In viaggio con…Renato Nicolini

Bentrovati all’appuntamento di “In viaggio con…”: la nuova rubrica di audiointerviste, che anima il nostro Canale Youtube.

Antonio Carnevale e Massimiliano Augieri, due navigati e affascinanti speaker radiofonici, intervistano per noi gli autori delle più importanti novità editoriali.

Questa settimana è ospite Renato Nicolini con il suo “Estate Romana 1976-1985: un effimero lungo nove anni”.

Per ascoltare l’intervista cliccate su questo link:

Intervista a Renato Nicolini su CHRONICAtube

Oppure accedete direttamente al Canale Youtube, dal video a destra. BUON ASCOLTO!

Renato Nicolini – Estate Romana 1976-1985: un effimero lungo nove anni

Indimenticato Assessore alla Cultura di Roma negli anni che vanno dal 1977 al 1985, nella prima giunta comunista guidata da Argan, architetto e uomo di teatro, Nicolini è un intellettuale noto per il suo impegno politico e soprattutto per aver dato vita a un nuovo modello culturale per la capitale durante i tormentati anni di piombo. Con la sua opera totalmente originale, Nicolini compie il miracolo: coinvolgere la massa in grandi eventi, far partecipare importanti nomi internazionali a spettacoli collettivi, inaugurare l’epoca dei reading, delle notti animate in cui l’elemento dello stupore e dell’emozione diventa preponderante: in una parola, abbattere le barriere tra cultura popolare e cultura d’élite. Anni memorabili raccontati anni dopo in questo libro, scritto di getto nel 1991, che torna oggi in libreria con una lunga introduzione dell’autore e con la prefazione di Jack Lang, già Ministro della Cultura francese. (Città del S0le Edizioni, 2011, €15.00)

 

“Gli zoccoli di Steinbruck”- nonno raccontami la Storia

Marianna Abbate

ROMA – Non ho mai avuto un nonno. Un’ingiustizia che ho da sempre considerato gravissima- e questo sia un monito per la generazione abituata a produrre figli alle soglie degli ‘anta. Mi sarebbe piaciuto, un nonno dico. Magari uno con molte storie. Non che mi lamenti: mia nonna- l’unica che ho avuto, mi ha raccontato storie bellissime e terribili. e delle volte, la notte mi sembrava di vedere il suo cappellino in prima fila nella chiesa del paese.

Altre volte, invece, ho immaginato le file degli impiccati lungo le rotaie del treno nei pressi di Radom.

Perché è questa l’unica storia che mi avrebbe potuto raccontare mio nonno, e qualunque altro nonno nato nel secondo decennio del XX secolo.

Ed è questa la storia che racconta Pompilio Trinchieri. Gli zoccoli di Steinbruck edito da Marlin, nella collana Filo Spinato. “Peripezie di un bersagliere tra guerra e lager”, recita il sottotitolo. Ma secondo me la parola peripezie è troppo viva, inadatta ai tempi del racconto. Avrei preferito la parola racconto, appunto, oppure storie- più pacato nel senso. Peripezie è quasi un sinonimo per avventure, mi fa pensare a Tom Sawyer. Ma qui il migliore amico non è Huck, ma l’arma e la fame.

I ricordi riaffiorano, questo è evidente, dopo molto tempo. Il testo non cerca di avere la struttura del diario, accetta la sua funzione di memorie. Lo fa attraverso l’utilizzo di un’alternanza di tempi tra passato remoto, imperfetto e presente che è tipico del racconto vivo nella mente ma lontano nel tempo.

Ci sono molti fermo immagine, spesso racconti nel racconto, che fanno raggelare. Sto pensando al bambino della prigioniera, lanciato in aria e poi trafitto da mille spari come nel tiro a volo. O a quella cella 2 metri per 1 e mezzo dove ci si stava in sette e si beveva dallo scarico.

Sono immagini di QUELLA orribile guerra. Innominabile, terribile guerra- che poi di colpo è finita.

Servirebbe a tutti un nonno così.

 

Sapete fare il gelato? Una ricetta bonus in un racconto tutto da scoprire.

ROMA – Una grande amicizia, un grande sogno, una grande impresa. è questo il senso di Grom. Storia di un’amicizia, qualche gelato e molti fiori, il racconto di una delle più incredibili storie italiane degli ultimi anni. è l’avventura di due ragazzi, un manager e un enologo, che inseguendo un sogno allo stesso tempo semplice e rivoluzionario – fare il gelato più buono del mondo – partono da un negozietto di 25 metri quadrati a Torino e, in pochissimi anni, selezionando le migliori materie prime nei cinque continenti, rinunciando a utilizzare additivi e coltivando la frutta biologica nell’azienda agricola Mura Mura, creano un gelato di altissima qualità che li impone come marchio di eccellenza sulla scena del food internazionale. Un’avventura raccontata in prima persona, con una scrittura giovane e ironica, come giovani e spiritosi sono Federico (Grom) e Guido (Martinetti), i due protagonisti. Una storia sorprendente e affascinante, come la strada che da quel primo negozietto di Torino li ha portati fino a Malibu, New York, Osaka, Parigi e Tokyo. Fresca e gustosa, come i sapori di un gelato unico e indimenticabile.

Federico Grom e Guido Martinetti, 39 e 37 anni, sono nati e hanno studiato a Torino. Manager il primo, enologo il secondo, hanno dato vita nel 2003 a Grom – il gelato come una volta. Sono un po’ matti e, a parte questo libro e qualche ricetta, non hanno mai scritto nulla… ma fanno un ottimo gelato! (Grom. Storia di un’amicizia, qualche gelato e…, Bompiani, 2012, €17.50)

 

VerbErrando: Così in terra – l’out of the blue del 2012

Veruska Armonioso
ROMA – “Sai cosa vorrei? Rubare il freddo dell’inverno, accussì, quando viene lo scirocco, avrei sempre un po’ di sbrizzìo di vento sulla pelle e sul cuore. Di una storia, invece, vorrei ricordare solo gli attimi prima. L’attimo prima di pescare il pesce, l’attimo prima di toccare le mìnne, l’attimo prima di assaggiare l’arancia. Poi, se un giorno imparo a scrivere, mi inventerei una storia tutta di “non”: quando non sono partito, non ti ho salutato, non sono andato altrove, non lavoravo sotto un padrone e quando non ci fu la festa di piazza, non ballai con una femmina troppo bona, non ci posai un bacio in bocca lungo e sapurìto e lei non mi disse subito: baciami ancora, amore mio.”

Ci sono sapori di tanto tempo fa, quando avevi ancora qualcuno da amare in modo viscerale e semplice, senza sofisticazioni, particolari attenzioni, forzature, estetica. Quel qualcuno da amare aveva il sapore di vecchio, di trascorso, di liso, ma liso per usura, non per strappo. Se non perdi non sai cosa vuol dire restare senza, e se perdi impari cosa vuol dire ricordare. Tra i ricordi di chi c’era prima e l’intuizione di chi arriverà, ci sei tu. Con i tuoi sogni, le aspettative, i progetti, i sentimenti. Tra i ricordi di chi c’era prima e chi arriverà c’e il tuo presente.
Ho appena terminato il mio presente con lui che è diventato, da qualche minuto, chi c’era prima. Ora ci sono io. “Così in terra” di Davide Enia è il mio lui,  il mio out of the blue letterario di quest’anno.

Quando mi chiedono come editor e agente letterario con che criterio scelga i romanzi su cui lavorare, io rispondo sempre allo stesso modo.
Un libro deve possedere il mistero degli dei, la percezione che contenga una rivelazione dentro di sé a rilascio lento.
Poi, deve possedere una grande umiltà linguistica, perché la sofisticazione non deve mai essere artifizio stilistico, lo scrittore è come un pugile, se ti misuri con qualcuno devi sfoderare tutte le tue armi, ma fuori dal ring “non devi mai approfittare della tua superiorità, sennò sei un uomo di merda”.
In fine, deve essere universale, vale a dire giusto per tutti, senza nicchie, caste, gruppi o elite di preferenza. Arrivare a quante più persone possibili parlando a tutti, questa è la missione: “le parole servono sempre, basta che siano esatte. Quando un messaggio non passa è perché il vocabolario dell’interlocutore non contempla quelle parole”.

“Così in terra” è una lettura a più livelli, a strati: più a fondo vai più significati trovi, proprio come accade nella vita vera, in cui gli eventi puoi leggerli in modi diversi, a piani diversi a seconda degli occhi con cui li guardi. Ché poi la letteratura e, prima ancora la poesia, sono proprio questo, simulazioni di vita, di altre vite possibili, sognate, desiderate, odiate, temute, ma vite, pur sempre vite.
“Nicola disse che lui sarebbe rimasto lì, avrebbe continuato a curare le piante della campagna, non avrebbe smesso di affondare le mani nella terra e, quando le cose non sarebbero andate come è giusto, amen, avrebbe ricordato i momenti felici. Lui, i libri non li aveva letti. Lui conosceva solo il senso del proprio lavoro, che stava tutto lì, nell’osservare il campo seminato sapendo che non oggi, non domani, ma tra un po’, se curale e coltivate, le piante sarebbero fiorite e avrebbero dato frutti. E allora, al tramonto, slacciarsi le scarpe, lavarsi le mani, riposarsi sulla sedia buona e versarsi il vino per berlo con lentezza. Si chinò a raccogliere una pianta grassa. Era così piccola che il vaso stava tutto nel palmo.
< Te la regalo. Questa, ti fiorisce tra ventidue anni. E’ forte, ti assomiglia, non ha bisogno di niente, manco dell’acqua, un sorso ogni tre settimana d’estate e, se la curi bene, ecco.>
Ventidue anni per un germoglio. Obbligava a osservare oltre l’orizzonte degli eventi. Rosario la accarezzò. La pianta non lo punse”… è così che una pianta grassa che germoglierà tra ventidue anni diventa una fede nuziale, un sabato pomeriggio a pulire casa con la tua persona un rito privato di condivisione di intimità e un libro da leggere un’occasione.
Allora, quando mi chiedono come editor e agente letterario con che criterio scelga i romanzi su cui lavorare, io rispondo sempre allo stesso modo: il libro che scelgo deve essere un’occasione.
“Così in terra” lo è, in ogni riga, di ogni pagina.

Tre uomini, tre vite di maschi siciliani che non potrebbero essere altro se non siciliani, perché orgogliosi  e spavaldi, autentici e disincantati, prodotto di eccellenza di quella terra che ha visto cose che nel resto dell’Italia nemmeno immaginiamo. Solo che “Così in terra” non te lo fa pesare, non te la fa pesare. Non ti fa pesare niente. Non i cinquant’anni di storia lungo i quali ti fa cavalcare, non la prigionia in Africa, non la fame, non le bombe della Mafia, non la morte. Ti fa godere, dell’atro che trovi, di tutto quello che è Palermo, da cinquant’anni fa al 1992. Il dolce delle arance, la dedizione del pugilato, il mistero incantato delle puttane, il rispetto per il più forte e poi la concretezza dell’amicizia, senza viatici, senza dolcificanti: se c’è da picchiare, si picchia, se c’è da ammazzare, si ammazza, se c’è da abbracciare si abbraccia.
L’amicizia è la bandiera di questo romanzo, nelle sua forma migliore, quella della solidarietà, dell’onestà intellettuale, della semplicità delle intenzioni, quella della condivisione:
<“Sai cosa, Poeta? Dovremmo parlare a colori. Risparmieremmo parole e uno dal colore capirebbe tutto. Basterebbe conoscere i colori dei sentimenti.>
<Non è una cattiva idea.>
<E’ colorata. Comunque, Poeta, stai tranquillo, ci sono io con te.>
<Sul ring però i pugni li piglio tutti io.>
<Non è vero.>
<Come no?>
<Tu prendi sul corpo i pugni di carne, noi quelli invisibili all’anima. […] i pugni invisibili colpiscono diritto al cuore e fanno male uguale.>”
Quel senso supremo di amore tra esseri umani, che è essenza di tutte le relazioni. Quel senso di comunione che rende un’unione vera e indissolubile:
“<Poeta, come si scrive una poesia?>
<Una parola dopo l’altra.>
<E di cosa c’è bisogno?>
<Una penna e un foglio bianco.>
<Ma le ascrivi più tardi una poesia pure per me? Se mia madre era ancora viva, stasera era felice se tu vincevi perché significava che pure io ero contento.>
<Hai sbagliato tutti i tempi, Gerruso.>
<Non importa, la felicità va oltre il tempo. Per questo, io, ora, sono un po’ felice perché tra un po’, forse, c’è la nostra vittoria.>
<Nostra?>
<Sì, il tuo soprannome l’ho inventato io. Te la posso chiedere un’ultima cosa e poi basta?>
<Amunì.>
<Vinci anche per me, stasera, ne ho bisogno.>

Vent’anni fa, alla fine di questo libro, muore Borsellino. Questa settimana appena trascorsa ci ha visti, ancora una volta, in silenzio. Non un silenzio contemplativo, non un silenzio partecipe. Un silenzio di dimenticanza. Falcone ce lo ricordiamo perché è a maggio, e a maggio si è ancora un po’ (ma giusto un po’) più svegli, ma a fine luglio, signori, a fine luglio tra poco arrivano le vacanze, e poi c’è la stanchezza e poi ci sono i bimbi a casa da gestire perché le scuole sono chiuse e poi ci sono le sagre di paese e il mare nel fine settimana. Va bene non interrompere la vita, ma vent’anni sono tanta roba, signori. Vent’anni di silenzio, poi, sono ancora più che tanta roba. Vent’anni di silenzio sono troppi.
“Le guerra prima risiedeva nei racconti dei sopravvissuti, in quelle memorie tramandate la domenica pomeriggio dopo pranzo. Gli sventramenti ancora visibili nel centro della città ricordavano che sì, una guerra c’era stata, aveva distrutto ma era finita. L’esplosione di una bomba, invece, riconsegnò la guerra al presente. Fu il punto di non ritorno, assolutamente non paragonabile agli spari delle pistole. Non si poteva più far finta di niente. La quotidianità fu stravolta, così come la città, che subì una militarizzazione massiccia. […] Cambiare strada per un’intuizione improvvisa, diffidare delle facce estranee, provare ansia quando sotto casa si trovava parcheggiata un’automobile mai veduta prima. Le sirene delle voltanti risuonavano dappertutto, a ogni ora del giorno, a ogni ora della notte. Nessuna aveva cuore di dirlo, ma si attendevano nuovi attentati di Mafia. Ci volle solo un mese e mezzo perché la profezia si compisse. Un’altra bomba scoppiò, eppure Palermo non si svuotava. L’unica certezza di quella guerra fu che uscirne illesi era di per sé un fatto meritevole di lode.”

E così, questo è il mio consiglio di lettura per i prossimi giorni. Uno dei libri che ha maggiormente contribuito alla costruzione della mia coscienza. Scritto da un uomo che sa che “non vince mai il pugile con il braccio più forte, ma quello più veloce, nel corpo e nel pensiero, perché possiede un vocabolario del movimento più ricco”.
Uso Davide Enia per ricordare Borsellino, non perché sia un libro sulla Mafia, ma perché sono felice che questa rivelazione sia avvenuta proprio in questi giorni di memoria, a darmi strumenti nuovi per capire una gente, quella siciliana, che non uguale a nessun’altra. Mi vengono alla mente altri amici scrittori, come Barbara Ottaviani, amici scrittori siciliani che portano dentro di loro questa saggezza ancestrale, questa centratura emotiva, questa eredità genetica che li rende fieri e unici, lucenti e profetici. Le loro parole sono preziose perché scelte, loro sanno cosa vuol dire scegliere e lo fanno ogni giorno della loro vita. E allora lascio a Davide Enia il finale di questo editoriale, il suo punto di vista sulle parole, attraverso… parole.
“Con il tempo avrei capito come, nella comunicazione tra esseri umani, il senso transiti soltanto al livello minimo attraverso le parole. Nel sesso, per esempio, i corpi raccontano più e meglio: le smorfie, l’eccitamento, il gusto, i gemiti, il sudore. Oppure quando termina un rapporto. Pochissime esperienze sono così narrative come il silenzio tra due persone che si sono appena lasciate. Eppure nella certificazione dell’abbandono, finalmente ci si ascolta a vicenda, in un silenzio pure perché assoluto. E si comprende che l’abisso rappresentato dall’altro non è masi stato esplorato.”

 

“Se c’è una cosa che la Mafia non ha, ed è quello che prima o poi la fotterà, è la capacità di capire la bellezza.”
Davide Enia, Così in terra. Dalai editore, 2012

“Amy. Mia figlia”

Giulia Siena
ROMA
“Le canzoni sono straordinarie, ma dovette attraversare l’inferno per poterle comporre”. Sono le parole di Mitch Winehouse in “Amy. Mia figlia”, il libro scritto dal padre della celebre star inglese morta il 23 luglio 2011. Il volume, pubblicato in Italia da Bompiani, è il racconto intenso, straziante, tenero e sofferto di 27 anni di vita di un’artista geniale.

Oggi, a un anno esatto dalla scomparsa di Amy, su queste pagine trova spazio un libro che parla di una bambina vanitosa, un’osservatrice attenta, una star con le sue virtù e le sue paure, una donna che si è lasciata rovinare per amore e che, nonostante l’amore, non è riuscita a rialzarsi.
Mitch Winehouse parte dell’infanzia di Amy, dalla passione di entrambi per la musica e per le canzoni di Sinatra; racconta la semplicità, la testardaggine e la determinazione di quella bambina che amava cantare, acconciarsi con i vestiti e le collane della nonna, riuscendo a fare sembrare attente decorazioni retrò. Amy era così, era una ribelle che amava la sua famiglia e le tradizioni ebraiche, era una ragazza curiosa, esplosiva e ironica.
Amy, all’inizio degli anni duemila, sapeva quello che voleva: cantare e diventare famosa. Frequentò diverse scuole, allenò la sua voce e compose in musica con la sua chitarra le frasi che raccoglieva sul suo taccuino per gli appunti. La sua musica si fa vita e nel 2003 pubblica Frank. Ma Amy per far conoscere la sua arte doveva affrontare il pubblico; “Amy non riuscì mai a capire come tener testa alla sua paura del palco. Anche se non si sentiva male fisicamente, come accade ad alcuni artisti, a volte aveva bisogno di bere qualcosa prima di salire sul palco”. L’insicurezza, il timore di affrontare chi le stava di fronte, accompagnava l’artista quando doveva salire sul palco; allora doveva bere qualcosa, all’inizio bastava qualche drink, poi, con gli anni, divenne alcolismo.

 

A peggiorare la situazione arrivò Black, l’ossessione di Amy. Black era il ragazzo scanzonato per il quale Amy perse la testa. Nel 2006 si conobbero e Amy si lasciò trascinare nella tossicodipendenza. A questo punto la vita di Mitch non è più solo quella di un padre. Mitch da amico e confidente di Amy ne diventa anche l’angelo custode, correndo al capezzale della figlia ogni volta che un collasso o una ricaduta portavano Amy a essere l’ombra della grande donna che era. Il 2007 è l’anno decisivo per Amy: esce Back to Black, l’album che le fa scalare le classifiche mondiali e grazie al quale ottiene cinque Grammy Awards. Ma Back to Black è una dichiarazione d’amore a suo marito, Black che sposa lo stesso anno e dal quale divorzierà nel 2009. A Black, a l’uomo che secondo Mitch sarà la causa di tutti i problemi di Amy, è dedicato un album nel quale l’artista esprime anche tutto il suo dolore, la sua sofferenza e la sua voglia di uscire dalla trappola letale che è la tossicodipendenza. Sono questi gli anni più bui di Amy Winehouse come donna, ma la con l’amore della sua famiglia, l’affetto degli amici e la sua determinazione riuscirà a uscire dalla tossicodipendenza a fine del 2008. Ma la strada è ancora in salita. Nel 2010 Amy sembra rinascere: suona, compone, ama nuovamente, ha tanti progetti e vuole vivere. Nella notte del 23 luglio 2011 la sua vita si arresta e la sua voce tace. Forse un collasso per abuso di alcool.

 

“Amy. Mia figlia” è un libro scritto in soli quattro mesi, un atto di amore frutto di un diario che Mitch tiene dal 2007 e dove appunta i tanti giorni d’inferno di una tossicodipendente, i grandi momenti di gioia di un’artista geniale e le tante richieste di aiuto di una figlia in difficoltà. Un libro su Amy, una biografia intensa per raccontare al mondo che oltre alle debolezze Amy aveva una grande forza e la cosa che amava di più era la sua musica. Ora ci resta la sua voce.

In viaggio con… Alessandro Aresu

ROMA – Bentrovati all’appuntamento di “In viaggio con…”: la nuova rubrica di audiointerviste, che anima il nostro Canale Youtube.

Antonio Carnevale e Massimiliano Augieri, due navigati e affascinanti speaker radiofonici, intervistano per noi gli autori delle più importanti novità editoriali.

Questa settimana è ospite Alessandro Aresu con il suo successo “Generazione Bim Bum Bam”

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Intervista a Alessandro Aresu su CHRONICAtube

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Alessandro Aresu

Generazione Bim Bum Bam

Perché gli italiani passano il tempo a darsi degli imbecilli a vicenda? Per via di quello che è successo negli anni Ottanta.”
Alessandro Aresu è nato nel 1983, è cresciuto negli anni in cui la televisione commerciale è diventata un fenomeno di massa e i cartoni animati uno dei miti fondativi dei ragazzi di allora, oggi giovani adulti in una società gerontocratica che non solo offre poche possibilità di esprimere i loro talenti ma che, soprattutto, non riconosce o sottovaluta la “generazione Bim Bum Bam”. Nati tra il 1975 e il 1990, i suoi rappresentanti sono cresciuti con Uan e BatRoberto, mentre la vecchia Italia si dibatteva tra debito pubblico e stragi di Stato e la Cina cominciava il suo travolgente processo di trasformazione.
Per raccontare la storia di questa generazione ci sono due alternative: “Una è giocare e fare sul serio allo stesso tempo, e l’altra è pensare di essere un popolo di imbecilli e darci degli imbecilli a vicenda. La prima è divertente, la seconda inutile. Questo libro sceglie la prima strada per sbarazzarsi della seconda”. Domanda precisa: Cosa è successo nel 1981? Risposta precisa: Provano ad ammazzare Reagan ma anche (non secondario) Cristina D’avena e Alessandra Valeri Manera si incontrano a Bologna e nasce Bim Bum Bum.
Domanda precisa: Quanto duravano i discorsi di Aldo Moro?
Risposta precisa: Infinite sigle dei cartoni animati. Domanda precisa: Che cos’è la cei?
Risposta precisa: La Certezza di Essere Incapaci di risolvere qualunque problema.
Domanda precisa: Quanto duravano i discorsi di Deng Xiaoping nel 1992? Risposta precisa: Due sigle dei cartoni animati. Dopo, la gente doveva tornare al lavoro.
Domanda precisa: Se Bim Bum Bam è finito come facciamo a riprendere il suo spirito?
Risposta precisa: Internet.
Giocando attraverso 131 “domande e risposte precise “, Alessandro Aresu ci svela cos’è stato sul serio il “trentennio perduto”, dal 1981 a oggi, attraverso un racconto ricco di ironia pungente e leggerezza, ma anche capace di intuire acutamente le ragioni della nostra decadenza. Passando per Cristina D’Avena, Travaglio, la Prima Repubblica, la Cina, Lady Oscar, Berlusconi, Prodi, Max Pezzali, Scalfari, Mattei, Dagospia e tanti altri, scopriremo, giovani e meno giovani, che “molti dei nostri problemi derivano dal mancato riconoscimento dell’importanza della Generazione Bim Bum Bam. Immersi in questa sottovalutazione, dimentichiamo i sogni e, messi davanti alla realtà, non sappiamo che fare”.
Un libro che costruisce in maniera sorprendente l’immaginario, lo stile e l’universo culturale di una generazione mal rappresentata dalle analisi del censis: circa dieci milioni di giovani italiani, superficialmente bollati come “bamboccioni”, che rappresentano invece una collettività più viva che mai, oggi cruciale per il futuro del nostro paese. (Mondadori, 2012, € 17,00)

“Auf Wiedersehen Claretta”- davvero un uomo avrebbe potuto salvare la Petacci e Mussolini?

Marianna Abbate

ROMA – La Seconda Guerra Mondiale ha affidato all’Italia un ruolo decisamente ambiguo: se prima della guerra sembrava che fossero tutti d’accordo con il pensiero fascista, nel momento della sconfitta si ritrovarono tutti felici dell’arrivo dei nuovi Alleati. Ad un certo punto si è addirittura tentato di riscrivere la storia- dipingendo gli italiani come un popolo di partigiani antifascisti. Ovviamente, come sempre la realtà è nel mezzo. La guerra contro lo straniero si è trasformata in guerra civile tra partigiani e fascisti, con esiti cruenti e spaventosi.

Ma, se da una parte nella storia la figura del fascista si pone come immagine nettamente negativa, dall’altra parte i partigiani non possono assolutamente essere dipinti con tinte rosate. Ed uno dei motivi è sicuramente l’atteggiamento barbaro e il comportamento crudele che hanno avuto nei confronti delle popolazioni inermi- e motivo sicuramente molto scenografico, il terribile assassinio del duce e della sua compagna, seguito dall’accanimento sui loro cadaveri.

Per una volta, quindi, ci troviamo a leggere la testimonianza di un nazifascista Gunther Langes– l’autista che portò la Petacci da Merano a Gargnano, sul lago di Garda. Il diario viene presentato integralmente, con una premessa del sociologo napoletano Nico Pirozzi.

Auf Wiedersehen Claretta” può essere considerato quasi un documentario. E’ un po’ come sbirciare nell’auto dei due amanti e scoprire i loro segreti.  Il tutto con gli occhi del “privilegiato” autista, un po’ innamorato della Petacci.

Un punto di vista diverso su una storia di cui ci sembra di conoscere già tutto, il libro Edizioni Cento Autori ci mostra nella sua grottesca logica il pensiero di un nazista.

 

“Le novità editoriali proposte da ChronicaLibri per le vostre vacanze”

Alessia Sità

ROMA – Questa settimana ChronicaLibri vi invita a fare un salto in libreria per scoprire le nuove proposte di letture da portare in vacanza, magari sotto l’ombrellone o in montagna. Scopriamo, dunque, le novità offerte da Giulio Einaudi Editore, che a luglio segnala l’uscita di “Io sono il libanese”, il nuovo libro di Giancarlo de Cataldo, autore di “Romanzo Criminale”; “Lo spettro” e “Il leopardo” di Jo Nesbǿ e “A tuo rischio e pericolo” di Josh Bazell. Molte anche le proposte targate Piemme che per questo mese propone: “Gli ultimi curanderos” di Hernán Huarache Mamani; “Il codice di Mida” di Boyd Morrison; “La casa del vento e delle ombre” di Deborah Lawrenson. Fra le sue novità, Neri Pozza annovera: “La figlia del boia” di Oliver Pötzsch; “Il profumo del caffè” di Anthony Capella; “Narcopolis” di Jeet Thayil e “Sinfonia Leningrado” di Sarah Quigley. Inoltre, da non perdere “Festa di Nozze” di Maggie Shipstead e “Il ragazzo della Kaiserhofstrasse” di Valentin Senger, in libreria fra qualche giorno.
Per gli amanti della letteratura ‘chick lit’, Newton Compton, invece, suggerisce il divertente romanzo di Marjorie Hart: “I love Tiffany”; mentre per gli appassionati del brivido e del mistero segnala “La febbre” di Saskia Noort; “Il vangelo di Nosferatu” di James Becker. Inoltre, non perdete prossimamente “Gli amori del vampiro” di Nancy Kilpatrick; “101 consigli per vivere ogni giorno rispettando l’ambiente” di Gloria Mastrantonio; “101 misteri della Puglia che non saranno mai risolti” di Rossano Astremo e “Le cattive ragazze scelgono l’uomo giusto” di Fiona Neill.
Pubblicata a fine giugno, Bompiani ricorda l’uscita di “Amy, mia figlia”, la toccante biografia dedicata alla compianta regina del soul, scritta da Mitch Winehouse. Mentre Fandango Editore suggerisce “I pappagalli“, il nuovissimo romanzo di Filippo Bologna. Le novità di Ciliegio Edizioni accontentano e soddisfano i gusti di tutti i lettori, da qualche giorno infatti, potrete trovare sugli scaffali: “L’ammiratore. Io sono il male” di Andrea Palazzo; “Il mito della lanterna” di Jim Tatano; “Venere a tavola” di Roberto La Paglia; “Piove. La controversia dei punti di vista” di Simone Lattanzio e “Che buio, non riesco a vedere” di Dino Ticli.
Concludiamo il nostro viaggio fra le novità editoriali, segnalando l’uscita di “Private Games” di James Patterson – Mark Sullivan per Longanesi e “Vertigo” di Ahmed Mourad edito da Marsilio.

 

“Il mistero di Maria. La filosofia, la De Filippi e la televisione”: fenomenologia di un nuovo mito televisivo

Alessia Sità
ROMA – Considerata la conduttrice di punta di Mediaset, Maria De Filippi col passare degli anni è diventata una delle personalità femminili più note della televisione italiana. I suoi popolari programmi hanno creato una vera e propria tendenza, lanciando addirittura  un nuovo linguaggio e un nuovo stile di vita. Ne “Il mistero di Maria”, edito da Mimesis Edizioni, Salvatore Patriarca analizza lo stravagante universo della De Filippi, cercando di cogliere principalmente le novità della comunicazione e leggendo la figura di ‘Maria’ non solo come esempio innovativo, ma “soprattutto come modello di personaggio televisivo svincolato dal predominio assoluto dell’immagine a favore del relazionarsi dialogico”. Dall’indagine condotta, emerge che programmi come “Amici”, “Uomini e Donne” e “C’è Posta per te” sono essenzialmente fondati su un ‘principio-chiave’ , che si delinea sulla base del contesto culturale nel quale si manifesta. Sono tre i principi rintracciabili: la formazione in “Amici”, la competizione in “Uomini e Donne” e la riconciliazione in “C’è posta per te”. Dopo aver delineato accuratamente l’architettura dei tre programmi e i rispettivi momenti salienti – dalle sfide di canto e ballo, ai tronisti e troniste  con tanto di opinionisti a seguito fino alla fatidica busta, preludio del possibile perdono televisivo – Salvatore Patriarca si sofferma sulla figura della conduttrice. Maria, infatti, è definita come una ‘rivoluzionaria’,  “lei non agisce è presente”, talvolta sembra quasi una spettatrice come tante. Dalla ‘supremazia della voce’ sulla visibilità deriva uno dei tratti distintivi della conduzione della De Filippi : ‘il primato della parola’, che nei suoi programmi diventa azione vera e propria. Patriarca, infine, si sofferma anche sul triplice ruolo ricoperto dalla conduttrice: quello di autorità fondativa in “Amici”, autorevolezza e assicurazione contro il relativismo in “Uomini e Donne” e garante della riconciliazione di “C’è posta per te”.

Il mistero di Maria” segna l’incontro fra cultura televisiva e riflessione filosofica, spingendo il lettore ad interrogarsi inevitabilmente sul sistema televisivo: come considerarlo “semplice imitazione del reale o modello per il reale?

“Le novità in libreria segnalate da ChronicaLibri, per un’estate tutta da leggere”


Alessia Sità

ROMA – L’estate è ormai alle porte e con l’arrivo della bella stagione per molti si avvicina anche il tempo della buona lettura. Scopriamo, dunque, cosa ci aspetta in libreria per quest’estate 2012.
E’ un giugno ricco di novità quello offerto da Giulio Einaudi Editore, che segnala l’uscita del romanzo “L’estate senza uomini” di Siri Hustvedt; “La Repubblica di Wally” di Suzanne Ruta, “La sfida” di Norman Mailer, “Il secondo libro dell’ignoranza” di John Lloyd e John Mitchinson, “Il mio piatto forte” di Elena Loewenthal e “Canti del guardare lontano” di Giuliano Scabia. Molte anche le proposte targate Piemme: “Il gusto della vita” di Ersilio Tonini, “L’amore è un foulard” di Shelina Zahra Janmohamed e “L’appalto” di Sergio Grea e “Per l’@more basta un clic” di Rainbow Rowell. Per chi desiderasse approfondire le proprie conoscenze in economia, invece, Edizioni Ambiente suggerisce “Economia dell’abbastanza” di Diane Coyle, mentre Arkadia editore segnala l’uscita di “Asia non esiste”, il nuovo romanzo di Emanuele Cioglia.
Da non perdere, inoltre, le prossime uscite di Neri Pozza, che propone “I giorni chiari” di Zsuzsa Bánk, “E poi” di Natsume Soseki e “L’educazione non sentimentale” di Sybille Bedford.
Per gli amanti del brivido e del mistero Newton Compton porta in libreria: “La paura” di Francesca Bertuzzi, “Un mondo innocente” di Ami Sakurai, “Il diario del vampiro. La maschera” di Lisa Jane Smith, “2012. La fine del mondo” di Steve Alten e “Il tesoro della legione fantasma” di David Gibbins.
Concludiamo  il nostro viaggio fra le novità editoriali, segnalando le ultime uscite di Longanesi, in libreria dal 7 giugno: “Il profumo” di Patrick Süskind e “Memorie di una Geisha” di Arthur Golden.