Hélène Battaglia torna con “Una promessa di felicità”, tra qualche giorno in libreria

Una promessa di felicità_chronicalibriGiulia Siena
ROMA 
“Ognuno di loro avrebbe fatto ritorno alla propria vita: ad attendere Hope e Paul c’era Parigi, e l’appartamento in cui presto avrebbero vissuto entrambi. Per la futura contessa Birdy era infatti giunta l’ora di fare fagotto e andarsene per sempre dalla sfavillante Milano. Ormai, lei e Paul erano pronti ad affrontare tutto ciò che il destino avrebbe loro riservato”. In “Appuntamento al Ritz” Hope aveva detto sì, aveva accettato la proposta fatta nella prestigiosa stanza di Coco Chanel del Ritz e presto lei e Paulister (per tutti Paul) sarebbero diventati marito e moglie. Con “Una promessa di felicità”, Hope, l’eroina fashion, brillante e romantica, frutto della divertente penna di Hélène Battaglia, torna e promette di appassionare lettrici di ogni età.

 

In libreria per Baldini&Castoldi da mercoledì 13 novembre, il romanzo vede la sua protagonista, Hope, alle prese con un cambio vita radicale: una nuova città, Parigi e un nuovo lavoro che la porterà in giro per l’Europa, sarà la promoter di un promettente romanzo giallo. Il suo tour lavorativo parte dalla Scozia, in un misterioso castello dove il suo datore di lavoro, la nota scrittrice di gialli Ludmilla Sun, cerca in tutti i modi di evitarla. Mentre Hope è annoiata dalla nuova situazione lavorativa, scopre piccanti segreti legati a Ludmilla, un personaggio che nel corso del romanzo si rivelerà una iena spietata e senza sentimenti. Ma, oltre alle preoccupazioni (Paul sta vivendo un periodo di pressione a lavoro) e alla lontananza, sarà l’amore per il suo principe azzurro a dare energia e motivazione a Hope. La loro promessa di felicità, infatti, sarà la chiave di svolta e l’happy ending di tutta la storia.

 

Così come “Appuntamento al Ritz”, il nuovo libro di Hèlène Battaglia è storia quasi normale con sfumature fiabesche: la vita di Hope è una vita felice, fatta di amore (presto sposerà il fidanzato-modello-conte che ha sempre sognato), passione per il proprio lavoro e l’eleganza che ha sempre desiderato. Ma questa volta la scrittrice italo-francese ha arricchito la trama con nuovi spunti narrativi; “Una promessa di felicità”, infatti, non parla solo della freschezza e della spontaneità di Hope, non racconta solamente l’emozione, la bellezza e l’imprevedibilità dell’amore, in questo libro ci sono anche le preoccupazioni di ogni giorno e i piccoli screzi dell’ambiente lavorativo. Nulla da intaccare la favola di Hope, ma sicuramente qualcosa di terrestre in cui rispecchiarsi mentre stiamo sognando!

 

 

Auschwitz, ti racconto da dove vengono quelle foto.

Marianna Abbate
ROMA – 3444, il numero che ha portato impresso nella pelle fino alla morte è stato il suo nome. È sopravvissuto molto più a lungo dei tre mesi previsti per gli internati di Auschwitz, è sopravvissuto ad Auschwitz. Con un numero così basso ne sono rimasti davvero pochi, da contare sulle dita di una mano. Quel numero maledetto che ha raggiunto le centinaia di migliaia.
Li ha visti quasi tutti in faccia quei numeri, Wilhelm Brasse, quel polacco che di tedesco aveva solo il nome. Li ha guardati negli occhi, dapprima nascosto al sicuro del blocco 26, dove si era creato un microcosmo, al sicuro dagli orrori esterni. Ma i muri di Auschwitz sono di vetro, e non importa quanto ti nascondi, non importa quanto forte stringi gli occhi per non guardare: il lager ti entra dentro.

Così il lager è venuto a cercarlo nel suo nascondiglio sicuro, ma non per ucciderlo. Il lager ha chiesto il suo aiuto, la sua anima.

La sua storia la raccontano Luca Crippa e Maurizio Onnis, nel libro edito da Piemme nella collana Voci con il titolo “Il fotografo di Auschwitz”, con un sottotitolo estremamente chiaro: il mondo deve sapere.

È stato fortunato, Brasse, a diventare il fotografo del lager. Fortunato a veder sfilare davanti al suo obbiettivo Zeiss migliaia di facce malconce e centinaia di terribili assassini in divisa.

È stato fortunato anche quando il dottor Clauberg aveva tirato fuori con un forcipe l’utero vivo di decine di giovani ebree addormentate. Quando aveva fotografato quegli uteri sterilizzati in fredde bacinelle metalliche.

Quando Mengele gli ha chiesto di fotografare coppie di gemelli destinati a morire, bambine nude, denutrite e spaventate. Quando ha visto il bellissimo tatuaggio della schiena di un uomo che aveva fotografato, scuoiato e conciato per diventare la copertina di un libro.

Quando dopo la guerra, la donna di cui si era innamorato nel campo non poteva sopportare la sua vista, quando lui stesso non riusciva a tenere il peso della macchina fotografica in mano e nei volti degli avventori del suo nuovo negozio rivedeva quegli occhi, unica parte ancora viva, degli avventori del blocco 26. E se chiudeva gli occhi sentiva di nuovo l’odore nauseabondo delle donne, che nel campo non avevano acqua per lavarsi. Quelle stesse donne che per le botte e per la fame non avevano più il ciclo, sterili già prima che il dottor Clauberg mettesse le sue scientifiche mani su di loro.

Se leggendo queste parole provate disgusto, se vi ho scandalizzato, non mi scusate. Era mia intenzione. Perché so’ che molti di voi non compreranno mai questo libro, e probabilmente questo articolo sarà una delle poche cose che conoscerete di Auschwitz.

Alcuni negheranno persino l’esistenza di un posto così. Ma non basta dire la parola orrore per capire cosa significa: l’orrore ha bisogno di essere esplicitato, per essere capito.

Perché è necessario comprendere che a guidare il tutto era la casualità: non era necessario essere ebrei per morire ad Auschwitz. Poteva accadere a chiunque.

Quindi, caro lettore, non sentirti esentato dal dolore. È un dolore che deve appartenerti, che devi conoscere, fa parte della tua stessa umanità.

Novità: “Venezia nel piatto”, cucina e ricette della città lagunare

venezia nel piatto_marsilio_chronicalibriVENEZIA“Venezia nel piatto… ma che piatto!”, il libro di Enrica Rocca con le fotografie di Jean Pierre Gabriel, sarà in tutte le librerie da mercoledì 6 novembre. Pubblicato da Marsilio, “Venezia nel piatto” è un viaggio nella cucina veneziana; una cucina semplice, perché semplici sono gli ingredienti di base, i metodi di preparazione e i tempi di cottura, ma allo stesso tempo è complessa perché è il risultato di un lungo processo di commistioni tra Oriente e Occidente, di incontri e scontri che hanno dato vita ad accostamenti decisi e inusuali. La tradizione gastronomica veneziana è anche il frutto di un territorio molto particolare, in cui acqua e terra si compenetrano strettamente. Ecco, quindi, il pesce ed i crostacei della laguna e del vicino Adriatico, le verdure e la frutta delle isole dell’ estuario, la carne e la cacciagione della terraferma, le spezie provenienti dal lontano Oriente. Quale miglior modo per presentare i piatti tradizionali veneziani, come i Risi e bisi o le Sarde in saor, dei magnifici vetri di Murano?

 

In un inedito e azzardato abbinamento fra gastronomia e arte, fra bellezza e sapore, il vetro veneziano, da sempre sinonimo di raffinatezza e buon gusto, mostra i suoi molteplici aspetti affascinanti e sempre attuali e rivive sulla tavola moderna grazie a questi originali accostamenti. Piatti, coppe, bicchieri delle più famose manifatture muranesi (Venini, Barovier & Toso, Seguso) e dei maggiori artisti contemporanei (Carlo Moretti, Massimo Michieluzzi) si reinventano in una nuova dimensione e riacquistano attualità.

Via del Vento pubblica “L’inizio e la fine”, lo sguardo spietato di Irène Némirovsky

Irène Némirovsky_via del vento_chronicalibriGiulia Siena
ROMA
“E’ vero mi ero augurato ancora il dominio sugli uomini… La vita ci offre spesso la caricatura dei nostri sogni”. Eppure il procuratore Deprez non aveva mai osato sognare molto: già a vent’anni si era augurato di “avere per tutta la vita una camera imbiancata a calce e un letto in ferro” senza pretese di ricchezza e accontentandosi del futuro, pur vivendo una mezza povertà. Ora gli sta venendo meno anche il suo unico e incessante pensiero, l’avvenire. Da qualche giorno sa che non ha più molto tempo davanti a se. Il suo tempo verrà consumato presto da una malattia. Vorace e veloce. Il tempo, allora, da amico mansueto del procuratore si fa ricatto: lui, un uomo piccolo e gracile che negli anni ha acquisito sicurezza, forza e salute nell’indossare la sua toga rossa, dovrà decidere del tempo di un altro uomo; lui che di tempo ne ha ormai poco. Cosa fare mentre la debolezza incalza? Lasciarsi attorniare dal gioco beffardo oppure combattere il male altrui attraverso il proprio male?

 

Matematica, intensa e perfetta. Questa è la prosa di Irène Némirovsky ne “L’inizio e la fine”, il racconto pubblicato per la prima volta in Italia – a cura di Antonio Castronuovo – dalla casa editrice Via del Vento. “L’inizio e la fine”, apparso il 20 dicembre 1935 sul periodico parigino “Gringoire”, è solamente uno degli oltre cinquanta racconti che rappresentarono per l’autrice francese di origine russa un continuo e costante esercizio di eccelsa scrittura. In questo scritto, come nei suoi più famosi romanzi, la Némirovsky ci appare come un’osservatrice attenta e distaccata che utilizza la sua narrazione cristallina per farci entrare nel racconto da spettatori privilegiati.

Novità Topipittori: “Scompiripiglio”, la storia di Talfino la decidi tu!

ScompiripiglioGiulia Siena
ROMA
– “Quante avventure lungo la strada! Ma alla fine Talfino è arrivato sano e salvo. E a voi Talfini che cosa è successo?” Talfino, il protagonista di “Scompiripiglio” – un nuovo nuovissimo libro di Topipittori – è un animaletto curioso, un ibrido tra una talpa e un delfino. Questo simpatico personaggio, nato dalla fantasia nipponica dello Studio Euphrates, è il protagonista del primo di una serie di tre libri che ha già spopolato in Giappone. Così come Talfino, i suoi amici protagonisti di queste avventure, sono degli Scompiripigli, animaletti simpatici, divertenti mix molto diversi tra loro: c’è Formiglio, un formichiere + coniglio, il cuoco della Scompiripappa; Polnacchia, polipo + cornacchia, brava a cucinare le torte e il Girachiere, giraffa + formichiere addetta alla vendita delle ciambelle.

 

Il libro, diviso in tre mini avventure, ci fa entrare nel quotidiano di Talfino: per prima cosa il nostro simpatico amico deve decidere cosa mangiare, meglio le uova o le polpette? Dovrà scegliere tra l’hamburger, il gelato, le ciambelle e molte altre delizie. Ma la scelta continua; nella seconda storia Talfino deve portare un bel regalo alla sua amica Polnacchia, cosa regalarle e come arrivare a casa senza smarrirsi? Nell’ultima storia, poi, il protagonista decide di fare una passeggiata… ma il sentiero non è poi così semplice! Talfino è sempre molto indeciso, forse per questo la sua storia può seguire strade differenti e può farsi guidare dal lettore. Nel libro, infatti, ognuna delle tre mini storie ha percorsi alternativi che portano, sempre e comunque, al lieto fine.

“Io. e l’Ilva” il monologo di un metalmeccanico

Marianna Abbate

ROMA – L’Ilva non rispetta le regole sull’impatto ambientale. L’Ilva è la causa di infiniti tipi di morbi, patologie, formazioni cancerose e problemi respiratori. L’Ilva porta sulla tavola di tutta Taranto un piatto di pasta. Coperto da uno strato sottile di diossina. L’Ilva ti fa comprare la macchina nuova. Che importa se è coperta dal medesimo strato di diossina?

È la “grande contraddizione di Taranto” quella al centro del “Monologo metalmeccanico- Io e L’Ilva” di Giuse Alemanno. pubblicato da Lupo editore. Sì, perché da una parte l’Ilva è il male, dall’altra non si può vivere senza Ilva.

Che poi Ilva è un concetto vago, troppo generalista. Dentro il più grande stabilimento d’acciaieria d’Europa si snodano settori, reparti, calore, facce, tecnologie e arretratezze. Un microcosmo vivace e vivo, estremamente autoreferenziale agli occhi di Alemanno: “partigiani dei cazzi propri”. Gli operai hanno perso quel senso di comunità che li aveva resi forti nelle rivolte socialiste. Ognuno guarda il suo benessere, inclusi i sindacati che cercano l’accordo a tutti i costi, pur di guadagnarci una promozione e tanta tranquillità.

Eppure senza Ilva, il destino di Taranto sarebbe segnato. “C’è uno psichiatra in sala?” continua a chiedersi l’autore del monologo, in un misto di disperazione ed impotenza. Non c’è soluzione neanche agli occhi di quell’operaio acculturato, di quello che conosce tutte le questioni interne ed esterne, che è Giuse Alemanno.

Un vicolo cieco. Un enorme, bruciante, polveroso e ricco vicolo cieco.

“Tre amiche sul ghiaccio”: fermata Parigi

Marianna Abbate

ROMA – Quando non frequenti per tanto tempo un posto, tornandoci scopri in ogni crepa del muro il tempo che è passato. È stato così anche per me quando ho di nuovo preso in mano un libro della collana “Il battello a vapore” di Piemme. I libri per ragazzi hanno cambiato stile, genere e soprattutto forma e aspetto.

A partire dalla copertina, che ricorda moltissimo i disegni dei comics per ragazze. La disegnatrice è Caterina Giorgetti, quella di “Witch” per intenderci, sono stata una grande fan di quel fumetto eme ne sono accorta subito.

I tempi sono cambiati e si sente ad ogni pagina di questo libro. Scritte un po’ grandi, le parole si intrecciano ai disegni, aiutando l’immaginazione di chi non è abituato a leggere.

Per fortuna i valori sono ancora gli stessi: l’amicizia prima di tutto, la lealtà, lo spirito sportivo del fair play, l’impegno e… l’amore. L’autrice della saga “Tre amiche sul ghiaccio” è Mathilde Bonetti, un’appassionata pattinatrice eterna ragazzina, che in questa puntata ci racconta il viaggio delle ragazze del Palastella a Parigi. Parigi on ice è il titolo del volumetto appena stampato, che racconta le avventure di Angelica Cleo e Sadia, promettenti campionesse del pattinaggio artistico. Insieme realizzano il sogno di pattinare nella Ville Lumiere, e affrontano coraggiosamente le scelte che cambieranno totalmente la loro vita.

Il libro ha il pregio di appassionare allo sport, di stimolare nelle bambine il desiderio di lavorare in gruppo per realizzare il successo.

L’editore consiglia questa lettura per bimbe tra i 9 e gli 11 anni, l’età più sognante.

Jovanotti: le emozioni non finiscono, arriva “Ti porto via con me”

jovanotti_ti porto via con me_libroMILANO“Deve essere una grande festa, e il ruolo del pubblico sarà importante. Voglio prenderlo per mano e accompagnarlo via con me sulle montagne russe della musica”. Lorenzo Jovanotti
26 settembre 2013: arriva in libreria “Ti porto via con me. Backup tour Lorenzo negli Stadi“, il volume che racconta la magia dell’ultimo tour di Jovanotti. Con le foto di Michele Lungaresi e i testi di Lorenzo Cherubini Jovanotti, il libro pubblicato da ISBN, è un viaggio unico ed emozionante negli stadi che hanno visto e ascoltato la musica, l’energia e la grinta di Jovanotti.

Lo show dell’estate 2013 è iniziato il 7 giugno allo Stadio del Conero, ad Ancona. Lorenzo Jovanotti e la sua band hanno attraversato l’Italia da Nord a Sud, da San Siro all’Olimpico, dal Dall’Ara di Bologna al Della Vittoria di Bari, per suonare l’accordo conclusivo del BackUp tour allo stadio di Cagliari, il 20 luglio. Più di 300 persone coinvolte nella produzione di un tour che ha registrato il tutto esaurito a ogni tappa, uno spettacolo vissuto da più di mezzo milione di spettatori, una vera e propria festa mobile sulle note dei più grandi successi di Lorenzo, di cui l’album Backup è la raccolta definitiva. Le immagini di questo libro ritraggono l’artista prima, durante e dopo i concerti, l’occhio dietro la macchina è quello del suo fotografo ufficiale, Michele Lugaresi detto Maikid, che il tour l&rs quo;ha vissuto da dietro le quinte. L’obiettivo di Maikid non inquadra solo il palcoscenico, ma anche il pubblico: i volti di chi ha atteso sin dal pomeriggio in prima fila e di chi ha partecipato a questo show, ballando, ridendo, alzando le braccia al cielo, saltando, e qualche volta commovendosi. I testi di Lorenzo, il diario registrato sull’immancabile taccuino che porta sempre con sé, accompagnano le fotografie ripercorrendo i momenti più emozionanti del tour.
Sono venticinque anni che Lorenzo fa ballare l’Italia. Chi se lo ricorda Walking, uscito nel 1987, primo segno musicale d’esistenza dell’entità chiamata Jovanotti? Qualcuno sì, e moltissimi ricordano Gimme Five, tormentone tardo-Eighties che dominò la scena pop italiana l’anno seguente. Ma nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che oggi, nell’anno di grazia 2013, ancora lui, ancora Jovanotti, sarebbe stato ancora uno degli avvenimenti più interessanti della scena pop italiana.

 

«È un’opera d’arte! Bellissimo fare una raccolta fotografica del mio pubblico! È un’Italia bellissima… Perché non ne facciamo un libro? Titolo possibile: BELLA»

“Il Vurricatore” e i mestieri della mafia.

il vurricatoreGiulio Gasperini
AOSTA – Sovente – molto sovente – la realtà sa offrire materiale narrativo più perfetto che se partorito della fantasia stessa. Basta soltanto cambiare qualche nome, fare chiarezza su alcuni snodi, analizzare un po’ più profondamente gli sguardi e i pensieri. Nulla più. E “Il Vurricatore” di I.M.D., sovrintendente della Polizia di Stato, ne è un esempio abbacinante. Il protagonista del romanzo, edito da Edizioni Leima nel 2013 nella collana “Le stanze”, è in realtà Gaspare Pulizzi, un mafioso legato alla famiglia di Carini. Un personaggio storico, pertanto, che non tutti possono ovviamente conoscere ma la cui parabola all’interno della scalata mafiosa è indicativa ed esplicativa di come la mafia si organizzi e funzioni alimentando sé stessa e mai scoraggiandosi.
Il racconto di I.M.D. è sorprendente per la chiarezza, per la fluidità della narrazione. Pare quasi un rapporto di servizio, purgato dei termini del burocratese spinto, ma ugualmente chiaro e lineare, dove ogni parola ha il suo spazio, dove niente è superfluo né estraneo. La semplicità delle azioni descritte, la modestia nell’utilizzo degli aggettivi, la snellezza delle descrizioni, la maestria di pochi dati per giustificarci un sentimento, un pensiero, una reazione: tutto concorre a far deporre l’attenzione del lettore sulle pratiche del fenomeno mafioso, analizzato e descritto con grande precisione e puntualità, fin nei più assurdi rituali d’iniziazione e nella gestione degli affari direttamente sul territorio. Tante vite si muovono in questo che potremmo definire faction novel, ovvero un romanzo di fatti e fiction. Tanti personaggi lo popolano, tante coscienze lo animano: la mafia è un fenomeno corale, che si regge su singole potenti e carismatiche identità ma che coinvolge e avvolge larghe fasce di popolazione, tra chi si dedica all’omertà e chi all’opposto decide la lotta, la resistenza fiera. E nel romanzo c’è spazio anche per la Polizia, per le forze dell’ordine, di cui vengono messi in luce i successi ma anche gli insuccessi, i buchi nell’acqua, le vane difese, i falliti piani. Perché “Il Vurricatore” è una storia “normale”, un racconto che non ha nulla di stra-ordinario, ma che ci trascina in un luogo che potrebbe essere il nostro, in un intenso scambio di favori e privilegi nel quale ciascuno può cogliere un aspetto della sua vita vera. È un “romanzo” che ci fa quanto meno socchiudere gli occhi: proprio perché la mafia è un fenomeno banale; che si basa, ovvero, su semplici legami, su ovvi rapporti. Ed è forse questa la sua più sorprendente caratteristica, quella che le consente di rinnovarsi ogni volta, dopo ogni apparente insuccesso. E sono anche i legami contro cui è più difficile, in nome della legalità, combattere.

“Il bacio del pane”: il nuovo romanzo di Carmine Abate

libro-bacio-pane-258Alessia Sità

ROMA – “Quel giorno aveva imparato che si può essere cacciati di casa per troppo amore. E la partenza, qualsiasi partenza per forza, è una ferita che brucia a lungo o sempre, anche se non si vede”.
Carmine Abate, vincitore del Premio Campiello 2012, ritorna in libreria con un nuovo toccante romanzo: “Il bacio del pane” edito da Mondadori. A fare da sfondo all’indimenticabile estate di un gruppo di adolescenti è Carfizzi, paese d’origine dell’autore, cui nel libro attribuisce il nome fantastico di Spillace. Fra ruderi, profumi e natura incontaminata, proprio a pochi passi dal piccolo paese, l’allegra comitiva scopre un meraviglioso paradiso che sembra non conoscere tempo. Si tratta del Giglietto, un luogo incantevole che, però, nasconde uno sconvolgente mistero. In uno dei mulini abbandonati, infatti, Francesco e Marta – la sua bellissima compaesana che vive a Firenze e scende in Calabria per l’estate – incontrano un vagabondo armato e poco socievole. Il muro di diffidenza dell’uomo presto, però, verrà scalfito dalla bontà e dall’infinita generosità dei due ragazzi, che scopriranno la terribile ferita che ha costretto Lorenzo a nascondersi nel Giglietto. Ad accompagnare i giorni afosi di un’estate unica e irripetibile non sarà solo il mare scintillante, ma anche vecchi ricordi e antichi sapori, come quello dei fichi maturi, delle olive in salamoia, del pane preparato in casa come si faceva un tempo. “Il bacio del pane” è molto più di un romanzo, è una metafora dei “valori che si incarnano nel gesto antico e attuale di baciare il pane, per celebrarne il dono e il mistero”. Carmine Abate ha ancora una volta il merito di saper raccontare la Calabria in tutti i suoi aspetti: dalla ‘ndrangheta alle grandi emozioni umane che veicolano le scelte dei personaggi.
La voglia di dire no alla mafia, il dolore di dover lasciare la propria terra e i propri affetti fanno da cornice a questo commovente romanzo, che conduce il lettore ad assaporare la fragranza della vita e di una terra che ha ancora tanto da offrire.