"Cortile a Cleopatra", un’amara fiaba moderna

Giulio Gasperini

ROMA – Le fiabe, ai nostri giorni, non principiano più con C’era una volta… Colpa della globalizzazione, forse; colpa della modernità che macina i giorni uno dopo l’altro, e li tritura, li frantuma, li mastica senza lasciarne altro che polvere e vaghi ricordi. Il caro e vecchio “c’era una volta” ha perso il suo fascino discreto, il suo potere evocativo.
Non per questo, però, le fiabe si son estinte: pur pagando un grave tributo, han cercato, anche loro, di adattarsi al nuovo ambiente, d’evolversi, e in un certo qual modo son riuscite a sopravvivere. Grande scrittrice di fiabe moderne fu Fausta Cialente, soprattutto in quel che si considera il suo capolavoro, “Cortile a Cleopatra”, edito per la prima volta nel 1936, dall’Editore Corticelli di Roma, accolto da un gran successo di critica e pubblico, e poi irrimediabilmente perduto nell’oblio editoriale (oggi, forse, rintracciabile, di un’edizione, non molto datata ma ugualmente difficilmente reperibile, di Baldini Castoldi & Dalai editore).
Le avventure di Marco, figliol prodigo che torna, dopo anni, dalla madre, la secca greca dal nome divino, Crissanti, s’avvicendano sullo scenario del cortile a Cleopatra, un quartiere di Alessandria d’Egitto. Le case che vi affacciano sono fatiscenti ma i personaggi, al contrario, son affascinanti: dànno vita a una magia collettiva, a un comunismo umanitario che ha antichi sapori, antichi legami oramai persi, di microsocietà cittadine oggi estinte. Personaggi dai nomi evocatori di luoghi remoti, esotici, profumati di spezie, odorosi di legni pregiati. Haiganúsh, Polissena, Abramino, Eva e tutti gli altri, così familiarmente introdotti nella narrazione della Cialente, come se già li conoscessimo da anni, come se fossero sempre stati, da qualche parte, nostri compagni d’avventura, orchestrano le loro storie toccandosi, ritrovandosi ogni sera sotto il fico che, immobile, al centro del cortile, guarda come un dio distante i destini allacciarsi e spezzarsi. Ci sono greci ortodossi, levantini dalla multiculturale identità, italiani dalla parlata storpiata, armeni abili nei commerci ed ebrei raminghi: tutto un mondo dentro un cortile, tutta una vita corale dallo scomporsi delle diverse singole vite. Sapiente tessitrice, la Cialente è anche un abile burattinaio: ogni personaggio è legato saldamente alle sue dita che scorrono veloci nella narrazione, senza mai un inciampo o un’esitazione, edificando una coralità che è tale sia nelle esultanze che nei gemiti di sofferenza.
Marco sarà costretto a scegliere tra due donne, due promesse di diverse vite: la ricca Dinah e la più ribelle Kikí ma la sua risoluzione finale porterà la sciagura su tutto il cortile e sui suoi abitanti, travolgendo tutti nella catastrofe. Perché tutte le fiabe, nella realtà, si convertono in dolore.

Il precariato? Non è un problema: "Cento lavori orrendi. Storie infernali dal mondo del lavoro"

Marianna Abbate

ROMA – Vi è mai capitato di chiedervi chi sia il poveretto che lava le lenzuola dell’ospedale? O di immaginare quanto debba essere brutto dover buttare via gli avanzi dai piatti di un ristorante? O peggio, vi è mai capitato di farlo? Non lamentatevi, questi non sono di certo i lavori peggiori. “Cento lavori orrendi. Storie infernali dal mondo del lavoro”, edito da Einaudi, vi catapulterà in una dimensione parallela, dove incontrerete chi analizza le vostre urine, chi confeziona il latte scremato e chi buca le torte.
Scoprirete chi toglie le patatine ammuffite dai pacchetti del bar e chi seleziona soltanto le pillole rotonde per le vostre scatole di medicinali. E neanche i lavori che vi sembravano utili, interessanti e stimolanti lo saranno più. Siete un giornalista? Provate a convincere il vostro capo che i Nirvana non si ispirano agli Abba. Dirigete una televisione locale? Scoprirete che il vostro lavoro consiste perlopiù nel vendere spazi pubblicitari. E non potrete mai stare tranquilli, perché per quanto orrendo possa essere il vostro lavoro, c’è sempre qualcuno più disperato di voi, pronto a soffiarvi il posto.

Tutta fantasia, direte, l’autore mangiava pesante la sera. Eh no, è, purtroppo, la triste realtà. Le testimonianze sono state raccolte per anni da una rivista inglese che aveva dedicato una rubrica al tema. Ogni lavoro è classificato tenendo conto di sei fattori che lo rendono orribile, e cioè quanto esso sia pericoloso, inutile, alienante, umiliante, immorale o disgustoso. Per rendere il tutto ancora più interessante, ogni lavoratore ha indicato la paga percepita, che quasi mai giustifica il trattamento ricevuto.
Cento lavori orrendi non smetterà di stupirvi fino all’ultima pagina, vi farà riflettere sulla follia del genere umano e vi farà ridere con la sua sconcertante attualità.

Cento lavori orrendi. Storie infernali dal mondo del lavoro, D. Kieran a cura di, Einaudi, 178 p., € 11.

“La cucina di Amélie” un libro di ricette racconta le passioni culinarie di Amélie Nothomb

Giulia Siena
ROMA – Cucina e sentimenti, aneddoti e abitudini si mescolano alla fantasia e ai ricordi di Juliette Nothomb. Lei è la sorella minore di una grandeautrice, Amélie Nothomb e raccoglie in un ricettario sui generis i piatti che elabora e rielabora per la star di casa. Pubblicato dalla Voland Edizioni, “La cucina di Amélie” (traduzione di Elena Corsi) racconta attraverso 80 ricette sopraffine l’amore di Juliette per sua sorella. L’autrice ha redatto un personalissimo ricettario che dalle salse ai gelati, dal té darjeeling alle zucchine, asseconda,”viziandolo”, il personalissimo gusto dell’autrice belga.
Infatti Amélie, già popolare scrittrice del libro “Biografia della fame”, è una commensale attenta e sempre disposta alle sperimentazioni culinarie che sua sorella ama propinarle. Con il gusto ironico (vignette e disegni che accompagnano e intervallano le ricette) e malinconico (ricordi dell’infanzia) che emerge lungo tutto il libro, Juliette Nothomb ci racconta un personaggio “casalingo”, in un quadro pieno di affetto e gioia di condivisione.
“La cucina di Amélie” conserva quel gusto per le cose fatte in casa grazie ai nomi in lingua originale di alcune ricette, ma, allo stesso tempo, appare un libro di ricette dal respiro internazionale perché ogni ricetta è legata a un luogo e a nuove sperimentazioni.

"Gli gnomi mangioni": Kellermann Editore si racconta ‘a tavola con i bambini’

Bambini in cucina, Gli gnomi mangioni
Giulia Siena
ROMA – I bambini e l’alimentazione: un tema sempre più dibattuto e di attualità. Come spiegare i principi della sana alimentazione? Come far capire ai piccoli consumatori quali prodotti scegliere al supermerato? Come trasmettere loro la gioia e la bellezza del cucinare insieme? “Gli gnomi mangioni”, curato da Lina Spinazzè (cuoca nelle scuole materne) e pubblicato dalla Kellermann Editore, è un quaderno di ricette per bambini adatte a ogni età.
In questo divertente volume si spiega perché la corretta alimentazione”consente di mantenere nel tempo la migliore condizione di salute” e, soprattutto, che la corretta alimentazione va imparata. E per farlo? Il metodo migliore è sicuramente entrare in cucina con i bambini e insegnare loro l’importanza di veder creato il pasto con le proprie mani.
“Gli gnomi mangioni. A tavola con i bambini” fornisce molte ricette gustose e semplici, ricche di fibre e vitamine proprio perché l’alimentazione nell’infanzia deve essere il più possibile controllata, favorendo una giusta distribuzione dei pasti e un’alta qualità degli alimenti. Invogliare il bambino nella preparazione delle pietanze è senza dubbio stimolante per la naturale creatività del bambino e un ottimo incentivo a mangiare qualsiasi alimento. In questo modo gli ortaggi prendono forme divertenti, le verdure si mescolano ai colori del piatto, le minestre sono piccole “pozioni magiche” e le vitamine si raccolgono nel cucchiaio del piccolo commensale per aiutarlo, naturalmente, a crescere.

Leggi anche l’intervista all’editore:
Intervista a Roberto Da Re Giustiniani, editore Kellermann

“A casa di Jo”: Francesca Barra in cucina con femminilità e fantasia

Giulia Siena
ROMA – Prendete una grossa manciata di fantasia, unitela a una buona dose di ricordi, aggiungete due cucchiai di amore, un bicchiere di allegria e impastate tutto con grande femminilità. Aspettate il tempo di circa centocinquanta pagine e il risultato sarà “A casa di Jo. Piatti e ricette della mia cucina”. Colei che sperimenta, cucina e racconta è Francesca Barra, professionista curiosa della comunicazione (giornalista, conduttrice radio e tv, scrittrice) nata a Policoro, in Basilicata circa trent’anni fa.

“A casa di Jo”, pubblicato dalla Aliberti Editore, è il frutto di “antiche” osservazioni dell’autrice nelle cucine delle nonne in Calabria ed Emilia Romagna e di sperimentazioni nella propria cucina romana. Senza troppi vincoli di bilance e grammi, in “A casa di Jo” Francesca Barra racconta i piatti della sua infanzia, le pietanze della propria terra, la sua esperienza tra i fornelli per gli amici e la famiglia. Sono ricette modellate per le occasioni e le esigenze, piatti “lenti” che richiedono dedizione e cibi d’improvvisazione per imprevisti a tavola.
Dai piatti dedicati ai bambini a quelli della mamma, dalla cucina pergli ospiti alle ricette delle “star”, “A casa di Jo”racchiude consigli e aneddoti di una cucina che è convivialità, fatta con amore.

“Non c’è posto al mondo che io non ami più della cucina. Non importa dove si trova, come è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene”. Banana Yoshimoto in “Kitchen”

Leggi anche l’intervista a Francesca Barra:
intervista a FRANCESCA BARRA