"Roma nel piatto 2011", uno sguardo attento alla ristorazione del Lazio

Roma nel Piatto 2011: la guida indipendente alla ristorazione da quest’anno non più solo cartacea ma anche interattiva
Emiliano Mei
ROMA – Nel panorama delle guide alla ristorazione tutti, bene o male, si autoproclamano obiettivi, indipendenti, autorevoli. Pochi (o nessuno), in realtà, lo è più o lo è mai stato. Troppi interessi, bilanci da quadrare, rapporti collaterali. “Roma nel Piatto 2011“, edito dalla Pecora Nera Editore, si caratterizza per essere (forse) l’unica guida enogastronomica regionale a conservare ancora queste caratteristiche. Anzi, ne fanno il loro tratto distintivo, tanto da essere ritenuta, da molti utilizzatori, una vera “bibbia” della gastronomia di Roma e del Lazio. Roma nel Piatto


, che da due anni recensisce tutto il territorio regionale e non più la sola provincia di Roma, stila una graduatoria dei “migliori”, partendo come al solito dal “folletto” Heinz Beck chef de “La Pergola” del Rome Cavalieri, una vera e propria istituzione della regione. In un contesto di rara bellezza per la vista impagabile sulla Città Eterna, il cuoco tedesco crea piatti praticamente perfetti, che denotano una padronanza dell’arte culinaria mai fine a sé stessa: un’esperienza, per chi può, che merita di essere vissuta. A seguirlo un quartetto con ben tre indirizzi di provincia: “Le Colline Ciociare” di Acuto (FR), la “La Trota” di Rivodutri (RI) e, promozione di quest’anno, “La Parolina” di Trevinano (VT). A fargli compagnia un indirizzo capitolino, “Il Pagliaccio” di Anthony Genovese.

Pur se unica esclusa dal club del 9 (i voti sono in una scala in decimi), la provincia di Latina si segnala per due cittadine davvero affidabili: Anzio e Terracina, entrambe caratterizzate dalla numerosa offerta di ristorazione di buon livello. Vale la pena menzionare, per la seconda località, “Il Granchio”, che non solo è ulteriormente migliorato ma ha saputo sostituire e colmare il vuoto lasciato dalla chiusura dell’ottimo “Marconi23″.
Difficile spendere altrettante parole di elogio sia per la condizione ristorativa generale della Capitale, sia per il panorama gastronomico delle province di Frosinone e Rieti dove raramente si va oltre una classica cucina “casereccia”, interpretata spesso in modo pesante e senza alcun vantaggio per il gusto.
Una vera chicca è la recensione della qualità del caffè. Purtroppo in moltissimi ristoranti, specie a Roma, ci siamo rovinati il palato, sollazzato da un ottimo pasto, con una pietosa ‘dose’ di caffeina di indegna fattura. Ben vengano, quindi, i voti in tal senso e che servano a stimolare i ristoratori a prestare più attenzione a questo dettaglio che, spesso, insieme con il conto lascia davvero l’amaro in bocca al cliente.
La crisi che ha colpito in questi anni l’economia occidentale – afferma il curatore della guida Simone Cargiani – ha in parte cambiato la fisionomia del mondo della ristorazione, non colpendo tutte le attività enogastronomiche allo stesso modo. La più penalizzata è stata di sicuro la ristorazione medio-alta, che ha visto preferire forme di offerta più economiche: trattorie, oramai diventate sempre più locali di tendenza, pizzerie e luoghi dove poter consumare a buffet un ricco aperitivo. Quest’ultimo è diventato un vero e proprio rito per i giovani dal budget limitato, che hanno trovato così la formula per cenare in ambienti conviviali spendendo, spesso, meno di dieci euro”.
Sale, in questa nuova edizione, a 545 il numero dei locali recensiti (con 120 novità rispetto alla passata edizione) e, per dare suggerimenti assolutamente liberi da condizionamenti, La Pecora Nera ha rinnovato la scelta di non vendere pubblicità ai ristoratori, di muoversi in perfetto anonimato durante il lavoro di “perlustrazione ristorativa” e di non organizzare eventi con degli chef.
Questa filosofia è per La Pecora Nera un’assoluta priorità, tratto distintivo dell’essere una casa editrice indipendente che negli anni, per questo suo aspetto, si è fatta sempre più conoscere ed apprezzare. Questo modus operandi ha fatto sì che un’importante associazione quale F.I.P.E. (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) abbia utilizzato Roma nel Piatto per promuovere un discorso di qualità e trasparenza dei loro associati.
Non più solo cartacea, ma anche digitale e interattiva con “QRisto” l’applicazione per IPhone e IPod Touch che permette di leggere i codici QR contenuti in ogni recensione di “Roma nel Piatto”, offrendo pratici servizi di geolocalizzazione, condivisione commenti e aggiornamento rispetto a quanto scritto nell’edizione in commercio della guida. I codici possono essere letti sia nel formato cartaceo sia nella versione semplificata presente nel sito http://www.romanelpiatto.it/. Attraverso questa applicazione si potranno usufruire di servizi quali mappa, calcolo del percorso, distanza e navigazione guidata con l’ausilio della fotocamera e di un simpatico avatar dell’esercizio enogastronomico scelto.Diverso, invece, l’approccio alla base di Roma per il Goloso – curata da Fernanda D’Arienzo – una guida dallo scopo preciso: dare un contributo alla valorizzazione delle piccole “botteghe del gusto”, sedi dell’eccellenza enogastronomia italiana.
La grande distribuzione negli ultimi anni si è caratterizzata come fattore penalizzante per i piccoli esercenti: le quantità necessarie per giustificare l’acquisto di un prodotto hanno tagliato fuori gran parte della produzione di nicchia, vera ricchezza e peculiarità del nostro Paese.
Roma per il Goloso – dichiara Fernanda D’Arienzo – vuole far conoscere ai lettori gli oltre 700 indirizzi di quartiere, alcuni vere e proprie boutique per gourmet e altri, invece, attività più accessibili ma allo stesso tempo meritevoli”.
Molti di questi esercizi, pur offrendo standard qualitativi ben superiori a gran parte dei rinomati marchi, si vedono precluso l’accesso alla grande distribuzione.
Starà al fruitore della guida scoprire questi piccoli “gioielli gastronomici” attraverso i tre pratici indici: alfabetico, per categoria e per quartiere.

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"Sette giorni a Dakar". Viaggio in Senegal

Alessia Sità
ROMA – Il resoconto di una settimana trascorsa in Senegal: è questo “Sette giorni a Dakar” di Massimo Giannini e Luca Macchiavelli, pubblicato nella collana “Percorsi” delle Edizioni dell’Arco. Luca e Massimo si conoscono durante una festa senegalese a Milano, qui scoprono di essere stati scelti dal loro editore per andare in Senegal con l’obiettivo di documentare la più importante solennità religiosa musulmana: il Tabaski. Secondo la tradizione, ogni famiglia, anche la più indigente, deve sacrificare almeno un montone per festeggiare degnamente la “grande festa”.

Per i protagonisti quello a Dakar sarà un viaggio ricco di novità, amichevoli incontri e svariati avvenimenti, molti dei quali saranno piccoli imprevisti, che si riveleranno fondamentali per imparare ad apprezzare sempre di più l’universo senegalese. L’incontro con la gente del luogo sarà un momento di scambio culturale e umano. Entrambi – in particolar modo Massimo – capiranno come l’efficienza occidentale, talvolta, possa servire a ben poco. Una settimana vissuta intensamente, fra antichi colori, atmosfere ancestrali e rituali atavici, il tutto avvolto da un’aura primordiale respirata soprattutto nei momenti di preghiera. Sette giorni trascorsi ad un ritmo oscillante fra la frenesia quotidiana e il rilassato senegalese. Un reportage scritto a quattro mani e arricchito da alcuni scatti fotografici che hanno saputo cogliere, abilmente, l’essenza dello scenario quotidiano della capitale senegalese. “Sette giorni a Dakar” è un racconto di chi ha vissuto, pur se brevemente, i problemi e la bellezza del Senegal.

"Il Paese Bello" di Stefano Sgambati

Giulia Siena
ROMA “Da tutte le parti del mondo vennero giornalisti e televisioni per raccontare del Paese Perfetto che era diventato l’Italia: il New York Times, in un editoriale destinato a passare alla storia del giornalismo moderno, scrisse che il Bel Paese era diventato il Paese Bello”. Sette racconti come sette tasselli che formano un’immagine a colori vivaci di una nazione socialmente ed eticamente da rifare. Questo è “Il Paese Bello”, il primo libro di Stefano Sgambati, pubblicato dalla Intermezzi Editore.

Un libro che sviscera con ironia e disillusione le debolezze di uomini e donne che si intrappolano in una pazzìa chiamata amore, di individui che rimandano le scelte o che arrivano a compromessi con Dio pur di ottenere una seconda possibilità. La penna di Stefano Sgambati non risparmia neppure le false ideologie di una classe politica che sta trascinando l’Italia in un baratro di ipocrisia senza precedenti. Tutto questo l’autore lo fa con intelligenza di espressione (sia nei racconti che negli intermezzi “personali”) e uno stile di “scrittura quotidiana” che incontra la genialità nella caratterizzazione dei personaggi.“Da tutte le parti del mondo vennero giornalisti e televisioni per raccontare del Paese Perfetto che era diventato l’Italia: il New York Times, in un editoriale destinato a passare alla storia del giornalismo moderno, scrisse che il Bel Paese era diventato il Paese Bello”. Sette racconti come sette tasselli che formano un’immagine a colori vivaci di una nazione socialmente ed eticamente da rifare. Questo è “Il Paese Bello”, il primo libro di Stefano Sgambati, pubblicato dalla Intermezzi Editore. Un libro che sviscera con ironia e disillusione le debolezze di uomini e donne che si intrappolano in una pazzìa chiamata amore, di individui che rimandano le scelte o che arrivano a compromessi con Dio pur di ottenere una seconda possibilità. La penna di Stefano Sgambati non risparmia neppure le false ideologie di una classe politica che sta trascinando l’Italia in un baratro di ipocrisia senza precedenti. Tutto questo l’autore lo fa con intelligenza di espressione (sia nei racconti che negli intermezzi “personali”) e uno stile di “scrittura quotidiana” che incontra la genialità nella caratterizzazione dei personaggi.

Leggi anche l’intervista a Stefano Sgambati:
intervista a STEFANO SGAMBATI

“CorpoOtto. Scelte di carattere”: la vita scritta e disegnata di Franco Bevilacqua

Marco Di Luzio
ROMA –  Raccontare una vita, la propria vita, non è mai un’impresa facile. Ci sarebbero milioni di fatti, milioni di aneddoti, esperienze, emozioni che si vorrebbero scrivere e che si vorrebbe far conoscere. Se non bastasse già di per se, l’arduo compito di selezionare i ricordi, ci si aggiunge anche il problema, affatto trascurabile, di correre il rischio di annoiare il lettore; concentrandosi troppo su un periodo particolare della vita o spendendo parole eccessive per esprimere un pensiero che sembra bellissimo ma che magari, chi legge, trova quanto mai logorroico.
Non sappiamo se Franco Bevilacqua si sia posto o meno tutte queste domande mentre componeva il suo “CorpoOtto: scelte di carattere”, pubblicato dalla casa editrice Ponte Sisto, ma sappiamo di certo che il suo libro scorre. E nello scorrere, piace. E’ una biografia, pura e semplice. Bevilacqua nasce a Roma nel 1937 e dunque i suoi primi ricordi sono inevitabilmente legati alla Grande Guerra, vista dagli occhi di un bambino e chiusa nel piccolo mondo di una Roma non più “città aperta” ma preda degli umori dei nazisti. Crescendo, la passione giovanile per lo sport, si trasforma in amore per la carta stampata e successivamente per la grafica: “Passavo per Piazza Colonna e Via del Tritone, e dalle finestre aperte al pianterreno dei palazzi del Tempo e del Messaggero, rimanevo estasiato ad ascoltare il ticchettio della linotipe, le enormi macchine da scrivere che producevano, con la fusione del piombo, le righe tipografiche, a respirare l’aria pregna dell’odore dei solventi e degli inchiostri“.

Una vita professionale in continuo movimento, non alla ricerca di un posto sicuro o di uno stipendio invitante ma a caccia di nuove sfide, sondando terreni spesso inesplorati  e sperimentando anche a rischio di pagarne sulla propria pelle lo scotto. “Paese Sera”, “La Repubblica” (di cui è uno dei fondatori), “L’Europeo”, “L’Espresso” ecc… sono solo alcuni dei grandi giornali con il quale lavorerà, collaborerà e darà il proprio contributo alla ristrutturazione grafica e al rilancio sul mercato. Il “colpo” della carriera lo darà la geniale campagna pubblicitaria ideata per il lancio della Fiat Uno, realizzata con Guido Vanzetti e Giorgio Forattini: “Così il primo bozzetto che mostrammo fu un punto esclamativo su un’intera pagina di quotidiano. Poi il punto esclamativo, a tutta altezza, su due colonne, infine il logo Uno seguito dal punto esclamativo“. La campagna pubblicitaria sarà un successo, come un successo si è rivelato quasi tutto quello a cui Bevilacqua ha lavorato. Eppure, il libro non è un’autocelebrazione di se stesso ma un racconto ironico e a volte anche critico, su come un uomo semplice, senza dover dire grazie a nessuno e sempre fedele ai propri principi, sia riuscito nel compito più difficile che un uomo possa avere: realizzare i propri sogni.