“Il libro della Shoah. Ogni bambino ha un nome…”

ROMA “La memoria è qualcosa di delicato, dunque, e non ci si può giocare sopra, pena il rischio di farsi male e di bruciarsi le ali […]”
Dal 2000, quando venne istituita dallo Stato italiano, ogni anno il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria. Ma come spiegare ai più piccoli che in questo giorno non si celebrano i morti e il ricordo delle sofferenze imposte bensì la vita e la storia? Nel difficile percorso che porta alla consapevolezza del passato ci accompagna “Il libro della Shoah. Ogni bambino ha un nome…” di Sarah Kamiski e Maria Teresa Milano pubblicato dalle Edizioni Sonda.

Un volume ricco e complesso sulla storia della Shoah e della Seconda Guerra Mondiale, un libro intenso che si offre come strumento per insegnanti ed educatori al fine di crescere le nuove generazioni alla tolleranza e alla consapevolezza del passato. “Il libro della Shoah” è diviso in tre parti: la prima parte dedicata alle Narrazioni di diversi autori, tra cui Lia Levi e il suo toccante racconto. Vissuti è la parte dedicata alla storiografia: foto, testimonianze e cronologie riportano al grande dramma del Novecento. L’ultima sezione, il Laboratorio, è dedicata ai lettori – grandi e piccoli – e alla loro voglia di confrontarsi e rielaborare le sezioni precedenti.  Cartine geografiche, glossario e tante tavole colorate completano un’opera che riassume in modo eccellente una drammatica fetta di Storia.

“Terremoto”: una toccante storia dei nostri giorni

Alessia Sità
ROMA
– “Ci fu un attimo di attesa. Ormai ci avevano fatto l’abitudine. Quella sarebbe stata un’altra scossa come le altre. Bastava restare calmi e aspettare che la terra smettesse di sussultare.”
La vita può cambiare o finire in una sola notte. A scoprire questa amara verità è la giovane protagonista di “Terremoto”, il romanzo di Ermanno Detti edito da Bohem Press Italia, nella collana Bohemracconta. La tranquilla e serena esistenza della vivace Marina viene sconvolta drammaticamente prima dalla scoperta di essere stata adottata, a pochi mesi dalla sua nascita, e poi da una devastante scossa di terremoto, che in pochi minuti distrugge completamente la sua amata città e la sua casa. Sfuggita miracolosamente alla catastrofe e ignara della sorte toccata a famiglia e amici, la piccola ragazzina inizia un lungo viaggio alla ricerca della propria identità e dei propri genitori biologici, di cui conserva un unico ricordo: un anello. L’incontro con due bizzarri personaggi, Bill e Betty, sarà fondamentale per la giovane, che gradualmente tenterà di riappropriarsi del futuro che le è stato strappato violentemente in una sola notte. Il desiderio di conoscere le proprie radici diventa il presupposto principale per poter ricominciare, per poter iniziare a costruire un domani, ma senza dimenticare il passato. “Il terremoto poteva tutto, ma non poteva togliere a Marina la possibilità di immaginare il suo futuro”. Con uno stile semplice e scorrevole, Ermanno Detti ci regala una toccante storia dei nostri giorni, riuscendo a riaccendere la speranza anche nei momenti più difficili, quando la disperazione e la paura sembrano prendere il sopravvento.

Vita romana- un tuffo nel quotidiano dei sette colli

Marianna Abbate
ROMA – Roma è un bel posto. Ve l’assicuro, e ve lo ho anche dimostrato in un’antica recensione di un’insolita guida romana. Ma in questo periodo autunnale, con l’arrivo del fresco e del profumo di castagne mi è venuta un po’ di nostalgia. Ho riesumato dalla libreria del mio fidanzato un vecchio libro di buon gossip storico, e carteggiando ho ripercorso i momenti salienti della sua gloriosa storia. Il testo in questione è “Vita romana” di Ugo Enrico Paoli pubblicato nella collana Oscar Saggi Mondadori. Continua

Dante stasera viene a cena

Agnese Cerronieditrice effequ_chronicalibri
ROMA
– Cosa si mangiava nel Medioevo? E perché? Cosa è rimasto di tutto ciò nell’alimentazione di oggi? La storia del cibo raccontata da Anna Pischedda in “Alighieri passatemi il sale. L’arte di mangiare nel MedioevoEdizioni Effequ, è una storia affascinante perché, come quella del pensiero, ricca di scoperte e di imprese anonime, ma non per questo meno importanti e meno appassionanti: nell’alimentazione l’atto più fisiologico e materiale diventa anche momento rivelatore di cultura e simbolismo. D

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“Cecilia. Comunità anarchica sperimentale”: storia di vita sociale.

Alessia Sità

ROMA – “Il nostro proposito non è stato l’esperimentazione utopistica di un ideale, ma lo studio sperimentale – e per quanto fosse possibile rigorosamente scientifico – delle attitudini umane”. Così Cardias parlava riferendosi al vero motivo che lo spinse a prendere parte alla singolare esperienza vissuta nella colonia Cecilia.

Era il 20 febbraio del 1890, quando un gruppo di pionieri salpava da Genova diretto in Brasile, per dar vita ad una colonia socialista sperimentale. Giovanni Rossi, noto anche con lo pseudonimo di “Cardias” racconta minuziosamente il tentativo di convivenza e connivenza comunitaria in “Cecilia. Comunità anarchica sperimentale”, opuscolo pubblicato da Ortica Editrice nella collana Le erbacce, nel maggio 2011.


Fra non poche difficoltà, legate alla scarsità di conoscenze in campo agricolo e alla mancanza delle strutture necessarie, si dipana la storia di questo gruppo di socialisti che decide di intraprendere uno stile di vita libero da vincoli legislativi, privo di organizzazione sociale, ma sostanzialmente basato sul rispetto reciproco. Nel suo puntuale racconto, Cardias si sofferma anche sull’analisi dell’amore libero, riportando l’esperienza diretta dell’unico episodio accaduto all’interno della colonia, e sull’emancipazione economica e affettiva della donna. Dopo poco più di tre anni, però, l’esperimento della Cecilia si conclude miseramente per diverse ragioni: il Governo brasiliano, il Clero e la terribile epidemia, causata dalle scarse condizioni igieniche, che costrinse la maggior parte delle persone a rientrare in Italia.
In questo libretto, Giovanni Rossi offre uno straordinario documento storico-sociale che invita a riflettere attentamente sull’essere umano e sulle sue capacità di riuscire a vivere civilmente, anche al di sopra delle regole che governano la società.


"Il segreto del castello di Milano", guida al Castello Sforzesco

ROMA – “Il punto di vista col quale ci siamo avvicinati allo studio e alla conoscenza del Castello Sforzesco, vero e proprio simbolo di Milano, è stato quello sotterraneo, terreno prediletto delle nostre indagini storiche e architettoniche.”

Queste le motivazioni che hanno spinto Giancarlo Padovan e Ippolito Edmondo Ferrario nella ricerca e scrittura de “Il segreto del castello di Milano”, una guida completa sul Castello Sforzesco pubblicata da Mursia. Il Castello di Porta Giovia, meglio conosciuto come Castello Sforzesco, è uno dei simboli della città di Milano e uno dei luoghi più amati dai milanesi.

Fu eretto grazie alla perizia e alla fatica di generazioni di muratori, carpentieri e scalpellini, diretti da figure di spicco nel campo dell”architettura quali Antonio Averlino detto Il Filarete, Leonardo da Vinci e Bartolomeo Gadio.Non tutti sanno però che esiste anche una parte nascosta: sono i sotterranei del Castello, un vero e proprio mondo sommerso tutto da scoprire, che conserva intatta la sua bellezza architettonica.
In queste pagine, un viaggio appassionante tra cunicoli, gallerie e casematte seguendo gli esploratori della S.C.A.M. (Speleologia Cavità Artificiali Milano) che per primi si sono calati sotto le mura della fortezza milanese.

“Una pallottola per Garibaldi. Dall’Aspromonte a Pisa e Livorno.” Un affresco inedito dell’Italia risorgimentale

Alessia Sità
ROMA – “Muoveva nazioni, improvvisava uomini, abbigliava l’Europa quel parvenu della politica, visionario scamiciato di rosso, corsaro delegittimato di ogni autorità, bulimico di insurrezioni e ipnotizzatore di folle.” Inizia così il racconto di “Una pallottola per Garibaldi. Dall’Aspromonte a Pisa e Livorno” di Paola Pisani Paganelli, pubblicato da Felici Editore nel 2011.
Attraverso un mosaico di volti, protagonisti di eventi e avvenimenti che hanno fatto la storia del nostro Bel Paese, si dipana il legame fra l’Unità d’Italia e una delle figure più note del nostro Risorgimento: Giuseppe Garibaldi. Nonostante sia stato detto e scritto molto sulle gesta militari dell’Eroe dei due mondi, Paola Pisani riesce comunque a darne un ritratto poco noto e sorprendente in ogni descrizione.

In modo particolare, l’autrice fa rivivere la storia del mitico Generale che, ferito alla gamba, giunge nella patriottica Pisa per curarsi. La splendida città sull’Arno “rinomata per la dolcezza dell’inverno, per i Lungarni baciati da un eterno sole di primavera”, considerata “scrigno d’arte, ospitale e cosmopolita” grazie al suo turismo culturale e terapeutico allo stesso tempo.
“Una pallottola per Garibaldi” ha il merito, non solo di offrire un affresco inedito dell’Italia risorgimentale (Sicilia, Torino, Roma, Calabria, La Spezia, Pisa, Livorno …) ma anche di raccontare l’impresa di un “Santo laico” attraverso la storia dei ‘piccoli’ personaggi.
Pagina dopo pagina, il lettore è sempre più conquistato dalla bellezza dei paesaggi e dagli innumerevoli aneddoti che segnarono il soggiorno pisano dell’instancabile condottiero italiano.

Partendo da fonti certe e con uno stile semplice, Paola Pisani ci regala un racconto fatto non solo di eventi, ma anche di epigrafi, obelischi e cimeli dedicati ad uno dei più grandi interpreti del nostra Storia.

"Italia Buon Paese", Clara e Gigi Padovani fanno un regalo all’Italia: ne raccontano la storia culinaria

Giulia Siena 

ROMA “Non solo una storia sociale della gastronomia nell’Italia unita, ma anche uno sguardo curioso e documentato sulla nostra memoria culinaria.” È questo lo scopo di Clara e Gigi Padovani in “Italia Buon Paese. Gusti, cibi e bevande in 150 anni di storia”. Il libro, pubblicato da Blu Edizioni, è un vero e proprio prontuario che percorre la storia d’Italia attraverso le tradizioni agroalimentari, le innovazioni culinarie e le ricette simbolo di ogni decenni trascorso. Mentre si cercava di dare unitarietà a una Nazione spossata dalle forti diversità linguistiche, culturali e sociali, l’Italia si è costruita a tavola. Sicuramente sono state e sono tante le differenze alimentari di ogni regione, ma la pasta, le conserve, i ristoranti e i grandi marchi sono quelli che poco a poco hanno creato la grande cucina degli ultimi tempi. Infatti, “negli anni Duemila, il crescente successo della cucina ha affiancato il primato della moda e del design di fine Novecento.” Ed è in quest’ultimo periodo – dalla fine degli anni Novanta –  che l’Italia, da Paese della buona cucina, è diventata la Nazione delle certificazioni alimentari di qualità: DOC, DOCG, IGP, DOP sono oggi sinonimo di innovazione, cultura e qualità. Ma il lavoro di “unificazione” alimentare è stato costruito sinergicamente sia negli anni di stenti che in quelli di crescita economica. Sicuramente, i primi anni della neonata Nazione furono i più difficili, ma con il tempo e con la diffusione dei mezzi di comunicazione, l’unificazione a tavola è stata quella più efficace. Infatti, con il boom economico negli anni Sessanta del Novecento arrivarono le pubblicità e i grandi marchi alimentari poterono puntare su una larga diffusione dei propri prodotti: Cinzano, Barilla, Cirio, Lavazza, San Pellegrino e molti altri divennero la prova della piccola “globalizzazione” all’italiana. Inoltre, i professionisti dell’arte culinaria furono  importanti per la diffusione e la crescita della cucina come “arte”; tra questi gli autori fanno un excursus ricordando Amedeo Pettini (capocuoco del Re e definito dagli autori chefstar ante litteram), Giovanni Vialardi (pasticciere della casa reale), Pellegrino Artusi, Nino Bergese, Peppino Cantarelli, Guido Alciati, Angelo Paracucchi, Gianluigi Morini, Gualtiero Marchesi, Ezio Santin, Alfonso Iaccarino e Mauro Uliassi. 
Così l'”Italia Buon Paese” festeggia i 150 di Unità nazionale partendo dalle tavole grazie alle quali la storia si è costruita e tramandata.

"Fare l’amore a Roma", tra guida e gossip storico

Marianna Abbate

Roma Perché, l’Amore frequenta forse altri posti? E’ anche possibile che sia così, ma nessuna storia profumerà d’eterno come quelle nate nell’Urbe. 
E questa tesi, semplicissima da dimostrare, aleggia su tutto il lavoro di Barbara Fabiani.
“Fare l’amore a Roma”, pubblicato da Infinito Edizioni, è a metà tra una guida e il gossip storico, che io amo tanto. Un modo divertente per conoscere i fatti e i luoghi della città che un tempo governava il Mondo intero. Si parte simbolicamente dal Ratto delle Sabine, fatto leggendariamente-storico, alle mondane vicende di papa-re e prostituzione.
Perché a Roma, anche il sesso più squallido sembra amore: ne ha il sapore, l’odore e l’aspetto.
Cominciamo così a seguire uno dei percorsi indicati dall’autrice e, accanto ai monumenti statici e silenziosi, scopriremo storie chiassose e sconvolgenti. Il tutto correlato da schede di approfondimento che permetteranno di capire, a chi non lo conosce già, lo spirito della Città.
Certo, se siete a Roma per la prima volta, fornitevi di una guida Planet e scarpe da ginnastica; ma se a Roma ci state tornando, portatevi il libro della Fabiani e indossate abiti eleganti. Due passi nelle serate estive di Roma e un tuffo nella storia dell’Amore.

“Brodo senza pollo”, da Giuntina un doloroso diario di vita

Alessia Sità
ROMA – Il dramma della Shoah, un rapporto madre-figlio tormentato e determinante, una continua ricerca di riscatto per un’esistenza ingiusta e dolorosa.
Partendo dalla propria esperienza personale, Frans Pointl in “Brodo senza pollo”, edito nel 2011 da Giuntina, nella collana Diaspora, ci offre una raccolta di racconti di vita sofferti, ma continuamente venati da una disperata ricerca di speranza e di riscatto. Fra ricordi, incontri, e fantasie necessarie per poter continuare a vivere, David Blumenthal ripercorre la propria esistenza, soffermandosi sulla tragedia dell’invasione tedesca dell’Olanda e le conseguenze che questa triste pagina di storia ebbe su ogni componente della propria famiglia.
Attraverso numerosi flashback, il protagonista ricostruisce la propria vita e la propria sofferenza, in cui resta centrale il dramma della madre, sopravvissuta ai campi di concentramento e mai più riavutasi da quella tragedia umana.
Un diario che viaggia nel tempo, in cui passato e presente si mescolano di continuo, delineando gradualmente un’amara vicenda individuale.
Lentamente, il lettore riesce ad inquadrare i singoli personaggi con tutti i loro trascorsi, le loro esasperazioni e i loro drastici cambiamenti.
Un senso di solitudine e di tristezza pervade ogni pagina. L’impossibilità di mettere la parola ‘fine’ ad un passato troppo doloroso è sempre presente.

Frans Pointl ci regala un racconto di vita sofferto, ma abbastanza lucido nel ricordo della ormai lontana tradizione ebraica e nella descrizione di una società indifferente ed egoista