ROMA – Un mosaico di volti, parole e immagini è racchiuso nelle pagine di “Mannaggia Santa Pupa”, il libro che segna l’esordio in libreria di Danilo Siciliano, pubblicato da Lupo Editore. Guidato da un costante senso di nostalgia per un passato ormai lontano, sia da un punto di vista concettuale che temporale, il protagonista si abbandona lentamente ai ricordi dell’infanzia trascorsa nella “metropoli delle angurie”. A fare da sfondo al continuo avvicendarsi di pensieri e di stati d’animo, non sono solo i profumi e le atmosfere del Salento, ma sono soprattutto i mitici anni ’80. Ogni singolo personaggio – dalla cara suor Realina, alla generosa Maddalena al tanto atteso gelataio Nino – diventa il custode prezioso di un ‘attimo’ di vita assaporato con la serenità che solo l’ingenuità dell’infanzia riesce a regalare. “Mannaggia Santa Pupa” non è solo una simpatica espressione usata come sfogo, quando ci si rende conto di non aver saputo cogliere le tante occasioni che la vita ci ha offerto, ma è una presa di coscienza lucida che avviene quando si realizza di aver mancato un appuntamento importante con se stessi. Con una scrittura lineare, a tratti anche ironica, Danilo Siciliano sceglie di condividere alcune istantanee legate alla sua memoria: dalle giornate all’asilo, alle tante estati trascorse in compagnia dei nonni a Mondonuovo, alle esilaranti partite di calcio o alla salsa fatta in casa.
Chi si lascia trasportare dalle suggestive pagine del libro inevitabilmente si ritroverà a vivere pienamente le stesse emozioni provate dall’autore. Con grande spontaneità, Danilo Siciliano conduce il lettore in una sorta di viaggio nel tempo, guidandolo gradualmente nel “Paese di una terra magnifica e insopportabile, dove pullulano i cervelli di cemento armato e dove i vecchi materassi si buttano sui cigli delle strade di campagna. Una terra che è un caffè sospeso.”
Categoria: recensioni
“…Ed era colma di felicità”, la storia di Rosalba è una storia di non solo amore
Giulia Siena
ROMA – “La scrittura, innanzitutto, perché è un’ancora di salvezza. Non sarà forse vero che negli occhi di chi scrive passa tutto il dolore del mondo? Perché scrivere è un atto di coraggio, testimonianza di cuore e di amore per la vita, una scelta che può liberarci dalle contingenze, elevandoci al di là delle sofferenze e dei dispiaceri più o meno immediati che siano”. La scrittura è una delle passioni di Rosalba Guerrera; la scrittura riesce ad appagarla, la spinge a dimenticare le sofferenze passate, la stimola a cercare il meglio e a dare il meglio di se stessa, in tutto quello che fa. Rosalba è giovane, è siciliana, è appassionata ed è la protagonista di “…Ed era colma di felicità”, il romanzo di Paola Liotta pubblicato da Armando Siciliano Editore.
La passione di Rosalba è la vita e tutto quello che comporta: amore, arte, affetti, competizione e sfide, ma spesso Rosalba si trova quasi impigliata nella sua rigidità caratteriale, anche quando le situazioni andrebbero prese di petto, come quella con Ruggero. Il fascino di questo uomo a tratti arrogante, rappresenta per Rosalba l’amore. Un amore fatto di dedizione e donazione, un sentimento avvolgente e quasi cieco, anche quando gli avvenimenti porteranno Rosalba a scegliere, perché, dall’altra parte, c’è un altro amore: quello per il suo lavoro all’Università, fatto di studio e ricerca. Il suo senso di responsabilità, infatti, insieme a una sensibilità innata, fanno spesso soffrire la protagonista della Liotta, rendono questa creatura fragile e quasi ingenua. A soccorrerla, però, arriva la Due. Rosalba Due è una figura che è una trovata narrativa semplice e sagace per dare verve a questa storia fatta di realismo e sogni. Il realismo è rappresentato da una perdita troppo grande da dimenticare, perché quando Isabella è venuta a mancare Rosalba era troppo piccola per immagazzinare tutto l’amore per affrontare il futuro; un amore sbagliato – quello per Ruggero – perché l’uomo la deluderà spesso e poi un neo sconnesso cresciuto sulla sua pelle come una minaccia. Dall’altra parte, però, ci sono i sogni: le sue ricerche su Jean Giono, il suo lavoro pieno di stimoli e Dario.
“…Ed era colma di felicità”, il romanzo di Paola Liotta, intreccia vari aspetti della quotidianità, affermandosi come un inno alla vita attraverso la scrittura.
“Manuale di cucina sentimentale”, la vita è una ricetta che non ti aspetti
Giulia Siena
ROMA – “Quei venerdì erano qualcosa di più di una semplice cena tra amiche a parlare di tizi carini, fidanzati immaginari, capi insopportabili, lavori precari, sesso insoddisfacente, dipendenza da social network, chili da perdere e colpi di testa: era l’idea che in un periodo storico di inquietudine e incertezza, in cui la precarietà lavorativa e sentimentale ci costringeva ad aggiornare i nostri sogni e a non prenderci troppo sul serio, gli unici punti fermi che avevamo erano l’amicizia e una cena da condividere con chi la sapesse apprezzare”. Tessa, Agata e Cecilia si incontrano ogni venerdì sera. Il loro è quasi un rito, un appuntamento al quale non si può rinunciare: ogni settimana, a turno, si mettono attorno a un tavolo imbandito, si spogliano dei propri orpelli sociali e assaporano il gusto e la piacevole complessità delle chiacchiere. Ogni venerdì di ogni settimana, nonostante tutto. Il tutto per Tessa, “foodblogger imprigionata nel corpo di un avvocato”, era un fidanzato QuantoBasta, un lavoro alquanto frustrante e una madre che le ripeteva “E adesso? Te lo avevo detto!”; ma la sua unica, vera e grande passione era la cucina, anche se spesso si lasciava imprigionare dalla ricerca della ricetta perfetta. Il “tutto il resto” di Agata, “una giornalista di moda sovrappeso con l’ossessione per la dieta” era spalmato durante la settimana, quando, vestiti i panni di una milanese fashion writing scriveva di diete, bellezza e tendenze. Per Cecilia “una bio-donna integralista del km zero”, il resto era rappresentato dalla lotta ai pesticidi e agli OGM, mentre passava il tempo ad accudire Romeo, un panetto di pasta madre che si portava dietro dalla fine della storia con Gaspare.
Le vite di queste giovani donne così diverse si incrociavano ogni venerdì sera; mano mano che i mesi passano e i venerdì si alternano, le loro vite cambiano, prendono direzioni differenti, inaspettate e sorprendenti. Le nostre tre donne devono scontrarsi con la vita che, fuori dalle mura domestiche, continua sagace a cambiare le carte in tavola.
E loro devono crescere, improvvisando la ricetta della propria esistenza.
Questo – e molto altro – è “Manuale di cucina sentimentale”, il primo romanzo di Martina Liverani, giornalista e foodblogger già autrice di “10 ottimi motivi per non cominciare una dieta” (Laurana). Pubblicato da Baldini&Castoldi, il nuovo libro della Liverani è un romanzo piacevole e divertente, un racconto immediato e veritiero (tranne la possibilità di riuscire a trovarsi lo stesso giorno della settimana di qualsiasi mese) della società attuale. L’autrice fa del cibo uno strumento comunicativo: ci si confronta attraverso il cibo, si parla attraverso il cibo e lei stessa parla attraverso il cibo; infatti, usa il cibo – tema tanto inflazionato in questo periodo – per parlare di una generazione, quella dei trentenni, sempre alla ricerca della felicità.
“Manuale di cucina sentimentale. Penso che la cucina abbia molto da insegnare, ed è una specie di metafora della vita- Come si cucina un arrosto o una torta fatta in casa, così si cucina la vita. Fateci caso, le regole della cucina valgono anche per la vita e per i sentimenti”.
“Ecocentrica”, il benessere del Pianeta dipende da noi
Giulia Siena
ROMA – “Sono diventata ecocentrica, ho scelto, cioè, di porre l’ecologia al centro della mia vita, consapevole che dal benessere del pianeta dipenda il mio. Di fronte al bivio cerco di scegliere sempre il meglio per l’ambiente, godendo di una qualità di vita non solo ottima ma persino più salutare e risparmiosa”. Inizia con questi intenti “Ecocentrica. Facili consigli per vivere felici aiutando il nostro pianeta”, il libro di Tessa Gelisio pubblicato da Giunti nella collana Variamente.
La giornalista e conduttrice tv – da sempre interessata alle tematiche ambientali – con la collaborazione della naturalista Emanuela Busà e del biologo Edgardo Fiorillo dell’associazione forPlanet, ci porta a capire quali sono le piccole grandi battaglie che l’uomo deve combattere ogni giorno per la preservazione del proprio benessere sulla Terra.
Ogni giorno la nostra vita tra le pareti domestiche e il luogo di lavoro mette a dura prova l’equilibrio ambientale del Pianeta: inquinamento, desertificazione, cambiamenti climatici ed esaurimento delle risorse di prima necessità sono il risultato di decenni di consumismo. Con “Ecocentrica” si dimostra, invece, che si può passare senza fatica dal “consumare meno” al “consumare meglio”. Orientare all’ecosostenibilità, infatti, le scelte quotidiane è possibile e Tessa Gelisio spiega come riuscirci in modo naturale e senza stress. Partendo dalle scelte per la nostra casa (arredamenti, prodotti per la pulizia e un corretto modo di riciclare) o per il nostro corpo (bellezza e make up), il libro ci fornisce utili informazioni che si nascondono nelle etichette dei prodotti per scoprire che con un po’ di inventiva e buona volontà possiamo trovare la nostra ricetta per la sostenibilità.
“Requiem per D. Chisciotte”: Dennis McShade dalla parte del killer
Giorgia Sbuelz
ROMA – “Requiem per D. Chisciotte” è un romanzo noir del 1967, di Dennis McShade, pseudonimo dell’autore portoghese Dinis Machado, edito per la prima volta in italiano da Voland, che ha come protagonista Peter Maynard, un assassino di professione.
Maynard utilizza una sua personale filosofia per portare a termine gli incarichi: non si accontenta di essere un mero sicario, segue scrupolosamente un personale “codice etico”, se così si può definire, rintracciando le ragioni che si celano dietro ogni richiesta di uccisione, quasi a renderla un atto giusto.
Maynard vuole conoscere sempre “chi” deve uccidere, per questo il compito che gli è stato affidato stavolta gli sembra inammissibile: eliminare il magnate della finanza Big Shelley senza permettersi obiezioni e col divieto di raccogliere qualsiasi tipo di informazione. Il Sindacato del crimine, che lo ha assoldato sotto ricatto, è stato chiaro in merito: nessuna domanda. Ma Maynard, conosciuto anche come il Califfo, non ci sta. Lui, che per raccogliere le idee nei momenti critici legge l’Ulisse di Joyce… come può uccidere un uomo di cui non conosce la storia, e che per giunta porta il nome di un grande poeta inglese? Sa che si metterà nei guai, non si possono contraddire gli ordini del Sindacato, tuttavia non vuole nemmeno sottostare ai diktat dei suoi mandanti. Il Califfo non vuole invischiarsi in alcuna organizzazione, il Califfo non vuole padroni, per questo i suoi nemici sono numerosi e spesso nascosti.
Per alleviare la tensione a cui è sottoposto ascolta musica classica: Cajkovskij, Sibelius, Borodin… trangugia litri di latte per calmare la sua ulcera che si accende come una spia a sottolineare i passaggi della sua esistenza in cui frequentemente si perde, inseguendo le ombre della sua intensa attività cerebrale. Si ritrova sovente a fare a pugni con la propria coscienza, che rimane pur sempre la coscienza di un killer, ma non si presenta mai in disordine all’appuntamento con la sua vittima: sceglie con cura l’abito, si sistema la fondina sotto l’ascella e cambia la cravatta se è il caso.
Un professionista stimato, dunque, ma che spaventa per la sua troppa autonomia. Caricato su un’auto viene picchiato a sangue come avvertimento: non può permettersi di tergiversare indagando sulla vita di Big Shelley, gli ordini sono chiari. Ma chi si nasconde dietro il suo pestaggio? È davvero un monito del Sindacato? Quel che risulta chiaro è che nulla è come appare, anzi, può persino capitare che un assassino incaricato di uccidere un malavitoso, trovandosi faccia a faccia con lui, cominci a discutere di letteratura:
“– Penso che il Don Chisciotte sia la vittoria dello spirito sulla materia. È l’elogio della pazzia – disse.
– E già – risposi. – Ma l’aspetto lirico della pazzia.
– È bello.
– È una delle opere più importanti scritte fino a oggi. Dentro ci sono i nostri mulini a vento, il mio, il suo quelli di tutti.”
Peter Maynard è infatti un chiaro riferimento dell’autore a Pierre Ménard, il protagonista del racconto di Borges, che aveva come ambizione quella di riscrivere il Don Chisciotte nel ventesimo secolo. A Maynard è dedicata un’intera trilogia che comprende La mano destra del diavolo e Mulher e Arma, tutti firmati da Machado come Dennis McShade. Lo pseudonimo era d’obbligo, così come l’ambientazione americana, per sfuggire alla forte censura perpetrata all’epoca in Portogallo. Eppure negli scenari cupi, fatti di bische e gangster incravattati, nelle claustrofobiche strade buie e nei pensieri dello stesso Califfo, è possibile percepire quell’atmosfera… è anche possibile simpatizzare per l’assassino, se l’assassino si presenta come un narcisista sovversivo che difende la propria libertà onorando i “contratti” meticolosamente.
Uno spietato filosofo il nostro Maynard, che abbellisce il cinismo della propria vita con la pura poesia. Machado offre in questo modo delle personali visioni, che diventano la sua suggestione narrativa, brillantemente rappresentata nei dialoghi tra i protagonisti:
“ – Raccontami, Maynard. A che cosa pensi?
Sorrisi con gli occhi chiusi.
– A Ravel.
Lei scosse la testa.
– Sei pazzo, Maynard. Dimmi.
– A Ravel, signorina. Sto riducendo tutto ciò che penso all’espressione più semplice. Ravel ha ragione. Ha fatto il Bolero con un’incessante ripetizione di note, cambia solo il movimento.
– E quindi?
– E quindi è come la vita. – Dissi e aprii gli occhi. – Le note sono sempre le stesse. Solo i movimenti cambiano. Il resto è un problema di orchestrazione.”
Via del Vento pubblica “L’inizio e la fine”, lo sguardo spietato di Irène Némirovsky
Giulia Siena
ROMA – “E’ vero mi ero augurato ancora il dominio sugli uomini… La vita ci offre spesso la caricatura dei nostri sogni”. Eppure il procuratore Deprez non aveva mai osato sognare molto: già a vent’anni si era augurato di “avere per tutta la vita una camera imbiancata a calce e un letto in ferro” senza pretese di ricchezza e accontentandosi del futuro, pur vivendo una mezza povertà. Ora gli sta venendo meno anche il suo unico e incessante pensiero, l’avvenire. Da qualche giorno sa che non ha più molto tempo davanti a se. Il suo tempo verrà consumato presto da una malattia. Vorace e veloce. Il tempo, allora, da amico mansueto del procuratore si fa ricatto: lui, un uomo piccolo e gracile che negli anni ha acquisito sicurezza, forza e salute nell’indossare la sua toga rossa, dovrà decidere del tempo di un altro uomo; lui che di tempo ne ha ormai poco. Cosa fare mentre la debolezza incalza? Lasciarsi attorniare dal gioco beffardo oppure combattere il male altrui attraverso il proprio male?
Matematica, intensa e perfetta. Questa è la prosa di Irène Némirovsky ne “L’inizio e la fine”, il racconto pubblicato per la prima volta in Italia – a cura di Antonio Castronuovo – dalla casa editrice Via del Vento. “L’inizio e la fine”, apparso il 20 dicembre 1935 sul periodico parigino “Gringoire”, è solamente uno degli oltre cinquanta racconti che rappresentarono per l’autrice francese di origine russa un continuo e costante esercizio di eccelsa scrittura. In questo scritto, come nei suoi più famosi romanzi, la Némirovsky ci appare come un’osservatrice attenta e distaccata che utilizza la sua narrazione cristallina per farci entrare nel racconto da spettatori privilegiati.
Domani in libreria: “Venga pure la fine”, il nuovo romanzo di Roberto Riccardi
Giulia Siena
ROMA – “E adesso venga pure la fine, venga pure la notte. Sono pronto ad accoglierle. Venga pure un nuovo inizio, perché è solo quando tutto finisce che incomincia davvero qualcosa“.
Arriva in libreria domani, mercoledì 25 settembre 2013, “Venga pure la fine”, il nuovo romanzo di Roberto Riccardi pubblicato dalle Edizioni e/o nella collana Sabot/age, diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto. “Venga pure la fine” è un’invocazione, una presa di coscienza, un arrendersi, un donarsi, un abbandonarsi al dovere e a quello che sarà. “Venga pure la fine” è la nuova e inattesa indagine di Rocco Liguori, il tenente dei Carabinieri già protagonista di “Undercover. Niente è come sembra”.
Questa volta dovrà recarsi all’Aia a disposizione del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia. In quella terra ad Est lui c’è già stato, sette anni prima, nel bel mezzo di un conflitto fraticida che ha segnato la storia della Bosnia. Allora, anche se doveva rimanerne fuori per questioni politiche, Rocco Liguori aveva arrestato il macellaio di Gračanica, quel Milan Dragojevic colpevole della strage di Srebrenica e di altri eccidi in una terra costantemente lacerata dalle lotte. Dopo l’arresto tra loro cominciò un rapporto epistolare intenso, fatto di riflessioni e consapevolezza. Liguori ora deve tornare su quei passi, deve tornare in ex-Jugoslavia per indagare sul tentato suicidio di Dragojevic. Il colonnello, infatti, è in coma; probabilmente ha ingerito una massiccia dose di quei farmaci con i quali doveva combattere un nuovo nemico, la depressione. Ma la storia del tentato suicidio, per un uomo che ha procurato tanto male al suo stesso popolo, non regge. Il procuratore vuole che Liguori scopra di più. E Rocco lo fa, vorrebbe esimersi ma non può; vorrebbe anche evitare di tornare con la memoria e con gli occhi a quelle terre che sono state lo scenario della sua folgorazione per Jacqueline. Anni prima, infatti, proprio in Bosnia aveva incontrato questa “miscela di armonie silenziose che culminavano in un sorriso radioso e una voce cristallina”, una donna che gli aveva scombussolato i sensi e gli aveva dato buone idee per la cattura del colonnello. Ora lo scenario è cambiato, gli anni Novanta sono lontani, rimangono, però, gli antichi rancori nello sguardo risoluto di kosovari e bosniaci e l’indagine di Liguori prende, improvvisamente, rotte internazionali. La storia tiene dentro altre storie (magistrale il riferimento al libro di Elsa Morante) e viaggia velocemente su piani temporali diversi; il palcoscenico su cui si muovono i personaggi è un susseguirsi a velocità impressionate di città Europee: L’Aia, Sarajevo, Cracovia, Londra, Roma, come a ricordarci che la criminalità non risparmia niente, nessuno e in alcun luogo.
Roberto Riccardi – vincitore con “Undercover” della seconda edizione del Premio Letterario Mariano Romiti – firma un nuovo e avvincente romanzo, un libro in cui alla padronanza della materia si aggiungono sfumature e dettagli che solo un ottimo narratore può carpire.
“La vita non torna indietro a offrirti di correggere uno sbaglio. Lei è già altrove, a decidere per qualcun altro che, come te, si crede eterno ed è solo l’ennesimo granello nella polvere del tempo. La vita non torna indietro, non lo fece neppure quel giorno”.
Guarda QUI la video intervista a Roberto Riccardi realizzata con ItvRome.
“Il bacio del pane”: il nuovo romanzo di Carmine Abate
ROMA – “Quel giorno aveva imparato che si può essere cacciati di casa per troppo amore. E la partenza, qualsiasi partenza per forza, è una ferita che brucia a lungo o sempre, anche se non si vede”.
Carmine Abate, vincitore del Premio Campiello 2012, ritorna in libreria con un nuovo toccante romanzo: “Il bacio del pane” edito da Mondadori. A fare da sfondo all’indimenticabile estate di un gruppo di adolescenti è Carfizzi, paese d’origine dell’autore, cui nel libro attribuisce il nome fantastico di Spillace. Fra ruderi, profumi e natura incontaminata, proprio a pochi passi dal piccolo paese, l’allegra comitiva scopre un meraviglioso paradiso che sembra non conoscere tempo. Si tratta del Giglietto, un luogo incantevole che, però, nasconde uno sconvolgente mistero. In uno dei mulini abbandonati, infatti, Francesco e Marta – la sua bellissima compaesana che vive a Firenze e scende in Calabria per l’estate – incontrano un vagabondo armato e poco socievole. Il muro di diffidenza dell’uomo presto, però, verrà scalfito dalla bontà e dall’infinita generosità dei due ragazzi, che scopriranno la terribile ferita che ha costretto Lorenzo a nascondersi nel Giglietto. Ad accompagnare i giorni afosi di un’estate unica e irripetibile non sarà solo il mare scintillante, ma anche vecchi ricordi e antichi sapori, come quello dei fichi maturi, delle olive in salamoia, del pane preparato in casa come si faceva un tempo. “Il bacio del pane” è molto più di un romanzo, è una metafora dei “valori che si incarnano nel gesto antico e attuale di baciare il pane, per celebrarne il dono e il mistero”. Carmine Abate ha ancora una volta il merito di saper raccontare la Calabria in tutti i suoi aspetti: dalla ‘ndrangheta alle grandi emozioni umane che veicolano le scelte dei personaggi.
La voglia di dire no alla mafia, il dolore di dover lasciare la propria terra e i propri affetti fanno da cornice a questo commovente romanzo, che conduce il lettore ad assaporare la fragranza della vita e di una terra che ha ancora tanto da offrire.
“Lost in Austen”: il divertente game book di Emma Campbell Webster
ROMA – “E’ una verità universalmente riconosciuta che una giovane eroina di Jane Austen debba cercarsi marito, e tu non fai eccezione alla regola”.
Vi siete mai chiesti come sarebbe stata la vita di Elizabeth Bennet se avesse accettato la prima proposta di Darcy in “Orgoglio e pregiudizio”? O cosa sarebbe accaduto con il Capitano Wentworth di “Persuasione”? Se la curiosità vi sta logorando, non potete non leggere “Lost in Austen. Crea la tua personale avventura dai romanzi di Jane Austen”, il geniale game book di Emma Campbell, pubblicato da Hop Edizioni.
Potrà sembrare alquanto strano e insolito, ma questo straordinario libro non deve essere letto da cima a fondo, come un normalissimo romanzo. A determinare la sorte dei vari personaggi saranno proprio le scelte compiute dal lettore. Inoltre, il successo o il fallimento della storia dipenderanno essenzialmente da cinque fattori: Qualità, Intelligenza, Autostima, Relazioni e Fortuna. Per avere maggiori possibilità di riuscire nella propria missione, ovvero creare il matrimonio perfetto, sarà fondamentale migliorare le proprie dotazioni rispondendo ad alcune domande, che incideranno anche sull’esito della vostra avventura letteraria.
Partendo da“Orgoglio e pregiudizio”, questo singolare game book catapulterà il lettore nel cuore dei romanzi della famosa scrittrice britannica, fra amori, menzogne, tradimenti e seduzione. Il destino della vivace Elizabeth Bennet sarà determinato da una miriade di scelte, che potranno condurre a un matrimonio di “ragione e sentimento” o porteranno a situazioni difficili e talvolta sconvenienti. Non vi resta che mettervi comodi e iniziare a leggere la vostra personalissima storia d’amore, allietata (fra una pagina e l’altra) anche dalle simpatiche illustrazioni di Penelope Bagieu.
Buona lettura!
“Walter Sickert: a conversation”. L’interessante riflessione di Virginia Woolf sul binomio arte-scrittura
ROMA – “Non è di questo nostro tempo uno scrittore in grado di scrivere una vita come Sickert la dipinge. Le parole sono un mezzo espressivo impuro; meglio esser nati nel regno silenzioso della pittura”.
Conosciuta come una delle principali scrittrici del Novecento, Virginia Woolf continua a sorprenderci anche nel ruolo di raffinata saggista. In “Walter Sickert: a conversation”, pubblicato da Damocle Edizioni nella collana “I Tascabili”, la scrittrice intraprende un’interessante riflessione sull’arte di uno dei più apprezzati pittori inglesi: Walter Richard Sickert. Una conversazione immaginaria, svoltasi durante una fredda sera di dicembre, diventa il pretesto per iniziare ad argomentare su “i canovacci di Sickert” e sul binomio arte-scrittura.
Con grande maestria ed estrema eleganza, la Woolf estrapola i personaggi dei quadri per dar loro un’interpretazione e una narrazione originale, al fine di indagare sulle ragioni del successo dell’artista. La figura enigmatica del pittore, noto per la sua passione a ritrarre persone per strada, ambienti urbani o maschere della società, diventa fondamentale anche per esprimere il ruolo talvolta vano della parola di fronte alla meraviglia dell’arte : “ […] la pittura e la scrittura hanno molto da dirsi l’un l’altro, nonostante debbano alla fine separarsi”.
L’obbiettivo dell’immaginaria conversazione sembra essere quello di evidenziare il parallelismo fra i dipinti di Sickert che si trasformano in narrazione e biografie e la bellezza della poesia, che molto spesso brilla di luce artistica.
Con uno stile elegante e accurato, la Woolf ci regala un inedito scritto che ha il merito di far evadere il lettore dalla canonica concezione artistica e “dalla volgarità della vita”.