Silvia Notarangelo
Roma – È possibile mettersi in gioco, accettare nuove sfide in una età in cui il peso degli anni consiglierebbe il riposo e inviterebbe alla quiete? Sì, se si crede che i sogni non abbiano mai fine. E questo è ciò che dimostra Ted Simon con il suo Sognando Jupiter, edito da Elliot, diario di un viaggio da lui effettuato, ormai alla soglia dei settant’anni, seguendo lo stesso itinerario del suo giro del mondo del 1973.
Partire per mete uguali trent’anni dopo, con una moto BMW R80 GS, percorrendo quarantotto Paesi, sopravvivendo a due gravi incidenti, per osservare, documentare e comunicare agli altri “cosa era accaduto su quel percorso di centoventicinquemila chilometri che mi ero inventato negli anni settanta e soprattutto cercare di scoprire se riuscivo a ritrovare la persona che ero allora”, un uomo diventato mito per molti.
È questo il duplice scopo del viaggio del leggendario Jupiter nel 2001: un lungo percorso nella memoria di luoghi, incontri, sentimenti di ieri da confrontare con le emozioni scaturite dai nuovi vissuti di viaggio.
Con un racconto dal ritmo serrato, arricchito da minuziose descrizioni di ambienti, uomini cose, Ted Simon conduce i suoi lettori in Africa, in America Latina, in Australia, a Singapore, in India, in Turchia, coinvolgendoli e rendendoli partecipi delle sue riflessioni, delle sue impressioni ma anche dei pericoli incontrati in strade disagevoli, piene di buche, dei rischi corsi nel procedere affondando nel fango del Kenja o arrancando nella selva boliviana, delle difficoltà da superare alle frontiere per ottenere i visti.
Le trasformazioni che l’autore, durante il suo percorso, rileva nei luoghi e nei modi di vita sono molte e, talvolta, generano quella delusione che deriva dalla perdita di qualcosa, unita al rimpianto che “una sola cultura sia diventata così potente da rendere schiave le altre o costringerle a pagare un tributo, anche se quella cultura è la mia”. I cambiamenti sono evidenti anche negli amici ritrovati, invecchiati nel fisico, ma con un’immutata disponibilità all’accoglienza, a conferma “della grandezza del genere umano”.
Giunto al termine del suo itinerario, Ted Simon si congeda con la speranza che questo libro incoraggi a viaggiare, perché un viaggio non finisce ma continua nei ricordi, nella mente, nella ricchezza delle esperienze.