ROMA – L’Avana è una città di fiato e di carne, di battiti e respiri. È una città di estrema passione, di languido scandalo, di prostrato pudore. Ma L’Avana non è soltanto la città: L’Avana è tutti gli avaneri che, nelle loro frammentate coscienze, ne ricostruiscono il profilo, ne ricompongono il mosaico. Miguel Mejides, con l’esperto occhio del patologo ma con l’acuta grazia del cesellatore, “monta” (nel vero senso del termine) questo romanzo, questo “Perversioni all’Avana”, pubblicato (in prima edizione nel 2006) dalle Edizioni Estemporanee, una casa editrice dall’interesse prettamente rivolto verso la letteratura caraibica, del centro e del sud America, in una (ri)scoperta di gemme rare e preziose, con la vocazione di affrancare tale letteratura dai soliti (e asfissianti) nomi, quelli degli oramai soliti noti. Nel romanzo ogni storia, breve e folgorante nella sua scarna compiutezza, si allaccia all’altra, quasi si salda, in un continuo scambio di prospettive, in una commutazione continua di punti di vista, in una permuta di coscienze e di sentimenti.
Trovare una trama unitaria è impossibile: ed è questo il gioco più affascinante, più delizioso; pare un’umanità esplosa, deflagrata: tante schegge di vita che si proiettano nelle direzioni più disparate, verso le mete più distanti. Di ognuno ne possiamo ricostruire il percorso, sospettare gli approdi, verificarne le partenze: ma ognuno di loro conserverà ai nostri occhi il mistero di una vita che non è compiuta, perché inarrestabile nel fluire, nel modificarsi al cambiare delle incognite.
L’Avana ci mostra tutta la sua potenza, la prorompente vitalità d’un popolo che, per vivere, deve adattarsi, per non soccombere. E che adattandosi si trasforma in un manipoli di eroi, di bugiardi, di falsari, di santi. È la vita a definire questi ruoli. È la città che li riassume e che, in sé, li raccoglie.
I protagonisti, in questo pulsante carnaio, sono tanti: tutti diverse declinazioni della stessa Avana, potente dèa, entità quasi materna e al tempo stesso tentatrice. Perché la madre e la puttana sono i ruoli antitetici per eccellenza, anche se un po’ tangenti, e sicuramente ugualmente potenti (per sottomettere un uomo). Ogni storia si lega all’altra, si travasano i personaggi, se ne continuano separatamente le vicende, le progressioni, le accelerazioni al dolore e alla gioia, alla soddisfazione del desiderio e alla frustrazione della disfatta.
Trovare una trama unitaria è impossibile: ed è questo il gioco più affascinante, più delizioso; pare un’umanità esplosa, deflagrata: tante schegge di vita che si proiettano nelle direzioni più disparate, verso le mete più distanti. Di ognuno ne possiamo ricostruire il percorso, sospettare gli approdi, verificarne le partenze: ma ognuno di loro conserverà ai nostri occhi il mistero di una vita che non è compiuta, perché inarrestabile nel fluire, nel modificarsi al cambiare delle incognite.
L’Avana ci mostra tutta la sua potenza, la prorompente vitalità d’un popolo che, per vivere, deve adattarsi, per non soccombere. E che adattandosi si trasforma in un manipoli di eroi, di bugiardi, di falsari, di santi. È la vita a definire questi ruoli. È la città che li riassume e che, in sé, li raccoglie.
I protagonisti, in questo pulsante carnaio, sono tanti: tutti diverse declinazioni della stessa Avana, potente dèa, entità quasi materna e al tempo stesso tentatrice. Perché la madre e la puttana sono i ruoli antitetici per eccellenza, anche se un po’ tangenti, e sicuramente ugualmente potenti (per sottomettere un uomo). Ogni storia si lega all’altra, si travasano i personaggi, se ne continuano separatamente le vicende, le progressioni, le accelerazioni al dolore e alla gioia, alla soddisfazione del desiderio e alla frustrazione della disfatta.