leray, edito da LOGOS
8. Daddy e Mirko di Liborio Palmeri illustrato da Carla Manea, edito da BUK BUK
9. Piccolo uovo di Francesca Pardi illustrato da Altan, edito da LO STAMPATELLO
10. Bianca e il Rubasogni di Luca Nocella illustrato da Alessandro Coppola, edito da DI MARSICO LIBRI

 

Foto Alessandro CoppolaALESSANDRO COPPOLA nasce in Sicilia nel 1982, e fin da piccolo mostra una naturale attitudine per il disegno, una passione particolare per i cartoni animati e per i libri di fiabe che leggeva…
Dopo svariati anni di formazioni artistica nelle scuole pubbliche, un master di specializzazione ed esperienze lavorative inerenti e non, decide alla tenera età di trentanni di dedicarsi totalmente all’illustrazione, entrando anche a far parte dell’Associazione Italiana Autori di Immagini.
Partecipa a diversi concorsi di illustrazione e tramite la Fondazione Malagutti Onlus, per Diritti a Colori network per la salvaguardia dei diritti dei bambini, pubblica le sue due prime opere nel catalogo “We are the Future”, edito da Red Publishing.
Ha pubblicato alcuni libri illustrati, tra cui “Gufilastrocche” edito da Toletta Edizioni e “Bianca e il Rubasogni” edito da Di Marsico Libri, collabora con le agenzie di comunicazione come disegnatore e collabora anche con il portale “Bambini a Venezia” (www.bambiniavenezia.it).
Il suo motto è: “L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che un bambino visita” (Kveta Pacovska).

www.alessandrocoppola.com
illustratorecoppola@gmail.com

“La voce dei libri”: le declinazioni delle librerie resistenti.

La voce dei libriGiulio Gasperini
AOSTA – La crisi, tutt’attorno a noi, sta causando l’evidente chiusura di molti esercizi commerciali. E le librerie sono probabilmente tra i negozi più pericolanti, in un’Italia che tanto scrive ma tanto poco legge. In questo clima depressivo per il settore, ci sono alcuni esempi di librerie che non solo resistono ma persino prosperano, imponendosi per la loro capacità di adattarsi ai cambiamenti, di saper affrontare le sfide sempre nuove imposte dal mercato, nella versatilità imposta dal cambio di pubblico e lettori.
“La voce dei libri”, a cura di Matteo Eremo, edito da Marcos y Marcos, è uno splendido viaggio nell’Italia di dieci librerie che resistono, esempi di un modello di cultura che continua a valorizzare il libro, sia come prodotto che come lavoro culturale, ma che sa accogliere proficuamente le potenzialità di un mercato sempre in cambiamento. Il percorso, in realtà, comincia dalla Svizzera, dalla città di Bellinzona, dove dal 1924 la famiglia Casagrande si dedica ai libri e alla loro promozione. Fu Libero Casagrande, nei primi anni Ottanta, a “inventarsi” il programma Libris, per una gestione informatizzata della libreria: uno strumento non certo agevole, né immediato ma che ha contribuito a rivoluzionare la gestione delle librerie da lì per tutto il futuro. Poi c’è la libreria Fogola, di Pisa, che affonda le radici della sua vocazione nell’esperienza dei librai ambulanti della Lunigiana, in memoria dei quali è stato fondato il Premio Bancarella. A Roma esiste dal 2002 la libreria Altroquando, nata dalla passione di Alessandro Alessandroni per il cinema, mentre la soluzione escogitata da Daniela Bonanzinga è stata quella di lavorare in stretto contatto con le scuole di Messina, creando una stretta sinergia tra la pagina scritta e l’azione degli studenti, valorizzando tutte le loro capacità più spiccate. A Vicenza, invece, dal 1880, esiste la libreria Galla che, accanto alla vendita dei libri, ha da sempre proposto anche penne, cancelleria, e raffinata oggettistica e che, ad un certo punto, per non soccombere alla contrazione del mercato, ha stretto un accordo con Libraccio per la vendita dei libri usati e dei remainders. Ad Empoli, undici libraie riescono a condurre la libreria Rinascita, nata nel 1977 con una forte impronta politica e sociale, e a gestire un festival noto in tutta Italia, Viruslibro, che riempie piazze e materialmente produce cultura.
“La voce dei libri” ci fa ascoltare direttamente le voci delle tante persone che popolano le librerie. Le librerie sono, innanzi tutto, persone: in particolare, nel libro vengono descritti librari capaci e totalmente dediti al loro lavoro; librari che hanno risposto a una vocazione familiare o librai che si sono scoperti tali durante il corso della loro esistenza, magari cambiando bruscamente direzione e vita, rinunciando ad alti stipendi e a sicurezze maggiori. Storie di uomini e donne coraggiose che non hanno saputo rinunciare al vizio di leggere, alla perversione di raccontare e consigliare storie, all’illusione (un po’ persino masochista) che la parola scritta fosse un bisogno irrinunciabile dell’uomo a qualunque latitudine e a qualunque età.

“Immagina di essere in guerra”: e se i profughi fossimo noi?

Immagina di essere in guerraGiulio Gasperini
AOSTA – Assumere un altro punto di vista non è compito semplice. Né immediato. Come potrebbe cambiare l’angolazione se ci si mettesse dall’altra parte del banco degli imputati? Spesso la difficoltà sta nella paura di sentirsi colpevoli. Il piccolo volume di Janne Teller ci chiama proprio a questo: deporre la maschera dell’ipocrisia, soffocare l’omertà, ripudiare la latitanza e avere il coraggio di capire. E se fossimo noi, in guerra? E se fossimo noi bombardati, inseguiti, uccisi, trucidati? “Immagina di essere in guerra”, edito da Feltrinelli (2014) con le illustrazioni di Helle Vibeke Jensen, ha il formato di un passaporto: il documento fondamentale per scappare e salvarsi. Che noi teniamo distrattamente in un cassetto del comodino ma che per tante altre persone al mondo rappresenta l’unico strumento di salvezza. Pensato anche per i più piccoli, il testo della scrittrice danese è uno strumento potente di pensiero e di riflessione, in un momento storico come il nostro di grandi cambiamenti e di imponenti forzate migrazioni.
In realtà, la nostra immedesimazione non sarebbe così complessa se ci ricordassimo della nostra storia recente, recentissima. Quella dei primi decenni del secolo scorso, di quei 29 milioni di italiani che dall’Unità d’Italia se ne sono andati all’estero, profughi, per cercare un domani migliore. Ma quando osserviamo i barconi che si avvicinano alle nostre coste, la paura dell’invasione ci paralizza, o piuttosto ci scatena un’irrazionale paura. Tutti gli altri problemi, i veri responsabili, finiscono per essere tralasciati in nome di un pericolo inesistente e inconsistente ma più presente, evidente, più facilmente codificabile e identificabile. Non pensiamo mai a cosa possa significare essere costretti ad abbandonare il proprio paese, la propria casa, i propri affetti, i propri familiari orizzonti per affidarsi a un caso furioso, più spesso crudele e feroce che non risparmi nessuno e di nessuno ha rispetto. Che siano uomini, donne o ancora bambini. Se non addirittura neonati. Non ci chiediamo mai cosa possa significare affidarsi a percorsi ignoti, lasciarsi in mezzo alla sabbia e alla confusione delle rotte, consegnarsi a un mare nero che è stretto nella notte e non accoglie, ma al massimo respinge e rompe in naufragio. Non ci chiediamo mai cosa davvero significhi il termine “casa”: “Ma dov’è casa?” si chiede, infatti, Janne Teller terminando il volume, come se la ricerca non finisse mai, indipendentemente dall’approdo, dallo sbarco ultimo e definitivo.
L’Europa (vincitrice di un improbabile Premio Nobel per la pace) fonda i suoi principi su quelli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli essere umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Ma così veramente ci comportiamo? Se fossimo noi, in guerra, ci sentiremmo accolti da un paese come l’Italia?

“Il veganesimo significa allargare i propri orizzonti”: ChronicaLibri intervista PoveroVegano.

PoveroveganoGiulio Gasperini
AOSTA – Il veganesimo è ben altro rispetto a una moda del momento. È una capacità di intendere il cibo (ma anche molto altro) secondo nuovi rapporti e legami con la persona stessa, la sua fisicità e la sua interiorità. Ma scegliere la strada vegan significa ripensare tutto il ricettario, imparare a cucinare diverso. Ouverture Edizioni ha pubblicato “Vegano alla mano”, comodo e pratico ricettario compilato da Arianna Mereu e Vieri Piccini, che si svelano in quest’intervista per ChronicaLibri.

 

Che cosa significa, oggi, essere vegano?
Per noi oggi essere vegani significa consapevolezza. Anni fa fare una scelta del genere implicava molto più impegno perché l’informazione a riguardo era molto scarsa e non c’era attenzione particolare verso l’alimentazione e verso l’ambiente. Oggi, un po’ perché il cibo va di moda, un po’ perché molti hanno cominciato ad interessarsi del proprio benessere, la scelta vegan è sempre più in primo piano. Si sta creando un interesse intorno a tutto ciò che è benessere per il mondo e per noi stessi. Ci interroghiamo molto di più su ciò che mangiamo e come viviamo e cerchiamo risposte che ci aiutano a capire meglio noi stessi e i nostri bisogni. Essere vegan oggi significa allargare i propri orizzonti oltre le mura della nostra casa e sentirsi parte di tutto il mondo.

 

Quali sono le domande più importanti che ognuno di noi dovrebbe porsi, in questo senso? Quali sono gli aspetti della vita moderna che il vegan riesce a far affrontare in una nuova prospettiva?
La prima domanda che dovremmo farci è: come stiamo sopravvivendo (se stiamo sopravvivendo)? Ovvero: tutto quello che stiamo facendo e che ci permette di vivere in questo mondo è sensato, coerente con la natura che ci circonda? Poi di seguito potrebbe venire fuori una domanda estranea a molti: facciamo parte della natura? In che modo? Qual è il nostro ruolo? Da qui tutti gli interrogativi sulla natura dell’essere umano. Inoltre esistono già da tempo domande e risposte riguardo all’inquinamento del pianeta e quindi se sia giusto distruggere quella che è la nostra “casa” e come comportarci con gli inquilini che la abitavano già da molti anni prima di noi.
Con la scelta vegan le prospettive si moltiplicano e sono positive nei confronti di tutto e tutti. Il mangiare è solo il primo degli aspetti che fanno affrontare la vita in un modo più consapevole. Diciamo che l’interesse nei confronti di qualsiasi cosa riguardi il nostro stile di vita si amplifica, facendoci trovare nuove possibilità di relazionarsi al nostro modo di vivere, spesso più semplici di quanto pensiamo.

 

Perché la scelta di mettere su carta? Di scrivere? In che modo il vostro ricettario può essere utile?
La scelta di scrivere un ricettario è nata da problemi di natura pratica, più che da considerazioni filosofiche: cercando su internet, o in altri ricettari, quasi mai trovavamo ricette che fossero al tempo stesso vegane, gustose ed economiche. Molto spesso il mondo vegan viene associato a una scelta alimentare elitaria, riservata a chi può permettersi di fare la spesa nei negozi specializzati seguendo tutte le ultime mode in fatto di dieta e alimenti esotici, cari e introvabili altrove. Il nostro modo di vivere l’alimentazione vegan è diametralmente opposto: alimenti di stagione, facilmente reperibili e alla portata di tutti, per cucinare ricette semplici e buone. E non è così difficile! Essere vegan per noi dovrebbe voler dire semplificare la vita, non complicarla: da quando abbiamo iniziato il blog (poverovegano.tumblr.com) e successivamente pubblicato “Vegano alla Mano”, abbiamo ricevuto molte testimonianze di persone, vegane e non, che sono rimaste colpite dalla semplicità e positività del nostro approccio, che riporta il vegan nella sfera del quotidiano e non dell’eccentrico e difficile.

 

Com’è nato il progetto PoveroVegano? Chi c’è dietro questo nome?
PoveroVegano è nato nel 2012 e gli ideatori sono Arianna Mereu e Vieri Piccini. Quando ci siamo conosciuti Vieri era vegano da diversi anni e Arianna aveva problemi di salute che la stavano indirizzando naturalmente verso questo percorso. Arianna ha apprezzato da subito il fatto che Vieri vivesse la sua scelta in modo molto semplice e spontaneo: era abituato da quando la scelta vegan era molto meno diffusa e “di moda” rispetto a adesso ad arrangiarsi con quello che aveva a disposizione, senza cercare soluzioni strane e dispendiose. Il progetto PoveroVegano è nato, come dicevamo, prima di tutto da un’esigenza personale di creare una specie di archivio di ricette buone, vegan e semplici: da lì alla voglia di condividerlo, con positività ed entusiasmo, il passo è stato breve!

 

Ci sono altre iniziative all’orizzonte? Come prevedete che continuerà il progetto di PoveroVegano?
Rispondere a questa domanda non è troppo semplice, in parte perché ci sono delle situazioni “work-in-progress” che non sappiamo bene che direzione prenderanno e in parte per scaramanzia siamo abituati a non dire niente finché non c’è qualcosa di sicuro. Per adesso continuiamo a cucinare e mandare avanti il blog cercando nuove e divertenti soluzioni per le ricette. Allo stesso tempo stiamo pensando ad una possibile nuova pubblicazione, dato il buon successo del primo libro, con contenuti diversi; vediamo dove ci porterà questa estate!

“Che storia, la Bari”: racconti popolari di calcio e società.

Che storia, La BariDalila Sansone
AREZZO – Se qualcuno mi avesse chiesto un’opinione sul calcio qualche mese fa, all’inizio di una primavera stentata e piena di incertezze, avrei risposto con la solita frase: ventidue tizi in mutandoni e antiestetici calzettoni che rincorrono una palla; inconcepibile seguirli per 90 minuti! Poi ti devi ricredere e in un bar di semiperiferia lontano, lontano dalla città di cui una squadra porta il nome, scoprire che dentro le scarpe, sotto quegli orribili calzettoni ci sta un sogno, ci stanno le cose in cui credi, che a volte ti ripeti e non avresti mai pensato possibile ritrovare proprio lì. “Che storia, la Bari” (GelsoRosso 2014, a cura di Mirko Cafaro e Cristiano Carriero) è un libricino piccino, rosso vivo che pulsa esattamente come un cuore che batte. 25 racconti di gente comune, tifosi e meno tifosi, gente che LA Bari la conosce da sempre o ci si è imbattuta per caso, o di cui si è accorta dentro le lacrime della persona che ama in un fredda sera d’inverno e di delusioni. Nasce da un’idea di baresi fino al midollo, perché la stagione 2013/2014 non potevi non raccontarla: dal rischio retrocessione all’autofallimento, dagli stadi vuoti ai 50800 nella trasferta ad un soffio dai playoff (si ho imparato persino cosa sono i playoff). La Bari (perché non basta iniziare ad ascoltare on air Radio Puglia ma devi imparare pure che gli aggettivi si usano con cognizione di appartenenza) quest’inverno era un’anonima squadra di serie B, pochissimi fedelissimi ancora sulle gradinate, gli altri, in polemica con la proprietà, invece lo stadio lo avevano abbandonato da tempo; in quelle asettiche giornate di campionato, dagli spalti degli stadi vuoti, sembrava solo una storia stagnante senza futuro. Fino alla resa del “nemico”: la proprietà dichiara fallimento, è il 9 Marzo. La squadra: poco più che ragazzi, soli senza stipendio e prospettive. Bari: una città che si riscopre popolo e si riappropria della sua squadra. E’ un’alchimia che riempie lo stadio e i ragazzi scelgono di mettere il cuore dentro le scarpe, si come Nino che stavolta non avrà nessuna paura di tirare un calcio di rigore…no, loro non hanno paura, loro hanno coraggio e hanno dignità e vincono, vincono, rimontano la classifica. Bari–Cittadella 40.000 spettatori al San Nicola, lo stadio progettato da Renzo Piano con l’erba a chiazze e le coperture fatiscenti, lì giù, si al sud, dove in mezzo al niente se un cuore batte tutto è possibile e se migliaia di cuori battono all’unisono i sogni spiazzano e travolgono la realtà. Mentre i palloni vanno in rete su e giù per l’Italia e gli stadi si colorano di bianco e rosso, due aste fallimentari vanno deserte, sul web impazza l’hastag #compralabari e la Bari rinasce, peccato le sfugga la sfida più importante, senza sconfitte sul campo e la beffa di un punto di penalità. Arriva il momento delle lacrime di tutti e sui volti puliti di giocatori così strani, senza agenti, che giocano passione e segnano per rispetto e gratitudine. Lì in mezzo trovi pure la storia di un bimbo arrivato a Bari, undici mesi, sulla nave dirottata in Albania, in quello che adesso sembra un lontano 1992. Lui adesso indossa un completo biancorosso e dentro quelle scarpe ci mette il cuore perché ai baresi glielo deve.
Ecco questo libro è un nocciolo puro di umanità visto attraverso gli occhi di gente diversa, ascoltato nelle parole di un commentatore radiofonico che ti lascia senza parole perché da tempo pensavi che giornalisti degni di questo nome ormai non ne esistessero più.
Io la mia Bari l’ho vissuta attraverso uno di quei figli del sud che si inventano una vita in giro per il mondo, con la valigia sempre pronta sotto un letto. Ho incrociato la sua strada e quella della sua squadra, io che ho sempre creduto che senza passione e entusiasmo nulla abbia davvero senso ma ho anche fatto l’errore di trascurarla questa verità. Seppure a volte il prezzo da pagare sia la delusione, nella vita come su un campo di calcio, aver vissuto amando, innamorandosi e credendo possibile sfiorare un sogno con impegno e determinazione, resta l’unica strada possibile per sentirsi vivi dentro favole imperfette come questa. Un piccolo regalo di pagine e ricordi ai tifosi e ai ragazzi della Bari e a tutte le persone che hanno un cuore un po’ bianco rosso pronto a giocarsi ancora, sempre, comunque la serie A. Di qualunque campionato.

Alla scoperta di Cuba drink to drink.

Alcune strade per CubaGiulio Gasperini
AOSTA – Quello che ci propone Alessandro Zarlatti è un appassionante viaggio attraverso Cuba drink to drink. Dal rum liscio invecchiato al mojito, dal guarapo al vino Soroa, “Alcune strade per Cuba” edito da Ouverture Edizioni ci fa esplorare una Cuba poco convenzionale, come la può conoscere solamente chi ci vive da anni, insegnando la lingua più bella del mondo, ovvero l’italiano.
Quindici racconti, che hanno come introduzione la descrizione spiritosa e anti convenzionale di drink e cocktail facilmente reperibili nell’isola caraibica, sono ambientati in una Cuba di strada, in un’isola che scontorna la geografia e si popola di anime, di caratteri, di persone. Diventa piuttosto uno stato d’animo, un groviglio di sentimenti e di situazioni insperate e inattese, che distorcono percezioni e sensazioni.
Sono racconti divertiti e divertenti, sorprendenti nell’andamento e nella trama, come “AA04583782”, che racconta le peripezie di una banconota attraverso le tante mani della tanta gente che il denaro lo fa circolare; oppure possono toccare momenti di grande dolore come nel caso di “Perros”, che racconta la piaga dei combattimenti tra cani. L’io narrante di volta in volta cambia prospettiva, modifica la sua visione, ci fa mettere sempre in gioco, rischiando anche personalmente nella ricerca ardita di qualcosa che potremmo riconoscere, per non essere in balia di situazioni ed eventi. È un narratore che non si stanca e non si demotiva, ma conosce la ricchezza delle storia che possiede e se ne diverte, spesso procedendo per sottrazione e non lasciando troppo in dono al lettore.
Attraverso le pagine le ispirazioni alcoliche paiono darci delle coordinate fantastiche, quasi i punti di un orientamento che può compiere infinite rotte per un approdo ultimo che sempre ritardiamo, perché sappiamo troppo definitivo. Un po’ come Costantino Kavafis raccomanda in “Itaca”: “Itaca ti ha dato il bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / sulla strada: che cos’altro ti aspetti?”.
Da Cuba ci si attende sempre molto perché Cuba è una terra che ha da sempre un fascino particolare. Una storia, una cronologia che l’hanno resa di volta in volta bandiera e capro espiatorio, diavolo e santo di opposte fazioni. La Cuba di Alessandro Zarlatti si libera un po’ del suo carico morale, delle sue responsabilità al cospetto del mondo e diventa luogo di curiose quotidianità, di divertenti tangenze. Un luogo che potrebbe anche, così, non esistere.

Cittadellarte: un esempio di valorizzazione d’arte.

Il Terzo ParadisoGiulio Gasperini
BIELLA – Biella è una città silenziosa. Accostata alle colline di una delle zone più accese, negli anni passati, per diritti sociali e lavorativi, Biella vive sui riflessi di un antico splendore: quello della lana e dei lanifici, costruiti sullo scorrere del torrente Cervo. Grandi archeologie industriali dominano il panorama, con quelle ciminiere che Carducci descrisse come “a l’opera fumanti”, ostentati fieramente da una città orgogliosa di sé e del lavoro.
Uno di questi luoghi silenziosi è il Lanificio Trombetta, del XIX secolo, che nel 1998 è stato recuperato con la creazione della Fondazione Pistoletto, manifestazione concreta del Manifesto Progetto Arte del 1994, col quale l’artista biellese Michelangelo Pistoletto sviluppò l’idea che l’arte dovesse avere anche un’impronta sociale, coinvolgendo l’artista anche in più settori, in una sorta di sinergia artistica e di materiali che possa amplificare la portata artistica e concettuale.
Cittadellarte è un progetto di grande portata, una sorta di laboratorio aperto a chiunque abbia energia creativa, tramite l’utilizzo e il lavoro di vari uffici, ognuno dei quali ha competenza di una specifica area sociale: dall’arte, all’educazione, dall’ecologia alla politica, dalla spiritualità alla moda e al nutrimento. Non si perde nessun contatto con nessun aspetto della socialità, cercando di lavorare e adoperarsi per “produrre un cambiamento etico e sostenibile, agendo sia su scala globale che locale”.
Biella vista da CittadellarteManifesto della ricerca (o almeno di una parte) artistica di Pistoletto è “Il Terzo Paradiso”, teorizzato in un libro edito da Marsilio Editori nel 2010, nel quale l’artista definisce che cosa intenda per “terzo paradiso”. Pistoletto pensò a un concetto e anche a un simbolo che potessero unire tutta la socialità, tutta l’umanità in un ideale condiviso e irrinunciabile. Declinato in varie forme, plasmato con diversi materiali, tracciato persino sulla piramide del Louvre in occasione della mostra dedicata al maestro, autore della celeberrima Venere degli stracci, nel 2013. Il simbolo del Terzo Paradiso unisce i due paradisi dell’umanità, uno più naturale e l’altro artificiale, cercando un compromesso possibile tra stato naturale e stato industriale, tra origine e sviluppo: “È un passaggio evolutivo nel quale l’intelligenza umana trova i modi per convivere con l’intelligenza della natura”. Alla base di tutto, la democrazia come fondamentale processo di sviluppo. Una democrazia che deve essere culturale, persino, dando a tutti la possibilità di contribuire coi propri talenti e le proprie ricchezze personali. Il percorso nel pensiero di Michelangelo Pistoletto, l’esplorazione delle sue varie declinazioni d’arte, l’interesse per l’arte povera, l’immergersi nel suo percorso artistico è un’avventura interessante e arricchente. Un’arte comunque supportata da un continuo intessersi di teorie e strutture di pensiero che conservano sempre, come fine ultimo, l’educazione anche sociale di tutti, indiscriminatamente e democraticamente.
Oggi, venerdì 11 luglio si inaugurerà la XVII edizione della rassegna annuale “Arte al centro di una trasformazione sociale responsabile”, con una serie di mostre, performance e incontri, tutti a ingresso libero. Il Lanificio, costruito a picco sul torrente Cervo, continua mutatis mutandis a servire gli abitanti di Biella e tutti gli attesissimi ospiti.