Stefano Billi
Roma – Talvolta, nella vita di ognuno, capita di trovarsi di fronte a quei momenti difficili in cui verrebbe voglia di lasciare la propria esistenza per costruirsene una nuova.
Dare un taglio netto a ciò che si è per dar luce ad un nuovo io, che si caratterizzi per non avere problemi né preoccupazioni di alcun genere. Ed ecco allora che si ricorre a viaggi con un solo biglietto di andata per mete tropicali, meglio ancora se atolli sconosciuti, dove una misera somma che qui in Italia servirebbe solo a sopravvivere, là può costituire un vero e proprio patrimonio.
In realtà, l’ideale di rifarsi una vita accantonando la propria identità precedente, specie se sommersa da innumerevoli fastidi terreni, non è poi così invitante come sembra.
A ricordarcelo è “Il fu Mattia Pascal”, un appassionante romanzo di Luigi Pirandello pubblicato per la prima volta nel 1904 a puntate sulla rivista “Nuova Antologia” che, sebbene risalga alla prima decade dello scorso secolo, rivela una modernità sorprendente.
La trama del racconto può agevolmente riassumersi nel tentativo del protagonista, Mattia Pascal, di fuggire dalla propria esistenza problematica e irta di difficoltà.
Oppresso da un matrimonio ormai fallimentare, da debiti che incombono sul suo capo come una spada di Damocle, il Pascal scappa dalla sua terra, la Sicilia, sino ad arrivare a Montecarlo: il grimaldello all’evasione da un mondo che gli offre solo asfittiche prospettive sarà una lauta vincita al gioco d’azzardo, che, apparentemente, gli avrebbe permesso di risolvere tutti i suoi guai. Tuttavia, un destino beffardo lo porta a scoprire che, durante la sua assenza, egli è stato creduto morto, e perciò tale condizione di defunto lo porta a doversi ricostruire una nuova vita. Prende forma così Adriano Meis, un homo novus che nasce per sostituire lo sciagurato Mattia Pascal, ma che in realtà si dimostra essere una fragile maschera di cartapesta.
Adriano Meis, infatti, sebbene costituisca la chance per Mattia Pascal di riscattarsi dalla sua esistenza, sarà sempre una finzione, e come tale perciò non troverà corrispondenza alcuna nel mondo reale. Meis non esiste, se non nella dimensione inventata dal Pascal. Allora, a poco a poco, il protagonista comprende come questa sua invenzione debba addivenire ad una conclusione, e perciò anche l’identità – questa sì, irreale – del Meis viene abbandonata, per ritornare nei panni di Mattia Pascal.
Purtroppo però questa nuova immedesimazione nella propria vita originaria non può ristabilire lo status quo precedente alla fuga monegasca, e così il personaggio chiave della vicenda si trova costretto a far ritorno in una terra dove ormai, per gli altri abitanti, lui è solo un defunto.
L’opera pirandelliana è tutta protesa alla divulgazione del messaggio inerente la struttura ontologica dell’uomo, la cui identità consiste nell’attribuzione di un ruolo, che ad ognuno viene assegnato dal contesto sociale in cui ci si trova a vivere.
Ognuno è un figurante, in scena quotidianamente sul proprio palcoscenico: oltre il sipario, lontano dai riflettori e dalla propria parte da recitare, c’è la perdita di se stessi e l’allontanamento irreversibile dal proprio io.
“Il fu Mattia Pascal” è un libro irrinunciabile proprio perché ci dimostra che occorre essere ciò che si è chiamati ad essere, non soltanto ciò che si vorrebbe apparire.